Semi al vento - Forum di incontro e discussione

Votes taken by kai mimiki

view post Posted: 23/9/2021, 14:41     +123 settembre 2021 -

Posta veloce

Trenta gradi. :f:
Sto provando a dirgli che siamo in autunno, si deve da' una calmata, non si fa così ma... niente =_=
Che poi so già che tra un po' s'incazza, inizia a sbuffare, piangere e lanciare cose :gnafo:

Buona serata
:ohoh: :ohoh:

view post Posted: 7/10/2017, 09:04     +1Ican: premio Nobel per la pace 2017 -

Il muretto

Nobel, cos’è l’Ican
(Afp)

Pubblicato il: 06/10/2017 17:53
La Campagna Internazionale per Abolire le Armi Nucleari (Ican), vincitrice del Nobel per la pace, è un'organizzazione ombrello che riunisce oltre 450 gruppi della società civile con migliaia di aderenti in 101 Paesi del mondo. Nata dieci anni fa per promuovere un trattato per l'abolizione delle armi nucleari, poi approvato lo scorso 7 luglio dall'Assemblea dell'Onu, è ora impegnata a diffondere i principi del trattato, premere per la sua ratifica e per l'adesione dei Paesi che ne sono rimasti fuori. Approvato all'Assemblea Onu con 122 voti, il trattato è stato finora firmato da 53 Paesi ma ratificato solo da tre. I Paesi membri della Nato, fra cui l'Italia, e quelli in possesso di armi nucleari non hanno aderito.

FONDATORI - I fondatori dell'Ican si sono ispirati al successo della Campagna per la messa al bando delle mine, premio Nobel per la Pace nel 1997, cruciale per giungere quello stesso anno al trattato internazionale per la messa al bando di queste armi. Basato a Ginevra, l'Ican ha un piccolo staff di quattro persone, tutte sotto i 35 anni, ben più giovani dell'età media dei laureati del Nobel, che è di 61 anni.

La filosofia del trattato per la messa al bando delle atomiche è profondamente diversa dal Trattato per la non proliferazione nucleare. L'idea di fondo è che le armi nucleari vadano eliminate a causa del loro immenso potere distruttivo. "E' accettabile uccidere centinaia di migliaia di persone o no? Se non lo è, allora le armi nucleari devono essere messe al bando", sintetizza la svedese Beatrice Fihn, 34 anni, direttrice esecutiva dell'Ican.

L'Ican nasce su impulso dell'International physicians for the prevention of nuclear war, l'associazione internazionale di medici contro la guerra nucleare, premio Nobel per la pace nel 1985. E' stata lanciata con due eventi internazionali nel 2007, il primo a Melbourne in Australia il 23 aprile è servito alla raccolta di fondi. Il secondo è stato pochi giorni dopo, il 30 aprile a Vienna, in occasione di un vertice degli aderenti al Trattato di non proliferazione nucleare.

PARTNER - A quanto riferisce il sito dell'Ican, le organizzazioni partner in Italia sono: Associazione Italiana Medicina per la Prevenzione della Guerra Nucleare, Cormuse, Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, PeaceLink, Rete Disarmo, Senzatomica, WILPF Italia e World Foundation for Peace.

Adnkronos.com


Visita il sito Senzatomica.it
Dal 21 settembre e fino all'8 ottobre 2017 è in corso la mostra a Pieve di Cento (BO) consigliata anche ai gruppi scolastici di ogni età. L'ingresso è gratuito.
view post Posted: 22/7/2016, 10:18     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 31
di Mimmo Carratelli


maradona24



Che cosa ti succede dentro, pibe, dopo l’annuncio di Cristiana Sinagra? E chi è Cristiana Sinagra? I giornali si scatenano. Qualcuno dice che si accompagnava anche a uno dei tuoi tre cognati, Gabriel, quello che ti angoscia la vita con continue richieste di danaro. Era amica anche di Hugo, tuo fratello? Maldicenze e sospetti. L’opinione generale è che Diego Armando Sinagra sia tuo figlio.

Cecilia Pagni, la tua fedele segretaria dei tempi napoletani, racconterà un giorno che Cristiana Sinagra venne a casa tua per mostrare a Claudia “cravatte e camicie di seta” che avrebbe potuto comprare per te. Strana visita. Claudia disse che Cristiana era un’amica di Delia Occhionero, la moglie di Hugo. Insomma, la ragazza si aggirava nei tuoi pressi.

Ma che cosa è successo veramente? Giravano tante voci. Si disse che mamma Tota avesse telefonato alla Sinagra offrendole soldi per abortire. Pare che, su questo argomento, avesti un litigio con tua madre. Cristiana, sono sempre le voci di quel tempo, avrebbe abortito a patto che l’accompagnassi tu dal medico. Furono giorni difficili.

Giovedì 16 ottobre 1986 rompi il silenzio. Davanti alle telecamere di “Italia 1”, parli ai giornalisti Marco Francioso e Gigi Moncalvo. Annoto alcune tue frasi. “In questo periodo ho subito un danno enorme”. Non nomini mai il bambino e definisci la Sinagra “quella ragazza”. Prendi duramente le distanze. Dici: “Io aspetto un figlio da Claudia, io merito un figlio da Claudia e Claudia se lo merita”. Ma è tuo il figlio della ragioniera? Ribatti: “Conosco tanta gente, a Napoli, ma da qui ad avere un figlio diversa è la canzone”.

Pensi a Claudia che sta per avere un bambino da te. “Si chiamerà Diego Sebastian se sarà maschio, Dalma Janina o Dalma Linora se sarà una femmina. Diego e Dalma sono i nomi dei miei genitori”. Ma c’è Diego junior, accidenti. “Questa storia per me è già finita. Non leggo più i giornali, non guardo più il telegiornale”. Sarà una vicenda che segnerà la tua vita. Questo lo scopriremo dopo.

Intanto, il campionato 1986-87 è partito il 14 settembre. Sono arrivati De Napoli e Carnevale. E Ciruzzo Ferrara fa coppia fissa con Bruscolotti. Debutto a Brescia. L’allenatore dei lombardi Giorgi dice che, in Italia, contro le difese italiane, quei gol in Messico contro inglesi e belgi, travolgendo mezze squadre, te li sogni. Imprudente. A Brescia, in soli dieci metri, rinnovi il prodigio. Sul lancio di Bagni accarezzi la palla col petto e, col petto, te la porti avanti: la difesa bresciana si disorienta. Fingi di puntare al centro e vai a sinistra: i difensori sbarellano e Bonometti, che ti monta una guardia feroce, è giocato. Da sinistra infila Aliboni con un diagonale. I bresciani non vogliono starci. Dicono che ti sei aiutato con un braccio. Rimangono inchiodati alla tua prodezza, 1-0 e via.

Due pareggi, con l’Udinese e ad Avellino, raffreddano gli entusiasmi. Ma ispiri il Napoli che strapazza il Torino (3-1). La domenica successiva, a Marassi, contro la Samp delle “stelle”, la partita è tua. Batti la prima punizione, Bistazzoni sfiora la palla, la traversa la ribatte e “Caffarellino” è pronto a spingerla in rete. Pareggiano i doriani su rigore, ma c’è un penalty anche per il Napoli: Vierchowod ti atterra in area. E non succede come a Tolosa. Vai sul dischetto, batti, Bistazzoni va da un lato e la palla dalla parte opposta: 2-1. Il Napoli è in testa con la Juve di Rino Marchesi. Comincia il sogno.

Un inghippo con l’Atalanta al “San Paolo”. Su rigore devi rimediare un pareggio (2-2) e la Juve va avanti di un punto. Luci e ombre. Qualche tensione negli spogliatoi. In campo, zoppichi. Garella e De Napoli commettono errori imperdonabili. Vietato sognare?

Sopraggiunge Ciccio Romano di Saviano a mettere ordine e a fare il regista. Allodi l’ha pescato nella Triestina, in serie B. Acquisto magico. All’Olimpico ci sono 20mila napoletani. Giordano inventa un assist delizioso e batti Tancredi. Oh, pibe! 1-0 come a Genova, secondo marchio personale decisivo. Dice l’allenatore della Roma Eriksson: “Questo Napoli è proiettato verso lo scudetto”. Siamo di nuovo in testa con la Juve.

Senza gol la partita con l’Inter di Trapattoni, ma il trionfo arriva a Torino il 9 novembre. Segna fulmineamente Laudrup e gli juventini, sugli spalti, non si scaldano molto. Pareggia Ferrario e pare di stare al “San Paolo”. Lo stadio torinese è tutto azzurro. Segna Giordano, segna Volpecina. La Juve è schiantata (3-1). Giochi una partita memorabile a tutto campo, rischi le caviglie, strappi il pallone ai bianconeri. Bruscolotti blocca Platini. In testa con due punti di vantaggio su Juve, Inter e Roma. Premio straordinario di 7 milioni a testa per il trionfo torinese.

Vuoi vincere lo scudetto, dopo il mondiale. Proponi un ritiro anticipato al giovedì e, domenica, è poker all’Empoli (4-0). Segni il primo gol con una punizione irresistibile, doppietta di Carnevale, firma finale di Bagni. Partita trasmessa in diretta in Argentina. La Juve si allontana a 3 punti anche col pareggio azzurro contro il Verona. Altro pari senza gol a San Siro contro il Milan dello “squalo” Hateley. Terreno infame sotto la pioggia, ti manca Giordano infortunato, Liedhom monta un catenaccio gigante e Filippo Galli non ti fa respirare.

Il 21 dicembre, ultima partita dell’anno col Como al “San Paolo”. Ti strapazzi un po’ andando per premi, a Buenos Aires e a Montecarlo. I comaschi corrono. Decide una “doppietta” di Caffarelli (2-1). Il botto giunge da Genova dove la Samp di Vialli e Mancini ha disintegrato la Juve (4-1). C’è solo l’Inter, a due punti, dietro al Napoli. La Juve si allontana a quattro lunghezze.

Buone vacanze, Diego. Torna presto che sarà l’anno buono.

27/8/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 32
di Mimmo Carratelli


allodi
Italo Allodi




Anno nuovo, prima sconfitta dopo 17 risultati utili di fila. La sosta porta male, caro Diego. Va quasi sempre così. Tonfo a Firenze (1-3) davanti a 20mila napoletani col broncio. Giochi bene, Dieguito, fai anche il gol, Landucci fa miracoli sulle tue punizioni. Raggiunti in testa dall’Inter. Negli spogliatoi di Firenze l’Orso Bianchi fa la faccia feroce, processo a porte chiuse. Sette giorni dopo, tre sberle all’Ascoli e campioni d’inverno. Mezzo scudetto in tasca. L’Inter si allontana a due punti. Ma c’è una brutta notizia. Italo Allodi, che ha costruito questo Napoli da scudetto, sta male, colpito da un ictus nella sua stanza d’albergo, il Royal.

La prima partita del “ritorno” col Brescia (2-1) vieni picchiato ripetutamente da Sacchetti e Chiodini. A mezz’ora dalla fine non ne puoi più. Esci malconcio, ti hanno combinato proprio bene. Torni grande a Udine (3-0) con una “doppietta”: rigore impeccabile e zampata mancina saltando due difensori mentre il portiere ti rovina addosso. Galparoli ti massacra una caviglia.

Dopo la partita di Firenze avevi detto: “Abbiamo regalato la partita alla Fiorentina e c’era uno che giocava per loro”. Il riferimento all’arbitro Lanese ti costa il deferimento, becchi una squalifica e salti l’unica partita, il derby con l’Avellino (3-0). Il piccolo Muro gioca al tuo posto, tu sei in tribuna con Claudia.

A metà febbraio, Claudia incinta parte per Buenos Aires.

Fai lo scapolone. Coppola non è proprio il tuo angelo custode. Ormai vive stabilmente a Napoli, spesso con la seconda moglie, Amalia Gonzales, una soubrette. Senza la moglie, fate bisboccia insieme. Cominciano le notti bianche, ma sul campo non se ne accorge nessuno. Vittoria a Torino sui granata (1-0). Con un guizzo pianti Zaccarelli ed evitando Ferri dai a Giordano la palla-partita. L’Inter perde a Roma e si allontana a quattro punti.

Contro la Sampdoria (1-1) segni il pareggio, è il tuo gol numero 200. Su una incursione di Renica a sinistra e cross basso, sorprendi tutti con un tuffo a pelo d’erba, un colpo di testa da circo. Hai un occhio pesto dopo uno scontro con Pellegrini. E con la vittoria a Bergamo (1-0, gol di Giordano), il vantaggio sugli inseguitori (Juve, Milan e Roma) sale a cinque punti. Dagli spogliatoi di Bergamo esci con un cappello da cow-boy in testa e urli: “Io questa parola non la pronuncio”. La parola è scudetto. Ci crediamo fortemente.

Nel derby con la Roma è 0-0, ma, accidenti, vi mangiate almeno cinque palle-gol. Ogni tanto si perde: a San Siro con l’Inter (0-1).

Il riscatto è immediato. 29 marzo 1987: Napoli-Juventus 2-1. Battuta all’andata e al ritorno la Vecchia. Zoppichi perché Favero dopo dieci minuti ti ha “sistemato”. Segnano Renica e Romano. Tacconi ti nega il gol: stavi per sorprenderlo con un colpo di testa. Ferlaino sorprende tutti: “Lascerò il Napoli il giorno stesso dello scudetto”. L’adorabile bugiardo.

Squilla il telefono. E’ tuo padre da Buenos Aires, giovedì 2 aprile. Alle 9,10 italiane (le 4,10 in Argentina) è nata Dalmita, anzi Dalma Nerea, nella clinica Villa del Sol. Peso: 4,200 chili. Claudia sta bene. Un giorno andrete a Lourdes per ringraziare la Madonna. Sei un angelo e un demonio. Dopo i mondiali messicani, eravate andati in vacanza a Bora Bora. E’ successo là. Parti per Buenos Aires e torni. Ventiduemila chilometri in tre giorni, caro papà. Domenica, sei in campo a Empoli (0-0). Il portiere Drago fa il drago e ti nega il gol due volte.

Nel ritiro di Pescia, Hotel Villa delle Rose, da una macchina scende Allodi. Ha il braccio sinistro paralizzato dopo l’ictus. Due fisioterapiste lo stanno curando nella sua villa di Firenze, ma è voluto venire a salutare “i suoi ragazzi”. Gli dai un bacio e gli sussurri: “Ti voglio bene”. Dal Napoli è ormai lontano, ma promette: “Verrò per la festa dello scudetto”.

Con la batosta di Verona (0-3), l’Inter si avvicina a due punti. E’ il momento cruciale del campionato.

31/8/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 33
di Mimmo Carratelli


1scudetto
Scudetto 86/87


Ma la ricordi, pibe, quella domenica dell’anticipo della felicità totale, il 26 aprile 1987 al “San Paolo”, quando cantavamo “Vinceremo, vinceremo il tricolore”, un ritmo inesorabile e una gioia incontenibile? Il Milan, appena passato dal barone Liedholm a Capello, con Maldini, Wilkins, il povero Di Bartolomei e Virdis, tentava di imprigionarci con la ragnatela a zona, e Filippo Galli era la tua ombra. Ansia e sofferenza, gol di Carnevale su papera di Nuciari, felicità, si apre la porta della vittoria.

Grandissimo Giordano, re degli assist. Quanti ne ha fatti, Bruno, per portare lo scudetto a Napoli? Tanti, tantissimi. E’ il tuo scudiero fedele, il partner che ti esalta, vi guardate negli occhi e scatta l’intesa, passaggi filanti, colpi a sorpresa. E’ Bruno che ti apre la strada del gol per il raddoppio. Addomestichi il pallone, sfuggi a Filippo Galli e al suo caschetto e dribbli Nuciari in uscita. Quasi dalla linea di fondo inviti la palla ad adagiarsi in rete. Dedichi il gol a Dalmita. Non segnavi da sette domeniche. Finisce 2-1 e dai un taglio alle voci sulla dolce vita. L’Inter perde ad Ascoli e si allontana a tre punti. A casa un gruppo di tifosi ti invia l’omaggio di una grande coppa di cristallo piena di confetti azzurri per il Napoli, rosa per Dalmita.

Un passettino (1-1) nel nubifragio di Como e arriva il 10 maggio. Il “San Paolo” è gonfio di passione. Siamo in 90mila e, fuori, c’è una città in attesa. C’è la Fiorentina di Baggio, Antognoni e Diaz. Non è ancora scudetto, ma sulle due curve calano due immensi teloni azzurri col tricolore. Non è ancora scudetto, ma ci sono 132 striscioni sugli spalti che “parlano” di scudetto. E, in città, tutti gli artigiani di Napoli sono al lavoro per dipingere vie, piazze e palazzi d’azzurro, per dipingere giganteschi scudetti sull’asfalto di cento strade, mentre si preparano banchetti all’aperto e striscioni sono pronti ad essere stesi dappertutto, da balcone a balcone. Gli artigiani, improvvisati e professionisti, hanno lavorato tutta la notte per preparare bandiere, sciarpe, poster, gigantografie, torte, ciondoli, orologi e mille altri oggetti con lo scudetto. Dalle Filippine sono arrivati ventimila “Gennarì” di plastica con lo scudetto. E’ la nuova mascotte del Napoli, costo diecimila lire.

La partita è una gioia dolorosa. L’Inter è a tre punti e gioca a Bergamo. Battere la Fiorentina, a due giornate dal termine, vorrebbe dire scudetto al sicuro. L’arcobaleno di una tua punizione scompare oltre la porta toscana. Facci sognare, pibe, che siamo alla fine. Slalom, piroetta e pallonetto mentre t’accerchiano in quattro. Abbiamo il cuore in gola. L’attesa è pesante, gonfia di paura.

Due boati consecutivi scuotono lo stadio. Finalmente. Il prodigio si sta avverando. Segna Carnevale e, sette minuti dopo, sul display in cima alla curva A appare il risultato di Bergamo. L’Inter perde e si allontana.

Può essere così bella questa domenica? La felicità, a Napoli, è sempre molto complicata. Bisogna soffrire molto per essere poi felici. In amore, allo stadio, nella vita. Deve essere sofferta questa penultima partita, non saremmo a Napoli se non fosse così. In campo avete la stessa nostra angoscia e la magica punizione di Baggio nella rete di Garella (1-1) è la conferma che tocca soffrire. Molto e sino alla fine.

Il secondo tempo è una partita in trance. In campo e sugli spalti. Schiacciati sotto il peso insopportabile di una gioia troppo grande, vicina, possibile, strameritata, ma ancora incerta, che può sfuggirci. La Fiorentina sembra rispettare la nostra angoscia, governa il pareggio in letizia. Non provoca. E tu, pibe, che cosa fai, che cosa fanno gli azzurri? Paralizzati.

Il tempo non passa mai. Resiste il pareggio e resiste la sconfitta dell’Inter a Bergamo. A tre minuti dalla fine, l’addetto al display dello stadio non ne può più. Rilancia in anticipo il messaggio luminoso e definitivo della sconfitta dell’Inter e accende subito dopo il messaggio grande, lampeggiante, irresistibile preparato nell’attesa spasmodica che tutto finisse: “Napoli campione d’Italia 86-87”.

L’arbitro Pairetto fischia la fine. In campo, avete occhi pazzi e increduli. Sugli spalti è un abbraccio generale, lacrime, entusiasmo finalmente liberato. Scoppiano i petardi. Il “San Paolo” è tutto azzurro, è tutto un tricolore. Trascini la squadra sotto la tribuna dove c’è Claudia, rientrata da Buenos Aires con Dalmita, dove ci sono papà Chitoro, tua sorella Maria, i genitori di Claudia, i tuoi tre cognati.

In campo, nella folla dei duecento fotografi, dei carabinieri, dei poliziotti, degli inservienti e di alcuni fortunati invasori ci sei e non ci sei, appari, scompari, la maglie azzurre sommerse, poi la fuga negli spogliatoi, stentata, difficile nella ressa.

C’è un dono singolare che ti aspetta nello spogliatoio. E’ lo smoking che tua sorella Maria ti ha portato a Soccavo prima della partita perché tu lo indossassi a partita finita.

E, intanto, la città, se potessi vederla, è tutta uno scudetto.

4/9/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 34
di Mimmo Carratelli



gennarm
San Gennarmando (foto tratta dal sito: www.vivadiego.com)



Sarà che la prima volta non si scorda mai, ma questa domenica di maggio, il 10 maggio 1987, resterà unica, irripetibile, indimenticabile. La domenica del primo scudetto del Napoli.

Te la racconto, pibe, questa domenica speciale dalla sera all’alba che non hai visto perché eri nello spogliatoio a festeggiare con la squadra, bagnato di lacrime e di champagne, perché, se mai fossi uscito la sera a vedere Napoli, ti avrebbero trascinato per cento strade, rapito in mille case, offerto ragazze e bambini da baciare, e vecchi da consolare, baciato e strapazzato, sommerso di doni ingenui e rimpinzato di cozze e mozzarella. Perché, campione del mondo e d’Italia, sei diventato il re scugnizzo di questa città fantastica che ha riconquistato improvvisamente la felicità.

Con una fantasia unica e originale, con una tempestività sorprendente, con un dispiegamento di colori e teloni, i napoletani d’ogni ceto e quartiere hanno trasformato il paese del sole nel paese dello scudetto. Lo stadio si è svuotato, la città s’è affollata. Scoppia di folla, percorsa da cortei. C’è gente in strada e nelle piazze, dovunque. Nei vicoli e nei fondaci. Ai balconi e alle finestre. E’ tutto un addobbo di striscioni e bandiere, le strade e le piazze sono state fulmineamente dipinte di azzurro. Nei quartieri popolari si banchetta all’aperto. Ci sono caroselli di auto dappertutto, auto azzurre con lo scudetto sul cofano. Via Caracciolo è una fiumana di auto dipinte d’azzurro. E’ festa a Mergellina e al Vomero. E’ festa grande alla Sanità, a Forcella, ai Quartieri Spagnoli dove è la festa più bella, festa di popolo.

Industriali e commercianti improvvisati hanno prodotto e vendono coccarde, sciarpe, cappellini, pupazzi, palloncini, distintivi, orologi, cravatte, portachiavi, trombe, tamburi, tappi, bottiglie di spumante, torte, poster giganteschi, bengala, botti , magliette col tuo nome, parasole, t-shirt, camicioni, lampadine e candele, barattoli di bevande. Tutto colorato di azzurro, lo scudetto sugli oggetti e sulle facce della gente, facce dipinte d’azzurro. Se ne vedono a migliaia. Il business spontaneo frutta venti miliardi di lire. Gioia e ricchezza.

Ai Quartieri Spagnoli una fabbrica improvvisata, e subito scomparsa, ha prodotto centinaia di teloni giganteschi coi quali sono avvolte molte facciate di palazzi. E’ un bagno generale nelle fontane. Pittori di strada hanno dipinto la tua gigantografia su marciapiedi e vie. Pittori acrobatici si sono issati sui muri delle case per dipingerti a grandezza smisurata. Su un palazzo di cinque piani, sei grande cinque piani e il pittore ha lasciato appena lo spazio a una finestra che sbuca sul tuo petto. Ai decumani, il dio del Nilo è ammantato di azzurro e, in testa, ha una gran tuba azzurra col tricolore. La statua di Nettuno è stata vestita con maglietta e pantaloncini della squadra del nostro cuore e, sul tridente, issa un grande scudetto. La statua di Dante ha uno scudetto al braccio e un pallone sul piede sinistro. C’è un ironico corteo di bare con i colori di tutte le squadre del campionato. E’ un entusiasmo vertiginoso. In cima all’altoforno numero 4 dell’Italsider, a Bagnoli, a 120 metri dal suolo, sventola una bandiera azzurra con lo scudetto.

Vuoi sapere altro, Dieguito? I lavoratori del San Carlo hanno appeso uno striscione sulla facciata del teatro: “Azzurri siete la decima di Beethoven”. In un vicolo hanno teso questo striscione: “Meglio uno scudetto da leoni che 22 da Agnelli”. Da balcone a balcone gli striscioni sono mille con scritte indimenticabili. “Comm’è bella ‘sta nuttata, si è ‘nu suonno nun me scetate”. “E me diciste sì ‘na sera ‘e maggio”. “Scusate il ritardo”. Aspettavamo lo scudetto da sessant’anni. Lo striscione dei tassisti dice: “Io lavoro e penso a te”. Sul muro del cimitero appare questa scritta: “E non sanno che se so’ perso”. Appaiono le immagini di San Gennarmando con questa poesiola:
“San Gennà, non ti crucciare /
tu lo sai, ti voglio bene, /
ma ‘na finta ‘e Maradona /
squaglia ‘o sanghe dint’’e vvene”.

La gente canta: “O mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazòn? Ho visto Maradona, ho visto Maradona e, mammà, innamorato son”.

Sgorgano poesie, motti, canzoni e parodie di canzoni napoletane:
“E pe’ fa chistu scudetto /
vuò sapè comme facette /
s’è accattate Maradona /
ha futtuto Berlusconi /
Bagni, Renica e Garella /
pe’ te fa ‘sta squadra bella”.

Il presidente Ferlaino fa una confessione bugiarda: “Ho deciso di lasciare la presidenza. E’ una scommessa che feci con me stesso diciott’anni fa. Al Napoli ho sacrificato la mia vita. Metterò un professionista al mio posto”. Da Firenze, dove vive la sua malinconica degenza dopo l’ictus, Italo Allodi fa pervenire i suoi auguri commossi. Ha contribuito molto a creare questo successo, ma già nessuno si ricorda di lui. Così va il mondo, pibe.

A mezzanotte i fuochi artificiali illuminano il golfo. La festa dura sino all’alba. Il giorno dopo, la città è straordinariamente pulita e ordinata. Negli uffici, l’assenteismo cala addirittura dal 15 al 10 per cento. Chi aspettava la Napoli dei pazzarielli, il caos, l’entusiasmo balordo, per criticare e condannare come sempre, resta deluso. Della festa, e per lungo tempo, restano le strade e i palazzi dipinti di azzurro, gli scudetti giganteschi dipinti ovunque, un’euforia pacata, una gioia misurata.

Ma dietro la festa, dietro la gioia, si allungano ombre.

8/9/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 35
di Mimmo Carratelli


bianchi
Bianchi


Non è tutta felicità quella che riluce. Succedono cose strane. Cos’è stata quella biglia d’acciaio lanciata contro la tua Mercedes, pibe? Era la notte del 2 novembre 1986. Le due di notte. Dove andavi, malandrino? Rilasci dichiarazioni misteriose: “Sono accadute certe cose, ora mi sento più cattivo, non so se resterò dopo il 1988”. Si rafforzano le voci sulle tue notti bianche. Sei irritato.

I tuoi continui viaggi aerei, premiazioni e partite amichevoli, innervosiscono Bianchi. Settembre 1986: con un jet privato la “Puma” ti porta a Monaco di Baviera, stai anche male. A novembre, sei sempre su un aereo: andata e ritorno a Parigi, hai vinto il Pallone d’oro, la festa è al “Lido”; voli a Madrid prima di Napoli-Empoli 4-0 e a Barcellona la settimana successiva prima di Napoli-Verona 0-0. Voli in Argentina per le feste di fine anno. Gennaio 1987: ambasciatore dell’Unicef, giochi a Tokyo una partita di beneficenza, un miliardo di incasso, ma torni in tempo per la vittoria di Udine (3-0 con la tua “doppietta”). 16 marzo 1987: prima di Inter-Napoli (1-0, sconfitta immeritata) partecipi a Milano agli Oscar mondiali, incontro-scontro con Pelè. 19 marzo: corri in Ferrari a Roma dove c’è la nazionale argentina, serata al night, ruzzolone che peggiora il tuo mal di schiena. Aprile 1987: voli due volte in Argentina per la nascita di Dalmita e poi per le vacanze di Pasqua. Voli a Montecarlo per ricevere la “Piuma d’oro”, festa al Circo del varietà, ti esibisci in un palleggio col principe Alberto, vorresti conoscere Carolina, ma c’è solo Stephanie alla festa, col vecchio Ranieri, tu e Coppola fate l’alba nel night dello Sporting Club. Lo scrittore Luigi Compagnone scrive: “Maradona è un idolo che fa il comodo suo, viaggia troppo”.

I compagni ti adorano, Ferlaino finge di non “sapere”, l’Orso Bianchi mugugna. Il 17 maggio 1987, si gioca l’ultima partita ad Ascoli (1-1) con lo scudetto già conquistato. A otto minuti dalla fine, Bianchi lascia il campo furibondo. Il pareggio salva l’Ascoli dalla retrocessione e condanna il Brescia, la città dove l’Orso è nato, e l’Atalanta (a Bergamo ha casa). Non si sa che cosa succeda nello spogliatoio. S’afferra un coro: “Te ne vai o no, te ne vai si o no?”. E’ diretto a Bianchi, che si è appartato con Ferlaino, ma i giocatori dicono che era diretto a Carnevale. Putiferio. Sul pullman per Pescara dove la squadra prenderà l’aereo per Napoli, mutismo generale.

Fai il duro e dici: “Il tecnico si sente perseguitato? Chi sta male se ne vada”. E’ una bella bordata. Aggiungi: “Non si possono dire certe cose per una partita pareggiata”. Coda velenosa allo scudetto, scatta persino un’inchiesta federale. Pretendi troppo quando dici: “Se il Napoli non compra mio fratello Hugo, me ne vado con lui a giocare in un’altra squadra”. Il Napoli ti accontenta: ingaggia Hugo, pagandolo 400 milioni all’Argentinos Juniors e lo dirotterà all’Ascoli.

L’aereo da Pescara giunge alle 21.10. La città è in festa. C’è un corteo di carri, provenienti da Nola, che sbuca alla Riviera di Chiaia. Con tutta la squadra sei nell’Auditorium della Rai di Napoli per il megashow in tv condotto da Gianni Minà. Al “San Paolo”, dove hanno montato un megaschermo, c’è folla come a una partita. Fuochi d’artificio a Mergellina e al molo Beverello. Un fumogeno azzurro si leva dalla collina di Posillipo. E’ la festa bis. Un altro spettacolo si svolge a Castel dell’Ovo.

Fai la “pagella” dei compagni: Garella è un omone buono buono che respinge sempre, Bruscolotti è il vero capitano, Ferrara è il più grande degli ultimi tempi, Bagni è un guerriero, Ferrario è un grandissimo che ride e piange, Renica è un bambinone, Caffarelli ha una velocità incredibile, De Napoli nel giro di due anni sarà il centrocampista più forte, Giordano è un fenomeno, Romano ci ha dato equilibrio, Bianchi ha vinto insieme a tutta la squadra che aveva bisogno di qualche consiglio. Aggiungi: “Uno scudetto del Napoli vale tre volte più di ogni altro”. La camorra chiude in passivo i conti del totonero: lo scudetto del Napoli le costa 260 miliardi di vincite pagate.

Vengono annunciati gli acquisti di Careca e Francini. E, intanto, il Napoli vola in Coppa Italia.

12/9/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate – 36
di Mimmo Carratelli








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Foto tratta dal sito ufficiale (www.diegomaradona.com)


Scudetto e Coppa Italia, è l’ambata del 1987. In Coppa, un girone di qualificazione alla grande. Cinque vittorie su cinque partite, dieci gol scaraventati nelle porte avversarie. Voliamo, pibe.

Il torneo comincia nell’agosto 1986. Tutte in trasferta le prime tre partite. Due a zero a Ferrara e fai un gol alla Spal. Due a zero a Roma e fai un gol alla Lazio. Ti diverti, pibe. Sei tornato campione del mondo dal Messico. Svolazzi.

Salti le successive due partite: Fiorentina-Napoli 0-1 gol di De Napoli, Napoli-Vicenza 2-1 a Benevento gol di Muro e Giordano. Rientri per Napoli-Cesena (3-1) e metti a segno un’altra rete.

Si riprende a febbraio, partite al mercoledì mentre matura lo scudetto. Eliminato negli ottavi di finale il Brescia di Beccalossi battuto in casa e fuori, 3-0 il punteggio fisso. All’andata fai un gol, al ritorno salti il match.

Quarti di finale ad aprile contro il Bologna di Pecci, il simpatico piedone che ha 31anni e, l’anno prima, è andato via da Napoli perché non prendeva mai l’aereo e si era stancato di correre in auto fra il golfo e Bologna. Nel Bologna gioca Musella, il nostro ragazzo di Fuorigrotta, gioca Marocchino che non ha bisogno di giocare perché è ricco di suo e, in campo, fa il gagà. Tre a zero secco all’andata, giochi solo il secondo tempo al posto di Giordano e fai il terzo gol. Goleada in trasferta al ritorno (4-2): entri sempre nel secondo tempo, stavolta al posto di Romano, e metti a segno un rigore.

Semifinale non proibitiva contro il Cagliari allenato da Giagnoni, l’allenatore col colbacco. Decidi la partita dell’andata in Sardegna (1-0). Sei forte, Dieguito. Al ritorno è una passeggiata (4-1), Bruno Giordano fa due gol.

Finalissima con partite di andata e ritorno, ultimo avversario l’Atalanta. L’allena Sonetti. E’ squadra grintosa, ci gioca lo svedese Stroemberg. Il vero avversario è il pubblico bergamasco. Ma il Napoli mette al sicuro il risultato al “San Paolo”, 3-0 perentorio. Il ritorno, con lo scudetto già conquistato, è una bolgia. Dai tifosi atalantini cori e ingiurie. Beceri col loro antimeridionalismo viscerale, come i bresciani e i veronesi. A cinque minuti dalla fine, un gol di Giordano gli schiaccia il cuore. Putiferio sugli spalti.

Alzi il trofeo al cielo, olè. E’ il 13 giugno 1987, un sabato. Il Napoli non vinceva la Coppa Italia da undici anni quando c’erano Carmignani, La Palma, Savoldi, Totonno Juliano, Peppiniello Massa, Braglia che tutti chiamavamo “Giorgio Guitar” e sbagliava i gol facili, c’era persino Burgnich, e poi Birillo Orlandini e Ciccio Esposito, ed era il Napoli ardente di Vinicio. C’era Peppe Bruscolotti che c’è ancora, l’azzurro di più lungo corso di tutti.

Con 10 gol Giordano è il cannoniere della Coppa. Tu hai messo a segno sette centri. Hola, Diego. La palla è in rete, la vita è bella. Arriva l’estate, buone vacanze? Macché. Non riposi mai.

Tre giorni prima della partita di Bergamo sei volato a Zurigo per l’amichevole Italia-Argentina. Segni un gol a Zenga, ma l’Italia vince 3-1 con tre napoletani in squadra: Ferrara che ti marca un po’ sorridendo un po’ facendo molto sul serio, Bagni e De Napoli che segna il primo gol. La trasferta rimane memorabile per l’incontro con Pelè e le frecciate che vi scambiate. Comincia il brasiliano: “Diego è grasso, non durerà 25 anni come me. Io ho giocato mille partite e segnato mille gol. Maradona, mio erede? Vinca ancora e poi ne riparleremo”. Replichi alla grande: “Io grasso? Dico a Pelè che un uomo grasso, uno con la pancia, lo ha fatto grande. Si chiama Coutinho”.

Hai conosciuto ‘o rey che avevi 17 anni. Successe a Buenos Aires nella villa di un petroliere. Ti coccolò quella volta e suonò per te la chitarra. Ma appena sei cresciuto e sei diventato il più forte del mondo, gli è venuta l’invidia. Stai tranquillo, Diego. A Napoli abbiamo già sentenziato con una canzoncina popolare: “Maradona è meglio ‘e Pelè”. Vox populi.

Non ti riposi e sabato 8 agosto sei a Wembley per giocare nel Resto del Mondo con Platini (c’è anche Bagni). In tribuna Pelè. Perdi la partita 0-3 contro la Rappresentativa britannica. Gli inglesi ti fischiano: non hanno dimenticato come li hai travolti in Messico e hanno un rancore fisso per quel gol col pugno sinistro. Titolano i giornali londinesi: “Maradona genio e imbroglione”. Replicano i giornali argentini: “La mano? Chi ruba a un ladro ha cento anni di perdono”. Ladri delle Malvinas sono considerati gli inglesi a Buenos Aires. Ruggine fra i due Paesi. Le Malvinas, al largo della Patagonia argentina, sono una ferita aperta. Sono le isole del dissidio e della guerra del 1982, rivendicate contro gli inglesi, isole Falkland per loro. Ironizza sprezzante un tabloid londinese: “Colpevole del gol di mano in Messico non è stato Maradona, ma il portiere Shilton. Saltando contro un nano avrebbe dovuto precederlo in ogni caso sul pallone”. Ti chiamano nano i perfidi dell’ex impero che non comandano più neanche nel calcio.

Eri a Merano per curarti un po’, anche una caviglia in disordine. Ma non hai voluto mancare all’appuntamento di Wembley soprattutto perché a Londra dicevano che non avresti avuto il coraggio di mostrarti agli inglesi. Invece arrivi all’ultimo momento, giochi davanti a 60mila persone che ti fischiano ogni volta che tocchi la palla, gli sorridi perché li hai già beffati, intaschi i 250 milioni del gettone di presenza e te ne vai, sbarazzino e impudente, scugnizzo totale.


16/9/2004


La favola di Maradona

La sua storia a puntate – 37
di Mimmo Carratelli


moggi
Luciano Moggi

21 luglio 1987, ritiro precampionato del Napoli a Madonna di Campiglio. I nuovi arrivi: Francini, che farà coppia con Ferrara dopo il ritiro di Bruscolotti a 37 anni col record assoluto di presenze in azzurro (511), e Antonio Careca, il vicecannoniere brasiliano del Mondiale 1986, cinque reti, e portava i baffi. Careca, 27 anni, giunge dal San Paolo, lo aiuta a imparare l’italiano l’agente Uefa Rosellini che ha favorito il suo passaggio al Napoli.

Ti aspettiamo, pibe. Il Real Madrid sarà l’avversario nel primo turno di Coppa dei campioni, sorteggio bestiale. Italo Allodi, che sta meglio in salute, viene a salutare gli azzurri. Arrivi il 30 luglio, a notte inoltrata, reduce da una stressante Coppa America e dalle vacanze a Cuba. Il Napoli si è trasferito a Lodrone e fa una partitella col Rovereto (primo gol di Careca). Sei in tribuna con Claudia e Dalmita.

E’ arrivato Luciano Moggi, consulente di Ferlaino, e Pierpaolo Marino se ne va, non gradisce. Allodi è lontano. Hai qualcosa da dire al Napoli, mentre il Real Madrid fa sapere che ti vorrebbe: “Voglio un contratto per altri quattro anni, altrimenti vado via”. Che cosa ti succede, pibe? Il tuo contratto scade nel 1989. “Fino a quella data suderò e lavorerò per il Napoli”. Meno male, ma qualcosa scricchiola.

Scendi in campo nell’amichevole di Trento, lo scudetto sulle maglie azzurre, fai anche un gol. Poi, il 7 agosto, voli in Inghilterra con Bagni per la partita del Resto del mondo. Torni per giocare a Brescia domenica 9 agosto. Non ti fermi un momento.

Maledetta amichevole, beceri bresciani. Il coro degli insulti comincia mezz’ora prima della partita. “Terrone, paga le tasse”. “Lavatevi”. Entri in campo nel secondo tempo sotto gli insulti più volgari per tutta la ripresa. Il Napoli vince 3-1, “doppietta” di Giordano e poi la tua “firma”. Il 12 agosto il Napoli vola ad Amburgo, amichevole internazionale, segni un gol su rigore, i tedeschi vincono 3-2.

Vernissage al “San Paolo” contro il Rosario Central, 40mila spettatori. Ma che cosa succede? Gli argentini segnano un gol, il pubblico fischia. Incredibile, ti fischiano per un dribbling sbagliato, poi per il rigore che ti fai parare. Fischi a Maradona, al re dello scudetto, allo scugnizzo dei nostro sogni? Proprio così. Te la prendi molto: “A fine contratto andrò via. Dopo l’89 i tifosi del Napoli non potranno più fischiarmi”.

Per fortuna, c’è qualche notizia allegra. Entri in sala d’incisione con tutta la squadra e registri l’inno del Napoli, “La favola più bella”, sette voci soliste, tu, Bagni, Giordano, Ferrario, Sola, Romano e Carnevale, gli altri a fare il coro. L’inno l’ha scritto Emilio Campassi, l’autore della canzone “Maradona è meglio ‘e Pelè”, un successone.

Torna l’armonia? Racconti il tuo incontro a Cuba con Fidel Castro. Lui ti ha chiesto: “Quando colpisci la pelota di testa non ti fa male il capo? Qui la pelota significa solo baseball”. Tu gli hai detto: “Comandante, non ha mai pensato di tagliarsi la barba?”. “Una sola volta, ma sarebbe stato un errore, la mia barba è un simbolo per molti”, ha risposto il companero. Avete mangiato ostriche, hai promesso di giocare una partita a Cuba con Valdano, poi Fidel ti ha domandato: “Dove tieni il danaro che guadagni?”. Hai risposto: “Lo investo in Argentina e in Italia, ma ai tempi del Barcellona ho perduto molta plata, molto danaro, molto”. E Fidel: “Pensa che io, uomo di sinistra, ho giocato al calcio all’ala destra, poi mi sono dedicato al basket e al baseball. Ora faccio mezz’ora di nuoto al giorno e un amico mi prende i tempi. Ma Napoli è a sud o a nord di Roma, e ti ci trovi bene?”. “A sud, comandante. Proprio bene non mi ci trovo, non posso uscire di casa, devo cambiare continuamente il numero del telefono. I napoletani sono fatti così. Mi paragonano a san Gennaro. Non vivo, ma non ho altra scelta”.

E’ cominciata la Coppa Italia il 23 agosto. Giochi quattro partite intere. Segni un gol contro il Modena (4-0), il Napoli vince a Livorno 2-0, segni a Udine e un’altra rete la fa Careca (2-0), vittoria sul Padova (1-0), successo sulla Fiorentina (2-1) con un tuo calcio di rigore. Il Napoli vola alto e non ti risparmi. Fra amichevoli, Coppa e Wembley hai giocato nove partite in un mese.

E’ una corsa pazzesca. Comincia il campionato 1987-88. Appena il tempo di giocare e vincere a Cesena (1-0), gol di Bagni, e ci tuffiamo nella Coppa dei campioni. Ricordo le tue parole: “E’ un sogno. Da noi abbiamo la Coppa Libertadores, ma io dopo la vittoria in campionato col Boca non l’ho giocata perché andai al Barcellona”. Ma in che condizioni sei, pibe, per questo sogno?

20/9/2004
view post Posted: 3/4/2016, 16:43     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 23
di Mimmo Carratelli

maradona17



Tutto si fa per te, Diego. Ma dove vogliamo arrivare? Il Napoli assume persino uno psicologo, il professore Di Maio (l’aveva già fatto Lauro). Noleggia un mini-jet per tutti gli spostamenti della squadra. Ma l’aereo balla troppo e perde quota per un vuoto d’aria mentre si va in ritiro a Madonna di Campiglio. Dopo l’atterraggio “miracoloso” a Verona viene tolto di mezzo. Tu arriverai più tardi e gli azzurri ti raccontano la brutta avventura.

Partitelle per cominciare. E, a Macerata, il gran gesto di Bruscolotti, capitano storico. Ti cede la “fascia”. Un omaggio dovuto, ma fatto col cuore. Non c’è solo rispetto per la tua classe, ma anche affetto perché sei un ragazzo generoso, trasmetti allegria, non metti mai distanza fra te e i compagni. Sei un campione di grandi sentimenti e solidarietà. E per il Napoli stringi i denti: hai una infiammazione al ginocchio destro che ti tormenta. Viene il tuo vecchio amico Ruben Oliva, da Milano, il “mago” della rapida guarigione spagnola dopo il calcio del killer Goichoechea. Hai bisogno di un po’ di riposo.

Va male la Coppa Italia, eliminati. Sei pronto per il campionato. Il ginocchio ti tradisce a Pisa e fallisci il gol della vittoria. Pazienza. Metti a segno su rigore il pareggio con la Roma al “San Paolo” (1-1 e record d’incasso: un miliardo e mezzo). Maledetti pareggi. Tre di fila, prima dell’esplosione contro il Verona: 5-0. E’ festa grande. Da trenta metri beffi Giuliani con una stella filante che è il gioiello della partita, una delle prime tue straordinarie prodezze. C’è mamma Djalma in tribuna.

Vogliamo divertirci. Ci divertiamo. Arriva la Juve. Pomeriggio indimenticabile, 85mila spettatori. A metà del secondo tempo, punizione poco fuori dal limite dell’area. Tocco di Pecci e pallonetto diabolico del tuo piede mancino: Tacconi fermo come una statua, soggiogato. Questa è vita. La domenica dopo, partitone a San Siro contro l’Inter. Giordano, a inizio ripresa, ti allunga un buon pallone e tu che cosa fai? Stop di petto e sinistro al volo nella porta di Zenga. Sembra di volare. Ma l’arbitro Longhi regala all’Inter il rigore del pareggio.

Voli a Los Angeles per giocare con l’Argentina (campionato fermo, gioca l’Italia). Al ritorno, contro l’Udinese, sfoderi una meraviglia immediata: punizione diabolica nella rete di Brini. Ma i friulani pareggeranno. Picchia duro Criscimanni che tu fai ballare troppo. Reagisci all’ennesimo fallo del giocatore udinese e vieni espulso.

Ma la squadra si fa onore: senza di te va a vincere a Bari, doppietta di Giordano. C’è un guerriero che trascina il Napoli: Salvatore Bagni. E in classifica inseguiamo la Juve! Dieguito dei nostri sogni, sei in una squadra che sta diventando un gruppo compatto.

Il più furioso Bagni che io ricordi trascina il Napoli alla vittoria contro il Milan al “San Paolo”: prima dà a Giordano il pallone dell’1-0, poi si beve tre avversari e batte Terraneo per il raddoppio. Tu gioisci come un bambino (il ginocchio destro ti fa sempre male).

Fai le vacanze di fine anno in Argentina. Torni un po’ ingrassato. Ci batte il Pisa al “San Paolo”. Perdiamo colpi. Perdiamo anche Giordano: frattura della clavicola in un incidente d’auto. Lo sostituisce il malinconico Penzo. Perdiamo anche il secondo posto. Ora tutto gira al rovescio. Il tuo orgoglio esplode a Verona.

Domenica 23 febbraio 1986. Da ricordare. Veronesi col dente avvelenato per lo 0-5 al “San Paolo”. Si scatenano, conducono 2-0. Gli striscioni del tifo becero veneto dicono: “Benvenuti in Italia”. Il pubblico urla: “Lavatevi, lavatevi”. Non lo sopporti. Sei il leone che esce dalla tana e tutta la squadra ti segue. Questa partita non vuoi proprio perderla. Accorci le distanze su rigore e, a 10 minuti dalla fine, acciuffi il pareggio con un colpo di testa, tu il più grande della banda bassotti.

Il 2-2 di Verona ci sembra un’impresa da Coppa dei campioni. Sono le felicità dei primi tempi che anticipano gli scudetti.

26/07/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 24
di Mimmo Carratelli


coppola maradona


Un primo traguardo è raggiunto. Col terzo posto della stagione ‘85-‘86 il Napoli di Maradona tornerà a giocare in Europa, iscritto alla Coppa Uefa.

Il finale di campionato regala qualche soddisfazione e un paio di rovesci. Regala, pibe, una tua magia contro il Torino. Sei fuori area, pallone sul destro. Che cosa stai combinando per liberarti di Zaccarelli? Danzi? Fai un passo di minuetto? Fai il mago. Incroci il piede sinistro dietro al destro e, col piede mancino, scocchi un cross a sorpresa, un pallonetto pennellato dalla tua improvvisa invenzione acrobatica, funambolica e indimenticabile. E’ l’assist unico e straordinario per il gol di Caffarelli. Formidabile.

Castighi ancora la Juve col pareggio a Torino (1-1). Un tuo colpo di testa strega Favero che devia in rete. Vai, pibe. Alla Juve di Platini campione d’Italia soffiamo 3 punti: la vittoria dell’andata, il pari del ritorno.

Cominciamo ad assestarci tra le “grandi”. Diego, sei tutti noi. Implacabile dal dischetto, abbatti l’Inter di Zenga e Altobelli (1-0). Segni il raddoppio a San Siro contro il Milan, 2-1, dopo il gol di Giordano. Suoniamo una gran musica alla Scala del calcio. Ciro Ferrara è la nuova realtà del calcio napoletano. Il campionato termina il 27 aprile perché è l’anno dei Mondiali in Messico.

Ti sei sistemato, Diego, in via Scipione Capece a Posillipo. Non è la villa di Barcellona. Non ha la piscina. E’ un appartamento da 200 milioni l’anno pagati dal Napoli. E’ in un luogo appartato e panoramico, questo è tutto.

Per sei mesi hai vissuto al Royal, i primi sei mesi a Napoli, con tutta la banda di Barcellona. Il clan più pittoresco che abbia mai visto. Con le rispettive famiglie c’erano il cameraman Laburu che doveva filmare la tua vita e le tue prodezze, il fedele Fernando Signorini che conosceva ogni fibra del tuo corpo, l’addetto stampa Guillermo Blanco che mi sembrò una perla di ragazzo. C’erano Jorge Cyterszpiller il tuo primo manager con l’ultima sua ragazza Angie, un segretario che si faceva chiamare Nando, Ladigia un faccendiere di passaggio, il ristoratore di Barcellona Cino e Osvaldo Dalla Buona il giocatore-amico dei tempi dell’Argentinos Juniors che ti eri portato in Spagna sistemandolo in una squadra di serie B, tuo compagno inseparabile nelle notti catalane e che avevi voluto vicino anche a Napoli. E c’era l’uomo che tutti chiamavano Galindez, perché così tu lo chiamavi, e forse era quel Miguel Di Lorenzo, magazziniere dell’Argentinos Juniors, che somigliava proprio al pugile argentino Victor Galindez. Perciò gli avevi dato quel nome. Era il tuo factotum. Per qualunque cosa, dicevi: “Chiamate Galindez”. E poi c’erano, ma non sempre, i tuoi fratelli. C’era Claudia. E c’era Gabriel Esposito, il marito di tua sorella Maria, un personaggio apatico, un niente di buono, che era stato un capotifoso in Argentina e viveva alle tue spalle. Lo sopportavi a malapena ed eri affezionato ai suoi due figlioletti, Jonatan e Jorge, i tuoi primi nipoti. Lo sopportavi per via dei bambini e di tua sorella.

La banda fu dissolta quando arrivò a Napoli Guillermo Coppola, il tuo nuovo manager che, in Argentina, era il procuratore di duecento giocatori. Questo avvenne il 19 settembre 1985. Coppola l’avevi conosciuto al tempo del tuo trasferimento dall’Argentinos al Boca quando il club gialloblu, per averti in prestito, aveva dato all’Argentinos quattro milioni di dollari e sei giocatori, tutti rappresentati da Coppola. E fu al pranzo esotico con rane importate dal Giappone al quale ti invitò il Boca per festeggiare il tuo passaggio che incontrasti Coppola per la prima volta.

Il nuovo manager cambiò tutto. Gli affari in cui Cyterszpiller aveva investito i tuoi guadagni, quando eravate in Spagna, erano stati un fallimento. Si può dire, pibe, che eri di nuovo povero, o quasi. La “Maradona Producciones” fece fiasco a Napoli. Coppola aprì un ufficio in via Petrarca smantellando il faraonico alloggiamento di Cyterszpiller in via Manzoni: otto stanze, cinque linee telefoniche, 40 milioni di spese al mese. Gli sponsor che Jorge aveva procurato non pagavano o pagavano male. Il Napoli ti ridette ossigeno.

Nel caos della tua vita, ricordo una sola persona in gamba, onesta, leale, attenta: Cecilia Pagni, di origini argentine, che fu la tua segretaria personale per tutto il periodo napoletano.


30/7/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 25
di Mimmo Carratelli




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Diego Maradona in nazionale nel 1986
(foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Ricordo bene quello che dicevi, pibe. “Vorrei il mondiale, lo scudetto col Napoli e un figlio”. Hai 26 anni. Il mondiale ti è sfuggito in Spagna nell’82, ingabbiato da Gentile ed eliminato dagli azzurri di Bearzot. Lo scudetto non è ancora apparso nel golfo. E il figlio, questo tuo desiderio prepotente, il figlio chissà se verrà.

Vamos a ganar in Messico? La nazionale biancoceleste, ecco la passione tua grande. Andavi e venivi sull’oceano per la maglia biancoceleste. Ricordo l’incredibile giostra del primo anno che eri a Napoli, verso la fine del campionato ’84-’85.

Domenica 5 maggio, giochi contro la Juve (0-0) al “San Paolo”. La sera, parti a razzo in auto per Fiumicino. Lunedì mattina, prendi l’aereo per Buenos Aires. Giovedì giochi contro il Paraguay (1-1). Venerdì ti imbarchi su un aereo della Varig, volo Buenos Aires-Rio-Roma. Sabato voli da Roma a Trieste. Da Trieste corri in macchina (70 chilometri) a Udine e arrivi all’ora di cena. Il giorno dopo, domenica, giochi contro l’Udinese (2-2, metti a segno una doppietta, gol finale e spudorato con la “manina” che fa incavolare Zico). Non è finita. Domenica sera, riprendi l’auto per Trieste, da qui in aerotaxi per Fiumicino. Voli ancora a Buenos Aires. Martedì giochi contro il Cile (2-0, segni un gol). E rientri in Italia per giocare, domenica 19 maggio, contro la Fiorentina al “San Paolo”, lancio smarcante per Caffarelli che sigla l’1-0. In due settimane non ti sei mai fermato.

Mondiale 1986. Insegui il sogno. C’è Bilardo sulla panchina della nazionale al posto di Menotti. Ti ha già detto: “Sei il giocatore più rappresentativo, sei l’unico titolare certo”. Ci mancherebbe. Daniel Passarella si sente detronizzato, fa le bizze. Lui era l’”intoccabile” della Selecciòn, il “capitano” che Menotti coccolava, il leader. Spara: “O gioco titolare o non gioco”. Si farà da parte dopo le qualificazioni. Sei tu il leader, pibe.

Le qualificazioni per il Mondiale messicano sono un tormento. Ti seguiamo dovunque. E’ come se Napoli giocasse con te. Attorno alla nazionale argentina fioccano le polemiche e si monta una polemica fra te e Passarella. Su tutti i campi sudamericani, l’Argentina è la squadra a battere a ogni costo. Una questione d’orgoglio. Un clima infuocato.

Sbarchi a San Cristobal, in Venezuela, e all’aeroporto un pazzo ti sputa addosso. In campo, un venezuelano ti colpisce al ginocchio destro, quello che ti fa soffrire. Sei nelle mani del dottore Eduardo Madera. Borsa di ghiaccio e via. L’Argentina batte il Venezuela 3-2. A Bogotà, 3-1 alla Colombia.

Ma i tifosi non sono contenti. Fischiano al “Monumental” di Buenos Aires quando battete il Venezuela (3-0). Fate fuori la Colombia (1-0) anche al “ritorno”. Sono decisive le partite col Perù. A Lima, ti prende in consegna Reyna e non ti molla un attimo. “Mi avrebbe seguito anche in bagno”. Sconfitta per 0-1. Il “ritorno” a Buenos Aires è una partita alla morte. Classifica: Argentina 8 punti, Perù 7 punti. I peruviani devono vincere per qualificarsi. E ci danno sotto da matti.

Per molto tempo, il ricordo di quella partita è stato un incubo per te, pibe. Beccate due gol in contropiede. Un disastro. I fischi raddoppiano. Ci vuole un miracolo. Lo fa Pasculli accorciando le distanze all’inizio della ripresa. Ti lascio raccontare l’incredibile pareggio a dieci minuti dalla fine. C’è ancora Passarella in nazionale. “A dieci minuti dalla fine pareggiammo. Neanche vidi chi segnò. Corsi ad abbracciare Pedrito Pasculli. C’era stato un tiro di Passarella e, non so come, Gareca l’aveva deviato in rete. Il pareggio ci qualificava”.

Questo fu solo l’inizio di una bellissima avventura. Un giorno avevi detto: “Oggi come oggi, tra il Napoli e la Selecciòn, scelgo la Selecciòn”. Ti avevamo perdonato perché non poteva che essere così e, poi, perché avevi castigato la Juve al “San Paolo” con un calcio di punizione indimenticabile. Al Mondiale messicano avremmo tifato per te.


3/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 26
di Mimmo Carratelli




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Diego Maradona al Mondiale del 1986
(foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)




Hola Diego, si va al Mondiale dell’86: in giugno e in Messico. Sono tre anni che ci pensi. Da tre mesi ci pensi fortemente. Passarella si è tirato fuori, sei tu il leader. Che squadra farà Bilardo? E’ marzo: Bilardo viene a Napoli. Gli raccomandi di convocare il “Tolo” Gallego e il “Guaso” Domenech. Non li convocherà. Gli dici di non lasciar fuori Fillol e Barbas. Li lascerà fuori. Gli consigli di considerare Ramon Diaz. Niente.

Sarà dura, pensi. Vieni fuori con una novità: ti sei fatta crescere la barba. Dici che te lo ha chiesto tua sorella Lili: vuole vederti con una barba da macho. Sei un po’ giù. Ti riassesti al Centro di medicina del Coni a Roma. Un incontro fortunato col professore Antonio Dal Monte e i suoi portentosi macchinari.

Le amichevoli di preparazione al Mondiale non sono un gran che. Fioccano le critiche, lo scetticismo e il disamore. Scende in campo persino il presidente argentino. Dice Raul Alfonsin che la nazionale non gli piace e Bilardo deve essere sostituito. Fai il leader e rispondi: “Se va via Bilardo, vado via anch’io”. Credevi a una bella avventura e, invece, ti senti sul “Titanic”. Ma non vuoi affondare. E’ già successo in Spagna e la storia non si ripeterà.

Nel ritiro messicano, pretendi un faccia a faccia con tutti. Meglio dirsi le cose come stanno, sputare i rospi e giurare fedeltà e solidarietà. E’ una bella scossa. Fuori, il clima è sempre contrario.

Ora va meglio nella nazionale. Luis Cuciuffo, il difensore magro come un chiodo, baffetti neri, nipote di un barbiere siciliano, ha portato in ritiro una statua della Madonna che è alta mezzo metro. Il portiere di riserva Luis Islas suona la chitarra. Comincia qualche rito scaramantico. Dividi la camera con Pedrito Pasculli. Per il Napoli c’è in Messico Pier Paolo Marino. Carmando, il massaggiatore napoletano che ti bacia in testa prima d’ogni partita, è con te e ti sorregge con l’esafosfin, un ricostituente, la polvere bianca che sciogli in un bicchiere d’acqua.

Non bastasse l’altitudine messicana, si gioca a mezzogiorno e devi alzarti alle otto del mattino. Deplorevole per le tue abitudini, disumano per i calciatori. Ma Joao Havelange, l’arrogante presidente brasiliano della Fifa, tuona: “Dovete rispettare chi sta in alto”. Lo inchioderesti al palo di una porta.

Il debutto è contro la Corea del sud allo Stadio olimpico di Città di Messico, 2300 metri sul livello del mare. Ti massacrano di botte, l’arbitro spagnolo Sanchez Arminio lascia fare e meno male che la Fifa ha dichiarato guerra al gioco violento! Due volte va a segno Valdano, il poeta, e una volta Ruggeri. 3-1, pratica sbrigata.

Trasferimento a Puebla tre giorni dopo. Hai di fronte l’Italia che schiera alcuni reduci di Spagna 82 e poche novità di scarso rilievo. Bearzot è legato ai suoi campioni del mondo. Rinnova poco. Ma dove potrà arrivare un’ Italia col piccolo Galderisi e il taciturno Di Gennaro? C’è Bruno Conti all’ala destra, ci sono Bergomi, Cabrini, Altobelli, Scirea. Ci sono De Napoli, che gioca ancora nell’Avellino, e Bagni, il guerriero del Napoli. Fa capolino Vialli. Vanno in vantaggio gli azzurri con un rigore di Altobelli. Mezz’ora dopo confezioni il tuo terzo gol mondiale (due li hai fatti in Spagna). E’ un gioiello che infinocchia il portiere Galli.

Il lancio di Valdano è un pallone spiovente, non gli fai toccare terra, anticipi Scirea e, al volo, piazzi di sinistro un pallonetto lungo e beffardo che lascia Galli impalato a mezza via mentre sta per venirti incontro.

Tifiamo decisamente Argentina quando l’Italia va fuori negli ottavi di finale, eliminata dalla Francia di Platini. Intanto, l’Argentina vola.

Di nuovo all’Olimpico di Città di Messico, 2-0 alla Bulgaria. Segna Valdano, raddoppia Burruchaga su un tuo cross magico. Negli ottavi di finale, a Puebla, Pedrito Pasculli fa fuori l’Uruguay (1-0). L’arbitro è Agnolin. “Non mi assillate perché vi meno tutti”. Dice sul serio. Dà una spinta all’uruguayano Francescoli e una gomitata al tuo compagno Giusti. A te annulla un gol perché ti sei liberato troppo disinvoltamente da Bossio.

E andiamo a goderci il rush finale.

7/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 27
di Mimmo Carratelli





maradona21

Mondiale 1986. Dove stai andando, Dieguito? Al settimo cielo. E’ il quarto di finale contro l’Inghilterra a Città di Messico. E’ il secondo tempo. Ricevi e dai la palla a Valdano e il poeta ti fa un lesto passaggio-cross. Stai volando in area, pibe. La tua testa ricciuta è lassù. Il pugno sinistro attaccato alla testa. Ispirazione improvvisa? Gesto involontario o furbata meditata in un attimo? E’ un match che pochi vedono nei dettagli: il tuo pugno sinistro ben nascosto dietro la testa, il pugno destro protesto di Shilton che ha abbandonato la porta attratto dal fatale duello aereo. Vince il tuo pugno mancino. La palla è in rete, l’Argentina è in vantaggio.

Attimi indimenticabili. Dai un’occhiata al guardalinee e vedi che corre verso il centro del campo. Il sole negli occhi non gli ha fatto veder nulla. L’arbitro tunisino Ben Naucer, dalla parte opposta, ha visto solo un colpo di testa. Nessuno ha visto il pugno malandrino.

Commetti un errore e Valdano ti sta sgridando. Stai festeggiando alzando proprio il pugno proibito. Ma è tutto regolare. Neanche Shilton s’è accorto di nulla. Se n’è accorto Fenwich che ti rincorreva alle spalle e ha visto e sta protestando inutilmente. La “mano de Dios” diventerà leggenda. Ci sei riuscito a Udine a dispetto di Zico, ma questo colpetto all’Inghilterra resterà memorabile.

Passano quattro minuti. Sei su di giri. E’ il raddoppio, è il tuo trionfo.

Hola-hola-hola-hola! Vai come il vento, Diego, sull’allungo del Negro Enrique. Settanta metri fra te e la porta degli inglesi. E “quelli delle Malvinas” sono tutti nella loro metà campo. E’ un terreno trincerato. Metti il pallone a terra, bene, e ora che cosa hai in testa, negli occhi, nel cuore, nei piedi? Come ti muoverai? A chi darai la palla che, in avanti, c’è appena Valdano che sta correndo sulla sinistra?

Te ne vai sulla destra, tu solo, rapido. Sgusci tra Beardsley e Reid che sentono il fruscio del tuo passaggio fatato, inchiodati dalla serpentina magica.

Oplà, superi Butcher. Birilli, ecco che cosa sono i difensori inglesi. Chi barcolla a sinistra, chi cade a destra. E tu fili lungo il corridoio delle tue sette leghe. Sei un gatto che gioca col suo gomitolo, lo spinge e non lo molla, e gli inglesi si aprono al tuo passaggio.

Che cosa fa Fenwich? E’ indeciso. E’ fra te e Valdano. So che cosa stai pensando, Diego. Se l’inglese si fa sotto, tu dai la palla a Valdano. Rapida la finta, accenni ad andare verso il centro e ti sposti sulla destra. Fenwich si decide e ti arriva addosso con una falciata. Lo sapevi e lo eviti. Da metà campo, è successo tutto in un baleno.

Sei davanti a Shilton, posizione angolatissima, vicino al palo sinistro del portiere inglese, uno spiraglio impossibile. Il portiere abbocca alla tua ultima finta e il pallone è in rete, mentre ti piomba alle spalle Butcher il biondo e ti molla un calcione tardivo. Hai già le braccia al cielo. Hai matato mezza Inghilterra. “Il Barba mi aiutò” dirai. Il Barba è Dio.

Gli inglesi accorceranno le distanze con Lineker a nove minuti dalla fine e gli girano ancora le scatole per il furto con destrezza del primo gol. 2-1 e passaggio in semifinale dell’Argentina.

Negli spogliatoi è una festa selvaggia. “Ti stavo guardando” dici a Valdano. E il poeta: “Hai fatto un gol in quel modo e stavi guardando me?”. Il Negro Enrique dice che il passaggio te l’ha fatto lui. “Se non la mettevi dentro, t’ammazzavo” aggiunge. “Tu? Ma se mi hai dato la palla solo a metà campo” gli rispondi pazzo di gioia.

E sul gol con il pugno? Silenzio rispettoso e omaggio alla diavoleria artistica. Ai microfoni della Bbc hai la suprema sfrontatezza di dire: “Un gol assolutamente legittimo perché convalidato dall’arbitro”. Prendi fiato e dai la seconda stoccata: “Io non sono nessuno per dubitare dell’onestà dell’arbitro”.

Un giorno Piola ti dirà: “Anch’io segnai un gol di mano agli inglesi e fu una gran festa”.

Sulla serpentina del secondo gol, ti torna in mente la medesima azione che facesti a Wembley mandando alla fine la palla fuori con un tiro precipitoso. Stavolta hai aspettato un attimo, il tempo per far fuori Shilton con una finta. Sbagliando s’impara.

In semifinale, ti ripeti. In un quarto d’ora, sempre nella ripresa, sistemi il Belgio. Ancora due gol (2-0). E ancora un pallone filante fra mezza difesa belga, come il secondo gol agli inglesi, il tuo marchio mondiale. Stavolta sgusci sulla sinistra, scatti tra De Mol e Vervoort e li lasci secchi, eviti Geretz e castighi Pfaff. Il portiere, sulla prodezza finale sganciata dal tuo sinistro magico, si siede soggiogato, interrompendo la sua uscita di porta.

11/8/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 28
di Mimmo Carratelli




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Diego Maradona e il portiere tedesco Schumacher
(foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Sono cadute tutte le “grandi”. L’Italia è uscita negli ottavi di finale. Il Brasile di Socrates, Alemao e Careca ha terminato la corsa nei quarti ai rigori, non c’è più l’Inghilterra del cannoniere Lineker, non c’è più l’Urss, non c’è più la Spagna di Butragueno, l’avvoltoio. La finale mondiale 1986 è Argentina-Germania, 29 giugno, domenica. Allo stadio Azteca. 115mila spettatori.

I tedeschi del ct Beckenbauer hanno giocato un girone sofferto: pari con l’Uruguay, vittoria sulla Scozia, sconfitta con la Danimarca. Negli ottavi hanno battuto il Marocco con un gol di Matthaeus. Nei quarti hanno vinto ai rigori contro il Messico e, in semifinale, hanno fatto fuori la Francia di Platini. Sono tosti.

In finale schierano: Schumacher; Berthold, Briegel; Eder, Foerster, Jacobs; Brehme, Matthaeus, Rummenigge, Magath, Allofs. Col terzino Brehme all’ala destra promettono di chiudere tutti i varchi. Devono imprigionare la tua magia.

Bilardo manda in campo questa Argentina: Pumpido; Cuciuffo, Olarticoechea; Batista, Ruggeri, Brown; Burruchaga, Giusti, Enrique, Maradona, Valdano.

Hola, Diego. Novanta minuti al titolo di campione del mondo, così vicino, così angoscioso. Una finale è una partita senza scampo. Gol e scaramanzie hanno funzionato sinora. Rispettato e ripetuto il cerimoniale dopo la prima vittoria: shopping ai Magazzini Perisur, passeggiate col Negro Galindez che canta un bolero, visita al ristorante “Mi Viejo” del grassone che giocava con Bilardo nell’Estudiantes.

Il tuo cuore batte, Diego. I tedeschi hanno una brutta maglia verde. Guardi il cielo, ti fai il segno della croce. Vamos. E’ mezzogiorno a Città di Messico, le venti in Italia, a Napoli c’è un silenzio immenso, tutti davanti ai televisori, fosforescenze blu dietro i vetri delle case.

Come annunciato, il piccolo e tenace Matthaeus, di un anno più giovane, ti monta la guardia. Così ha deciso Kaiser Franz. Briegel ti ha già marcato cinque volte ed è stata dura per te, pibe. Ma stavolta Briegel deve “fluidificare”, spingere sulla fascia sinistra, non deve sacrificarsi più e, infatti, fa il matto. Il sacrificio è tutto di Matthaeus. E su Briegel deve dannarsi Valdano a non lasciarlo andare.

Il campo è il fondo di un vulcano variopinto. La partita è lenta e accorta. I messicani fischiano. Dove sei, Dieguito? Rintanato, quasi in ombra, prigioniero di una emozione grande e di una partita a scacchi. Nessuno vuole sbagliare la prima mossa. Protesti per una punizione che l’arbitro brasiliano Arppi Filho fa battere due volte ai tedeschi. Vedi il cartellino giallo, abbassi la testa. Il match è un blocco di ghiaccio che non si scioglie. Non s’indovina quale sarà la mossa vincente se non liberi il genio dalla lampada. Tocchetti, cerchi la posizione e Matthaeus non ti molla.

Quando va così, è un errore che rompe l’attesa. Ed ecco Schumacher che, sulla punizione-cross dalla destra di Burruchaga, il grande protagonista di questa finale, fa il cacciatore di farfalle, sbaglia il tempo e manca il pallone che il vecchio Brown, 30 anni, “el Tata Brown”, il babbo Brown, il sostituto di Passerella, di testa devia in rete. Il “libero” è venuto improvvisamente avanti e i tedeschi si sono dimenticati di marcarlo. Mamita mia, stiamo ganando. L’urlo di Napoli non puoi sentirlo.

Intervallo, cuori sospesi, sguardi febbrili. In campo, però, più leggeri. E raddoppio immediato. L’inesauribile Enrique conquista e rilancia palloni. Uno l’affida a Jorge Valdano che scatta e, stavolta, Schumacher non ha colpe, è infilato senza misericordia. Mamita, mamita. Il secondo urlo di Napoli puoi immaginarlo?

Manca mezz’ora alla fine della partita. Due a zero, che cosa può cambiare? La Coppa è là che ti aspetta. E’ ai bordi del campo. Brilla come una stella. La guardi. E il destino deve ancora compiersi. E sarà tutto una sorpresa e una sofferenza.

15/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 29
di Mimmo Carratelli



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Mezz’ora alla fine e i tedeschi non sono mai morti. Metodici, testardi, sotto di due gol, ma non s’arrendono. Sullo stadio Azteca, implacabile il sole delle ore 13. Diego, dove sei? Mancano le tue veroniche, il dribbling magico, la puntata irresistibile. Se non segni tu, che finale è? Dove sei, Dieguito? Quasi non ti si vede. Si vede Brown che, dopo una brutta caduta, sta giocando col braccio lussato fasciato e attaccato al corpo, come Beckenbauer contro l’Italia nel 1970, e il Beck ora è là a bordocampo a dirigere i crucchi.

Ma eccoti sulla destra, un guizzo, uno scatto lungo, punti verso Schumacher e, finalmente, scuoti la rete col tocco dell’artista divino. Questo è il 3-0, il tuo marchio. Ora la partita è proprio finita. Il titolo mondiale è tuo.

No. Non è finita perché l’arbitro Arppi Filho dice di no, il gol non è valido, solo lui ti ha visto in fuorigioco, per il guardalinee Ulloa tutto regolare. Hijo de puta, il brasiliano. Proprio non riesci a mettere il tuo segno su questa finale. Ritorni nella tua malinconia di centrocampo. E i crucchi confezionano il pareggio inatteso, sorprendente, micidiale. Non sono mai morti, loro.

Due calci d’angolo in dieci minuti, due beffe. Due volte Brehme batte dalla bandierina. La prima volta, quell’esangue di Rummenigge, che non ha fatto nulla sinora, ci mette il piede destro in spaccata e Pumpido è battuto. La seconda volta Voeller si solleva in area e il colpo di testa vale il 2-2. Siete imbambolati. Cancellato il consistente vantaggio. Mancano solo nove minuti alla fine. Quale sarà il destino? A Napoli è tornato il silenzio. Potresti sentirlo il cuore della città che batte forte.

Sei smarrito? Deluso? Neanche per sogno. E’ in questo finale della gara che torni grande, generoso, decisivo, che torni ad essere Maradona. Palla al centro per ricominciare. Vicino a te è il “Burru”. Lo guardi e gli dici: “Dai che sono morti, non ce la fanno più a correre”. Sono morti i crucchi? Hanno prodotto il massimo, rifiatano. Briegel ha le gambe molli.

Dai la palla a Burruchaga, te la restituisce, fai un mezzo giro a metà campo e vedi che il soldatino immenso sta correndo sulla destra e Briegel non ce la fa a stargli dietro. E allora ecco il lancio magico, lo squillo della classe infinita, il passaggio fatato che lancia Burruchaga in rete. Corre il “Burru”, corre, corre e corre nella sorpresa dei tedeschi e nella loro difesa spaventata. Corre sulla destra, un corridoio invitante verso la porta dei crucchi, corre il “Burru” e, quando è là, davanti a Schumacher, infila il 3-2.

Mamita mia. Il “Burru” scompare sotto una montagna di maglie biancocelesti, di gambe, di braccia, c’è tutta la squadra sopra di lui, tutta l’Argentina, e a Napoli un boato ha scosso la città. “Basta, basta” urla Bilardo dal bordo del campo. Gli ordini sono perentori a te e a Valdano: “Andate a marcare!”. Mancano sei minuti al trionfo e alla gloria. Sei lunghi minuti, lunghi, lunghissimi. Ma i crucchi non ce la fanno più. Guardi continuamente l’arbitro, un piccoletto. Quando fischi Arrpi Filho, hijo de puta? Fischia! Fischia! E finalmente fischia.

E, allora, in campo sono corse pazze, mucchi selvaggi, abbracci lunghissimi, lacrime. E’ finita, è finita. Campioni del mondo. Guardi Bilardo. Lo chiami: “Vieni, Carlos, sfogati, sfogati”. Ecco la Coppa. Sei il primo a prenderla. La stringi fra le mani, la baci, non vuoi cederla a nessuno, sei il capitano, sei stato l’anima dell’Argentina, hai scoccato il passaggio decisivo per conquistare il titolo. La dai per un momento a Pumpido che te la chiede con le lacrime agli occhi. L’infinito giro del campo, con la bandiera.

Le rotative del più popolare quotidiano di Città di Messico, l’”Excelsior”, stanno girando vorticosamente per l’edizione straordinaria. Il titolo è: “La final es Maradona”. Allo stadio, Fernando Swartz di Televisa urla al microfono: “Maradona es la locura”. A Napoli è festa grande. Sei campione del mondo. Ora hai altri due traguardi, ricordi? Lo scudetto col Napoli e un figlio maschio.

19/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 30
di Mimmo Carratelli




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Diego Armando Maradona Jr



Euforia mondiale. Siamo campioni del mondo con te, pibe. L’Argentina è nei nostri cuori. I nostri nonni sono emigrati a Buenos Aires, abbiamo letto Borges, impazziamo per il tango. Ma torniamo nel golfo.

Autunno 1986. Il Napoli, dopo tre anni, si riaffaccia in Europa. C’è il richiamo della Coppa Uefa. E che cosa ne sai tu, Dieguito, delle nostre passate scorribande europee? Avventure che spesso morivano sul nascere. Siamo stati in paesi e città mai visti e sentiti.

Ai tempi di Fanello e Tacchi, andammo a Bangor, paesino gallese di 15mila abitanti, sul canale di San Giorgio, una passeggiata originale. Una volta andammo a Odense, città gentile della Danimarca: non ci trovammo solo il ricordo delle 164 fiabe di Hans Christian Andersen (hai mai letto “La principessa sul pisello”?), ma anche il piacentino Mario Astorri, lo sceriffo, che aveva giocato centravanti nel Napoli agli inizi degli anni Cinquanta.

E che cosa ne sai tu di Székesfehérvàr, l’impronunciabile città ungherese a sud di Budapest e ai margini di una selva? Il suo nome, in italiano, significa Alba Reale. Andammo a giocarci contro una squadra che si chiamava Videoton ai tempi di Peppiniello Massa. A metà settembre del 1976 andammo oltre il Circolo polare artico, a Bodoe, in Norvegia, 600 chilometri da Capo Nord, quando a Walter Speggiorin mettemmo il nome di Sparafucile: fece una doppietta ai norvegesi del Glimt.

Era un bell’andare, Diego. Ci divertivamo e conoscemmo temperature glaciali. A Tbilisi, per esempio, la capitale della Georgia, sotto i ghiacciai del Caucaso. E, poi, andammo a Nis, in Serbia, con Nino Musella contro il Radnicki; a Wroclaw, in Polonia, sulle rive del fiume Oder, dove erano passati disastrosamente i mongoli; e nel fango di Ostrava, in Cecoslovacchia, nel mezzo di un bacino carbonifero. Viaggi indimenticabili.

A Bruxelles, nell’aprile del ’77, una carogna di arbitro inglese, il signor Matthewson, ci fece perdere la semifinale con l’Anderlecht mentre eravamo lanciati con Peppe Savoldi alla conquista della Coppa delle coppe. Maledizione all’uomo della perfida Albione.

Ma ora, con te campione del mondo e giocatore divino, gliela faremo vedere all’Europa. Settembre 1986, debutto in Coppa Uefa contro il Tolosa. All’andata, ricordi?, raccogliemmo poco. Un gol di Carnevale e basta. Ci rifacciamo al ritorno? Macché! A Tolosa, Stopyra pareggia il conto e finiamo ai rigori. Non sbagliano Giordano, Ferrario e Renica. Siamo agli ultimi tiri. Accidenti, Bagni si fa parare il suo penalty, ma siamo ancora in corsa perché anche Stopyra ha sbagliato e ora, sul dischetto, ci vai tu, pibe di tutte le nostre rivincite. Preciso e mirabilmente angolato il tiro, il portiere è battuto. Ma il pallone pizzica il palo e va fuori. Addio Tolosa, i francesi vincono 4-3 ai rigori, e addio Coppa Uefa.

Era l’1 ottobre 1986. Dieci giorni prima è accaduto quello che non doveva accadere. E’ un sabato, il 20 settembre. Dalla stanza 509, al quinto piano della clinica “Sanatrix”, la signorina Cristiana Sinagra, 22 anni, ragioniera, davanti alle telecamere dei giornalisti di RaiTre, che ha convocato, annuncia: “Ho avuto un bambino. Mio figlio è il figlio di Maradona. E’ frutto del nostro amore. Lo chiamerò Diego Armando junior”. Il bambino è nato alle 11,15 e pesa 3.550 chili.

Martedì 23 settembre, la tua risposta è in un comunicato. Dici, tra l’altro: “La pubblicità data alla vicenda, il metodo scandalistico con cui la notizia è stata divulgata, gli attacchi che sono stati portati alla mia persona sono fatti che mi hanno turbato profondamente”. Prosegui: “Per questo sono anche deciso a rivalermi nelle sedi opportune per tutti i danni che vengono procurati a me, alla mia immagine e al Napoli come società”.

Vorremmo saperne di più. Dichiari: “Al giudice, se mi convocherà, darò la sola risposta che la mia coscienza e la verità dei fatti mi faranno dare”. A Soccavo, hai la faccia scura. Si muovono gli avvocati Siniscalchi, Mignone, Piscicelli. Dicono: “Quanto alla preannunciata azione di riconoscimento della paternità, il signor Maradona ha dato pieno mandato di resistere fermamente in tutte le sedi competenti”.

Comincia a spezzarsi qualcosa, pibe, nel tuo soggiorno a Napoli. Domenica 28 settembre, Alfredo Sinagra, padre di Cristiana, nonno del bambino e parrucchiere al Vomero, dichiara ai giornalisti: “Prima della partenza di Maradona per i Mondiali in Messico glielo dissi, guarda Diego che stai per diventare padre, noi siamo cattolici e di aborto non se ne parla”. Interviene il sindaco Carlo D’Amato: “Condanno la famiglia della ragazza che non ha pensato a tutte le conseguenze negative che potevano derivarne”.

Alfredo Sinagra con la figlia Cristiana si reca alla sezione municipale vomerese di via Morghen con i certificati della clinica “Sanatrix”. All’anagrafe viene registrata la nascita di Diego Armando Sinagra.

Intanto, Claudia Villafanes, la tua fidanzata argentina, aspetta un figlio da te.

23/8/2004
view post Posted: 7/2/2016, 19:52     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 18
di Mimmo Carratelli


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Joan Gaspart,
vicepresidente del Barcellona nel 1984



Venerdì 29 giugno 1984. Hotel Princesa Sofia di Barcellona dove si sono sistemati Antonio Juliano e i consiglieri del Napoli Dino Celentano e Isaia. Due giorni alla chiusura delle liste di trasferimento. Totonno ha la soffiata giusta. Un incontro fortunato al bar dell’albergo e trova la “chiave” per sbloccare la vicenda. Non è il presidente Nuñez che resiste, Diego, è Gaspart che vuole trattenerti a Barcellona. E’ da Gaspart che Juliano deve andare. Questo gli dicono ed è la svolta.
Totonno ha avuto una idea per scoprire le carte del Barcellona. Tratta Hugo Sanchez con l’Atletico Madrid. Sanchez interessa al Barcellona. Se il Napoli tratta Sanchez vuol dire che molla Maradona? Sfumano 13 miliardi e sfuma Sanchez? Questo si chiedono al Barça. Si spaventano. Sul bluff-Sanchez gioca Juliano. Si fa condurre da Gaspart. E’ la battaglia decisiva. Il presidente Nuñez non sa nulla.
Gaspart spara: “Dateci un milione e 230mila dollari in più e Maradona è vostro”. Bum! Juliano impassibile: “Non una lira in più di quanto abbiamo concordato e tutte le nostre fideiussioni sono a posto”. Gaspart incassa. E’ un napoletano tosto, Juliano. Tosto e serio. Il catalano cede. Totonno telefona a Ferlaino: “Venga, ingegnere, è fatta”. L’Ingegnere, previdente, ha fatto un altro colpo: ha convinto dieci consiglieri del Napoli a sborsare 200 milioni a testa, fideiussioni garantite dai patrimoni personali. Servono sempre più soldi.
Sabato 30 giugno. Barcellona. L’arrivo di Ferlaino. Ha sempre un aerotaxi a disposizione. Il comandante Plaga ha imparato che non ci sono orari prestabiliti e certi per partire, tornare e ripartire. Sempre all’erta. Tira la cloche e va.
Hotel Princesa Sofia, stanza 1715. Summit napoletano con Ferlaino, Juliano, Celentano, Isaia, il ragionier Pinelli. Totonno: “E’ quasi fatta. Anzi, è fatta. Manca solo la sua firma, ingegnere”. Nell’albergo vanno e vengono Cyterszpiller e il mediatore argentino Minguella.
Il contratto, finalmente. Il contratto che ti porta a Napoli, Diego. Ferlaino corre da Gaspart. C’è l’assenso di Nuñez. “Abbiamo fatto di tutto per scoraggiarvi” dice Gaspart. Firme e controfirme, alle condizioni del Napoli. Ma sono pur sempre 13 miliardi, forse qualcosa in più col dollaro che sale. Totonno Juliano ha compiuto il miracolo, l’Ingegnere lo completa.
E’ sabato, quasi sera. Bisogna rientrare precipitosamente da Barcellona a Milano per depositare in Lega il contratto vero che ti porta a Napoli, niño de oro e di quaranta giorni di spasimi. A mezzanotte scadono i termini.
Comandante Plaga, si riparte. Decollo dall’aeroporto Llobregat di Barcellona, atterraggio alla Malpensa di Milano. L’Ingegnere cuor contento corre nuovamente in Lega che è sbarrata, naturalmente. E’ notte inoltrata ed è giorno di festa. Corrado ritrova la guardia giurata, più sbalordita che sorpresa, alla quale aveva detto “torno subito” consegnandole un plico. Si fa ridare il plico (che non serve più, ha la busta col contratto vero).
Memorabile notte del 30 giugno 1984. Che ora è ? Prima o dopo la mezzanotte, prima o dopo la scadenza del termine per depositare la documentazione del trasferimento? Più dopo che prima? Mistero. La guardia giurata segnala a Ferlaino un impiegato napoletano alle poste milanesi che può favorire l’inoltro notturno della raccomandata diretta alla Lega.
Corre ancora l’Ingegnere. L’impiegato napoletano timbra la raccomandata. Ci chiediamo ancora: era mezzanotte, quasi lo era, oppure era passata?
Sulla consegna della raccomandata Ferlaino si diverte a dire: “Non ricordo che ora fosse. Arrivai trafelato alle poste. Non ebbi il tempo di guardare l’orologio”. Adorabile bugiardo. Si assicurò bene che ora fosse. Orologio o non orologio, “doveva” essere prima della mezzanotte sul fuso orario di Milano, il tempo ultimo perché la raccomandata fosse ritenuta valida in Lega.
In Lega la ritennero valida.
Albeggia a Napoli il primo luglio 1984, domenica. I giornali preparano le edizioni straordinarie. Hanno saputo. L’hanno saputo tutti. Così vanno le cose da noi, Diego. Lo imparerai. Tutti sanno tutto di tutti. Sanno già che è fatta, che arrivi. Quando? Come? A che ora? Dove? Vorranno esserci ad aspettarti.
Sei contento di venire al Napoli, di liberarti di Barcellona, del Barça e di Nuñez. Ma neanche immagini la festa che sarà.

3/7/2004


La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 19
di Mimmo Carratelli


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Ma l’hai visto mai, pibe, un mare più bello del nostro? Il golfo col vulcano, le isole, il castello con l’uovo nascosto di Virgilio che quando si romperà sarà tutto finito, ‘o Vommero dove giocavamo una volta, dopo la guerra, via Caracciolo che vengono da tutto il mondo a passeggiarci...

E l’hai visto mai un popolo così che, in quattro e quattr’otto, ha organizzato questa festa straordinaria per il tuo arrivo? Non è solo una festa. E’ un fuoco pirotecnico di ingegnose trovate, è un commercio subitaneo, un darsi da fare, un passarsi la voce, una industria sotterranea che, in un baleno, dal cuore dei vicoli ha prodotto tutto quello che c’era da produrre per il tuo arrivo. Magliette, palloni, poster, trombe e trombette, striscioni, bandiere, belle statuine, cassette musicali con i primi inni di gloria.

Prima che arrivino quegli ingenuoni della tua “Maradona Producciones”, abbiamo prodotto tutto. C’è allegria e gli affari vanno a gonfie vele, benedetto il tuo arrivo. Stavamo annichiliti e rassegnati, immobili, sotto un cielo bello e su una terra di uomini ingrati. Dimenticati da tutti. Napoli, povera periferia del benessere italiano. All’acciaieria di Bagnoli, che ormai agonizza, altri duemila operai sono andati in cassa integrazione. Due volte il terremoto ci ha fatto tremare.

Poiché sarà un lungo giorno, questo 5 luglio 1984, un giovedì che il Signore ci ha mandato bello e splendente, a Fuorigrotta, dov’è lo stadio per la festa “intima” di settantamila napoletani che ti aspettano al sole, si dispiega tutta la variegata gastronomia partenopea, pizze e pizzette, panini prosciutto e mozzarella, porchette, friarielli e taralli, panzarotti e crocchè, frittate di pasta e pasta cresciuta, birra e coca. Perché, quando abbiamo un sogno, caro Diego, ci viene fame, e poi l’attesa è lunga.

Il pittore salernitano di madonne stradali Alfredo De Leva, che le dipinge sui marciapiedi, ha usato i suoi gessetti colorati per comporre sull’asfalto di Fuorigrotta un tuo gigantesco ritratto coi riccioli neri e la maglia azzurra.

Si sa che arriverai verso le sei del pomeriggio, e ci siamo mossi tutti per tempo, con larghissimo anticipo, perché l’eccitazione è grande. E’ dalla mattina che siamo eccitati, e poi saprai come vanno le cose, a Napoli. Ci affolliamo disordinatamente e il traffico scoppia. Ma, quando c’è un sogno, sappiamo essere ordinati e carini, non facciamo ammuina. Sono i sogni che ci mancano, a Napoli, perciò siamo sempre incazzati neri e facciamo confusione.

Questa festa è proprio ordinata, Fuorigrotta è un grande bazar attorno al “San Paolo” e, alle quattro del pomeriggio, siamo già in molti dentro lo stadio. Mille, duemila e tremila lire il costo dei biglietti per i tre ordini di posti. Avremmo pagato anche il doppio e il triplo perché oggi ci vogliamo “allargare”. Come si dice? Ieri non ero nessuno, oggi so’ ‘nu rre!

Si parla di un tuo fantastico arrivo dal cielo su un elicottero. L’elicottero verrà da Capodichino, e tutt’attorno, sul prato dello stadio, balleranno majorettes di Posillipo e Mergellina e suoneranno violinisti danzanti. Sugli spalti siamo attrezzatissimi: bandiere, striscioni, registratori portatili con le prime musiche inneggianti. Al “San Paolo” c’è un immenso campione di tutta la città. Voglio dire che ci sono donne e bambini, giovani e vecchi, famiglie intere, gente dei rioni popolari e dei quartieri-bene.

Si sta aprendo un incantesimo e vogliamo esserci tutti. Si è incantato l’orologio del “San Paolo” che, per l’emozione, è fermo all’una e mezza e sono già le sei del pomeriggio. I ragazzi della Curva B hanno tamburi di gioia. Ci fossero ancora ‘O Ricciulillo e il Trombettiere, impazzirebbero di commozione. Non c’è più il Comandante. Don Achille se n’è andato due anni fa, a 95 anni, un giorno di novembre, dimenticato da tutti.

Ma che succede? Sulla pista dello stadio, comincia a girare una Dyane azzurra. Sulle fiancate porta scritto con lo spray blu scuro: “Viva il niño de oro”. Sul cofano ha un gigantesco numero 10. Viene srotolato il più grande striscione di benvenuto. Dice. “Nel cielo di Napoli ci sono tante stelle, Maradona è la più splendente”. E’ un telo lungo venti metri. Ormai lo stadio è pieno, sonoro, elettrico.

E alle 18,31 precise….

8/7/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 20
di Mimmo Carratelli


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Diego Maradona nel giorno della presentazione
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)


All’ultimo momento, pibe, forse temendo le critiche astiose a una felicità esagerata, l’organizzazione dell’evento memorabile rinuncia alla parte più spettacolare del tuo arrivo. Annullata la tua discesa in elicottero sul prato del “San Paolo”.

E scocca finalmente il tempo dell’emozione massima, le 18,31 del 5 luglio 1984. Un respiro accentuato, un aguzzare di occhi, un ondeggiamento sugli spalti e la liberazione di un “oooh” di meraviglia.

Nella ressa dei fotografi, sotto il ronzio delle telecamere, nell’agitarsi di inservienti e poliziotti, sbuchi dal sottopassaggio che è sotto la Curva A. Diego Armando Maradona. Il re è arrivato.

Sei un piccolo ragazzo di un metro e 68. Solo Carlo Iuliano, l’addetto stampa del Napoli, è più piccolo di te e porta occhiali da vista giganteschi come li usa Peppino Di Capri. Ecco la tua testa di riccioli neri. La prima ovazione. Due gambe massicce e una faccia da scugnizzo. Invocazioni e strepiti.

Hai difficoltà a farti largo nella ressa. Ci rinunci, torni. Eri così: pantaloni chiari di una tuta, una maglietta bianca sponsorizzata dalla Puma, una sciarpa azzurra e, ai piedi, scarpette da ginnastica.

Liberiamo il boato dell’accoglienza. Trema lo stadio. Il boato si diffonde per tutti i Campi Flegrei e sale sino alla collina di Posillipo. Accendiamo fuochi d’ogni colore. Sprigioniamo nuvole azzurre da potenti fumogeni. Sei sorpreso. E’ l’accoglienza che non hai avuto in nessun posto dove hai giocato.

Fai un giro di campo, seguito dal codazzo dei fotografi. Saluti. Il “San Paolo” è una cassa armonica di canti e di suoni, il preludio dello stadio sonoro che accompagnerà le tue prodezze domenicali.

Al centro del campo c’è un tappeto di caucciù, azzurro. Ti fermi sul tappeto, ti porgono un microfono. Dagli altoparlanti escono rumori confusi. L’agitazione cessa, stiamo tutti in silenzio. Ed ecco le parole magiche che si diffondono nello stadio, come quelle di Alì Babà davanti alla grotta di Sesamo. Perché le tue prime parole ci aprono il cuore.

“Buonasera, napolitani”.

Un boato. L’emozione va in frantumi e scoppia l’allegria.

Una pausa. Prendi il tuo primo pallone napoletano, reliquia conservata chissà da chi. Il tuo primo calcio a Fuorigrotta col magico piede sinistro. Il pallone s’impenna verso il cielo. E’ un coriandolo, una stella filante, accompagnati da un secondo boato. Il pallone ricade verso la Curva B dove la passione azzurra ha il volto e le voci di ragazzi felici. Sono ragazzi dei quartieri popolari, ragazzi della Sanità e dei Quartieri Spagnoli, di Forcella. Sono i ragazzi di un capopopolo del football, Gennaro Montuori, detto “Palummella”, che dirige canti e battimani, rulli di tamburi e “ola” improvvisate.

Nasce un amore.

Vedo la faccia araba di Ferlaino che si contrae in una smorfia di commozione, chi l’avrebbe mai sospettato? Vedo la terza moglie dell’Ingegnere, Patrizia Boldoni, che somiglia sempre più a Laureen Bacall, vent’anni di differenza con Corrado. Vedo i dirigenti del Napoli con le lacrime agli occhi, il naso d’orientamento di Gianni Punzo, il piccolo e gentile Dino Celentano, l’elegante Isaia, Pasqualino Carbone, il vecchio Gallo con la pelle indurita dal sole e dalla faticosa fortuna fatta in Venezuela. E c’è Josè Alberti l’argentino di Marechiaro.

Non vedo Totonno Juliano, sempre schivo, che ti ha voluto fortissimamente a Napoli. Forse c’è il sindaco Vincenzo Scotti che ha mosso bene le acque stagnanti delle banche per aiutare il Napoli.

Vedo, tra i tifosi organizzati, Crescenzo Chiummariello, una palla d’uomo, sudato e felice, cuore d’oro. Ci sarà Peppino Di Capri? C’è Luciano De Crescenzo, l’ingegnere che scrive libri di amena filosofia letti in tutto il mondo. Forse c’è anche Marisa Laurito, la nostra bella ciaciona dello spettacolo. C’è l’ingegnere Carlo Di Nanni, il giornalista storico, con la sua benedizione, e Tonino Scotti, il giornalista che ama il Napoli di un amore forte.

Ci sono Bruno Pesaola, il caro petisso, che ha gli occhi lucidi, l’immenso Vinicio con donna Flora, e Gennarino Rambone, cuore napoletano, il telefonista del Napoli Mario Parente minuscolo e astuto, e c’è, magro e impassibile, Rino Marchesi che dovrà dirigere l’orchestra azzurra.

Prima del tramonto, la festa è finita. Abbiamo occhi umidi, poca voce e una debolezza dovuta all’emozione e alla lunga giornata. Torniamo a casa con un sogno.

Ma sai, pibe, che somigli proprio ai nostri scugnizzi?

13/07/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate – 21
di Mimmo Carratelli











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(Foto tratta dal sito ufficiale www.maradona.com)


Estate 1984. Castel del Piano, sull’appennino toscano alle falde del Monte Amiata, romitaggio azzurro precampionato, l’albergo Impero della signora Mariangela Pagni, i tuoi primi guizzi, pibe, con la maglia del Napoli sotto gli occhi di Rino Marchesi. Tremila tifosi giungono dal golfo per vederti. Regali le prime emozioni. Fai quattro gol ai dilettanti del posto, l’ultimo è una prodezza, una rovesciata volante, pallone all’incrocio dei pali. Euforia e ambizioni.

Il Napoli si è rinforzato con Salvatore Bagni, Daniel Bertoni, De Vecchi, Penzo, centravanti un po’ malinconico. Ciro Ferrara è ancora un ragazzino. Ci sono altri ragazzi di speranze: Pietro Puzone, il pulcinella di Acerra, caschetto di capelli neri; Tonino Carannante di Pozzuoli, “palla di gomma”; il caprese di ferro Costanzo Celestini, l’elegantino Massimiliano Favo e Gigi Caffarelli che guizza sulla destra. Beata gioventù.

“E’ il Napoli più forte di tutti i tempi” annuncia Totonno Juliano. “Questo Napoli giocherà all’attacco, ha sei giocatori da zona-gol” dice Rino Marchesi. Per l’amichevole di Pescara siamo una folla. Balziamo in piedi alla tua magia: sei a terra, ma riesci a “sforbiciare” il pallone in rete. Allegria, il portiere del Pescara si chiama Pacchiarotti.

Ma il treno azzurro rallenta in campionato, qualche vittoria, molti striminziti pareggi. C’è da lottare, Diego. L’anno prima ci siamo salvati dalla retrocessione, e c’era Krol. Il debutto è un disastro: maciullati a Verona, il truce Briegel ti monta una guardia feroce. Ero al “Bentegodi” con tutta la squadra del “Guerino”. Ritorno malinconico.

Capisci l’antifona e non ti tiri indietro. Prendi per mano il Napoli che barcolla. Segni il primo gol, su rigore, alla Sampdoria. Con cinque penalty impeccabili, una tripletta alla Lazio e altri sei gol tieni a galla la squadra. Il Napoli affoga nella malinconia e spegne le tue magie. Ti vedo lottare come un umile gregario. Tre sconfitte consecutive ci inchiodano in basso, a dicembre.

Da giovedì ritiro a Vietri sul Mare. Mugugni e contestazioni. E’ l’occasione per uomini veri. Avvengono chiarimenti, c’è una scossa. Alla domenica, 4-3 al “San Paolo” contro l’Udinese di Vinicio. Due rigori a segno col tuo piede mancino e due gol di Bertoni. Ci tiriamo su in classifica. Fino alla fine del campionato perderemo una sola partita.

Heater Parisi, la stellina sgambettante della televisione, ti fa gli occhi dolci. Il Napoli ti regala una Maserati biturbo. C’è un problema: ti chiama la nazionale argentina proiettata verso i Mondiali del 1986. Vai e vieni da Buenos Aires, un tormento. La Federazione minaccia di squalificarti se pianti il Napoli prima della fine del torneo per correre da Bilardo. “Nemmeno Pertini potrà fermarmi” protesti con una delle tue prime spavalderie. Il Napoli accetta che tu faccia il pendolare transoceanico. Ti accontentiamo, pibe, ma facci sognare.

In netto anticipo sul gesto mondiale in Messico contro l’Inghilterra, inventi a Udine la “mano de Dios”, un furtarello da scugnizzo, all’ultima giornata, contro la squadra di Zico. L’arbitro è il leccese Pirandola: non se ne accorge, come capiterà al tunisino Ben Naceur a Città di Messico sotto la porta di Shilton, tu in alto nei cieli con la mano del vendicatore, gli inglesi un grappolo estatico ai tuoi piedi.

A Udine segni una mirabile rete su punizione e pareggi di mano. Zico ti avvicina e ti dice: “Se sei onesto, vai dall’arbitro e fatti annullare il gol”. Lo guardi e con la tua faccia impunita rispondi: “Mi presento, sono Diego Maradona, professione disonesto”.

18/7/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 22
di Mimmo Carratelli





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Scusa, pibe, ti abbiamo deluso. Sei venuto per vincere e, nel primo anno a Napoli, hai dovuto faticare come un gregario per salvare la squadra dalla retrocessione. Tredici punti nel girone d’andata, quintultimo posto in classifica. Venti punti nel girone di ritorno per l’ottavo posto finale.

Quando te ne vai a Buenos Aires per il Natale hai vergogna a dire che la tua nuova squadra ha fatto appena 9 punti in 13 partite, battuta dalla Juve di Platini, dalla Roma di Falcao e dall’Inter di Rummenigge, con due sole vittorie contro avversari modesti, Como e Cremonese. Brutto Natale: tu infelice in Argentina, noi preoccupati a Napoli.

Primo anno e 14 reti, terzo goleador del campionato dietro Platini e Altobelli. Non sopporti di essere il terzo dei cannonieri, non sopporti la mediocrità del centroclassifica col Napoli. Ti abbiamo nascosto che, l’anno prima, ci eravamo salvati per un punto.

Giochi trenta partite di fila in campionato, sei in Coppa Italia (eliminati dal Milan, accidenti). E hai fatto appena 15 giorni di vacanza per presentarti al primo appuntamento con la maglia azzurra. Vuoi essere grande, vuoi fare grande il Napoli. Lo ricordo bene quel primo anno a Castel del Piano. Ti preparasti a dovere perché sapevi che non avresti avuto vita facile contro le difese italiane. Avevi il ricordo di Gentile e dei suoi gomiti al Mondiale dell’82. Dovevi affrontare un campionato atletico, in Italia, meglio però dei calci e delle gomitate in bocca del campionato spagnolo.

Fernando Signorini, che avevi conosciuto ai tempi del brutto incidente in Spagna, è il tuo angelo custode. Ti massaggia l’anima e i muscoli. Tu lo chiami “il cieco” perché non ha una vista formidabile, ma ha mani preziose. Esultiamo per i tuoi colpi di tacco, ma in campo un cerbero come il tedesco Briegel del Verona se ne infischia della tua poesia e ti butta a terra senza rispetto.

La rimonta è stata splendida. Per soli due punti siamo fuori dalla Coppa Uefa. Ti diverti a giocare con Daniel Bertoni che chiami affettuosamente “la troia”, il “chancha” in spagnolo. Ti piace il piccolo Caffarelli che ha 22 anni, è alto un centimetro più di te ed è il piccolo brasiliano di Casoria: il Napoli lo ha pagato due milioni a rate e Mariolino Corso lo ha lanciato nella squadra Primavera. Cominci a legare con Peppe Bruscolotti, un campione in difesa e nella vita. Ammiri il caprese Celestini, 23 anni, magro come un chiodo, ma è fatto di fil di ferro. In allenamento ti diverti a provocare il “giaguaro”: Castellini si danna sui tuoi calci di punizione.

Dietro la mediocre classifica, c’è una squadra che ti adora. Ti senti a casa. Questo è importante, pibe. La classifica migliorerà. E, infatti, al secondo anno si fanno programmi splendidi. Il Napoli si mostra nel cuore della città con la nuova sede in Piazza dei Martiri: scale di ardesia, portone glorioso, saloni con la moquette, piante, divani, porte in radica di noce, balconi che devono annunciare trionfi.

Arriva Italo Allodi, il grande manager, il più elegante. Salda un’antica promessa con Ferlaino. Quando era alla Juve e si prese Zoff, promise: “Un giorno verrò a Napoli”. Tredici anni dopo, promessa mantenuta. Ha giocato da centromediano nel Gladiator di Santa Maria Capua Vetere. E’ un uomo affascinante. Lui chiede: “Perché non decolla il Napoli di Maradona?”. Ferlaino gli risponde: “Perché manca lei”. E Allodi conclude: “Le promesse le mantengo”. E arriva per fare grande il Napoli.

Le sue mosse sono sagge e azzeccate. Assume uno dei più promettenti direttori sportivi, l’avellinese Pier Paolo Marino. Ingaggia Ottavio Bianchi come allenatore. Sistema e potenzia la squadra. Prende Garella “perché è un portiere moderno e ha vinto lo scudetto col Verona”. Strappa Alessandro Renica alla Sampdoria “perché sarà un grande libero”. Risolleva dalla polvere Bruno Giordano che ti consentirà di liberare la tua fantasia. Trova il regista: è Eraldo Pecci, un sapientone del gioco con piedi grandi e illuminati. Vorrebbe Nando De Napoli, ma l’Avellino spara 6 miliardi. Ripiega su Ruben Buriani. Conferma Peppe Bruscolotti, 34 anni, ma è ancora una roccia, da 13 anni nel Napoli, e Moreno Ferrario, azzurro da otto anni. Salvatore Bagni sarà il guerriero di un Napoli più ambizioso. Terzino sinistro fluidificante sarà Massimo Filardi. Allodi chiede che non venga ceduto Caffarelli perché “è il più sudamericano dei napoletani”. E ci sarà Carannante che farà la sua parte di “palla di gomma” sulla fascia sinistra in alternativa a Filardi. Tra i rincalzi eccellenti, Raimondo Marino.
Il sogno comincia ad avverarsi. Poiché nell’86 ci saranno i Campionati del mondo, si comincia in anticipo. Ritiro a Madonna di Campiglio il 10 luglio. Per la stagione 85-86 sarà un grande Napoli.

22/7/2004
view post Posted: 4/1/2016, 17:49     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 17
di Mimmo Carratelli



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La sede della Lega Calcio



Ci guardano tutti, Diego. Napoli vuole Maradona: ma come si permette, ma quando ci riuscirà mai, ma dove prende i soldi? Non ci vogliono credere. Chi ci crede aspetta che il colpo fallisca. Perché da noi vogliono pizza, mandolini e canzoni. Stop. Una volta che prendemmo Savoldi per due miliardi ci dissero di pensare piuttosto a spazzare le strade e a costruire ospedali con quei soldi.

Napoli viveva anni mediocri. Può sembrare un’esagerazione, ma affidava al pallone la voglia di riscatto, la voglia di “esserci” sulla platea nazionale, terza città d’Italia ma lasciata ai suoi guai. E’ stato quasi sempre così. Il pallone è stato l’unico, frivolo, ma concreto strumento per “esistere”, per dire siamo qua, ci siamo anche noi e, chissà, riuscire a vincere.

Panem et circenses, diceva Giovenale. Ma sì. Circensens, circenses. Però anche col pallone ci hanno sempre respinto ai margini. Banale e futile, la felicità è alla domenica dietro le maglie azzurre. Ragù e maglie azzurre. E, poi, illusioni e promesse.

E’ anche per questo, pibe, che il tuo arrivo a Napoli diventa una sfida e una questione d’orgoglio. Lazzari ci vogliono. Divertenti, ma incapaci, e per sempre lazzari. Neri a metà, come canta Pino Daniele. Napoli? Carta sporca ca nisciuno se ne importa. A testa in giù. Si ribella, Pino, con la voce e la chitarra: “Je so’ pazzo”. “Voglio di più”.

Quant’è pazzo Ferlaino? Quanto vuole di più Totonno Juliano, il napoletano atipico sin dai tempi in cui giocava? Onesto, serio, tenace, orgoglioso, quasi musone, determinato, per proporre un’immagine di Napoli non più folcloristica.

Mi sto lasciando andare, pibe. Ma questa è la verità del mese di giugno 1984. Napoli si aggrappa a un sogno per liberarsi di sudditanze e infelicità. Esagero? Esagero.

Anche quelli di Barcellona ci considerano poco seri. Ma non hanno fatto i conti con la caparbietà di Juliano e con l’abilità di Ferlaino. Forse, l’Ingegnere sarebbe già contento d’avere tentato di prenderti, tentato e basta, portando Napoli sulle prime pagine dei giornali. Spaventato dall’impegno economico, si augura forse un Barcellona canaglia che mandi tutto a monte. La colpa sarebbe tutta dei catalani.

Ma c’è Totonno, c’è il suo orgoglio di napoletano, c’è che lui non mollerà mai. Quattro anni fa ha portato Krol a Napoli, ha dato eleganza alla squadra, ha riempito lo stadio. Non lascia la presa. Cerca, a Barcellona, la strada giusta per fare capitolare Nunez.

Ferlaino, dal canto suo, si galvanizza perché le cose difficili gli sono sempre piaciute. Ora vuole vincere, non vuole più bluffare. Vuole piegare Nunez e il Barça. Si eccita nelle scappatoie e nei trucchi che sono il suo forte. Serve anche la furbizia, pibe, per farti venire a Napoli. E, allora, forza Ingegnere.

I tempi stringono. Bisogna depositare in Lega il contratto del tuo ingaggio, Dieguito. E il contratto non c’è. Il Barcellona tergiversa. Vuole nuove fideiussioni. Ferlaino va e viene dalla Spagna. Totonno non si muove da Barcellona.

L’Ingegnere mette a segno una serie di colpi geniali. Con l’aiuto del sindaco Scotti, si incontra col direttore generale del Banco di Napoli Ventriglia. E’ domenica 24 giugno. Summit all’Hotel Excelsior di Napoli. Festa o non festa, bisogna convocare d’urgenza il Consiglio di amministrazione del Banco per il rilascio delle fideiussioni richieste dal Barcellona.

L’operazione riesce. Ma sopravviene un intoppo. Al Banco arriva un telex per bloccare tutto. Chi lo manda? Non sono mai riuscito a saperlo, Diego. Pare fosse un parlamentare che voleva fare del moralismo occasionale ritenendo il tuo ingaggio a 13 miliardi uno scandalo. Ferlaino risponde per le rime. Ora si sta proprio divertendo perché il gioco furbo, a rimpiattino, a sorpresa è il suo gioco.

Ammalia e persuade il funzionario dell’Ufficio fidi del Banco di Napoli, lo strabenedetto dottor Bosa, in assenza del direttore generale Ventriglia che è in vacanza. Lo incanta. E il funzionario, nonostante il telex contrario, fa partire le fideiussioni. Pagherà, il dottor Bosa, la sua generosità, il suo orgoglio di contribuire al colpaccio che fa bene al Napoli e a Napoli.

Ferlaino vola a Milano. Scende alla Malpensa, corre alla sede della Lega e consegna un plico alla guardia giurata che sta all’ingresso del palazzo della Lega in via Allegri. Dice alla guardia di trattenere il plico perché ripasserà presto a riprenderlo per spedirlo via posta raccomandata.

Nel plico c’è il tuo contratto, pibe? Non c’è. Non può esserci. E’ una furbata. Nel plico però c’è la documentazione dei contatti col Barcellona. Diciamo che è una documentazione non definitiva. In vista della scadenza dei termini dei trasferimenti, 30 giugno, un sabato, l’Ingegnere si mette al sicuro con un bluff. Consegnato il plico, vola a Barcellona. Perché, nel frattempo, Totonno Juliano ha agganciato il vicepresidente del Barcellona Gaspart.

29/06/2004
view post Posted: 8/12/2015, 16:07     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 16
di Mimmo Carratelli


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Corrado Ferlaino




Erano tempi democristiani, pibe. La vecchia volpe di via Crispi, l’Ingegnere, si mantiene lontano dalla politica, ma sa che ai politici deve rivolgersi per arrivare a te. Ha bisogno di danaro, Corradino, per acquistare Maradona. Ha bisogno delle banche. E un politico può smuovere le banche.
L’ex ardente sindacalista Vincenzo Scotti conta nella Dc, ne è il vicesegretario, e conta a Napoli perché è il sindaco della città. Corrado il furbacchione va a fare una capatina alla Festa dell’amicizia a Milano, meeting democristiano. E’ il 31 maggio. Scotti lo ascolta. Scotti è disponibile. Scotti dice: “Farò di tutto per assicurare Maradona al Napoli. Perché un giocatore così dovrebbe averlo soltanto l’Avvocato?”.
Campanilismo, orgoglio, pubblicità. Il sogno si muove. Scotti allerta le banche: il Banco di Roma, il Banco di Napoli, il Banco di Santo Spirito, il Monte dei Paschi di Siena. Qualcuno garantirà le fideiussione per il tuo ingaggio, Diego.
Ma c’è ancora Pierpaolo Marino a dare una mano. Il Napoli deve risolvere con l’Avellino le comproprietà di Diaz e Favero. Pierpaolo favorisce l’acquisto definitivo dei due giocatori all’Avellino. Il Napoli può contare su tre miliardi di lire. Vamos a ganar la Spagna.
Il Barça fa il furbo o non si fida del Napoli. E’ il giugno del 1984. Comincia un mese di voli Napoli-Barcellona, di trattative, di passi avanti e di passi indietro, di promesse e ripensamenti. Si inserisce il Racing di Parigi, appena promosso in serie A. Jean Luc Lagardere, giovane proprietario dell’industria automobilistica Matra, interessi editoriali e partecipazioni nelle industrie degli armamenti, vuole regalarti al club francese. Il Barcellona rifiuta.
Cyterszpiller viene a Napoli. Gita al largo di Capri sullo yacht del consigliere azzurro Dino Celentano con Ferlaino e Juliano. Il rapporto con la Maradona Producciones si rafforza.
Stringe il Napoli. Siamo in ballo e stiamo ballando, Diego. Tu sei in tournèe negli Stati Uniti col Barça e aspetti notizie. Fra tante chiacchiere, il Napoli è l’unico club che ha fatto un’offerta concreta per averti. Apprezzi. A New York dichiari: “Non vedo l’ora di arrivare a Napoli”. Col Barcellona hai proprio chiuso perché se ne andrà Menotti. E, d’altra parte, Boniperti ha detto di te: “Con quel fisico non potrà andare da nessuna parte”. Non andrai da nessuno parte perché verrai a Napoli, pibe. Grazie, Giampiero, per la via libera.
Comincia un tormento di cifre, postille, richieste, assicurazioni, contrarietà e ricuciture. Il Barcellona vuole darti via, ma ha paura della reazione dei tifosi. Si fa vivo l’Argentinos: “Attento, Napoli. Il Barcellona ci deve dare ancora un miliardo”.
Napoli è in ebollizione. Ormai è tutto alla luce del sole. Verrai al Napoli, Dieguito. C’è la trattativa. C’è Totonno testardo che non ti mollerà. C’è la volpe di via Crispi che sta lavorando con le banche.
Il Barcellona vuole subito un miliardo di lire in contanti. Una specie di caparra. Diffida della solvibilità del Napoli e Nunez fa il duro. Vuole la caparra e, contemporaneamente, le fideiussioni sulla cifra complessiva dei 7 milioni di dollari proposta da Juliano a Gaspart. Qui sta il problema, qui sta l’ostacolo, qui salta Ferlaino.
Il Barça definisce anche gli appannaggi per te: 800mila dollari l’anno per quattro anni più premi doppi per le partite fuori casa, il 25 per cento degli incassi delle amichevoli, la casa, due automobili, dieci biglietti aerei Italia-Argentina e ritorno. Ci gira la testa? Sì, ma è solo per averti.
Ci si mette di mezzo il dollaro che sale, continua a salire. Il costo dell’operazione si gonfia in pochi giorni di altri 280 milioni. Spiccioli, Diego, spiccioli. Non preoccuparti. Ti porteremo via da Barcellona.
Va avanti il braccio di ferro tra Ferlaino e Nunez.
Juliano si piazza stabilmente a Barcellona. E’ in cerca di una scorciatoia. E’ sveglio, la troverà.
Ferlaino ottiene dalla Banca della Provincia di Napoli l’invio di tre milioni di dollari al Barcellona, la prima rata. Replicano i catalani: vogliamo subito le fideiussioni per i restanti quattro milioni di dollari.
E’ una sofferenza. Ferlaino sbotta: “Con tutti questi soldi ci compreremmo tre ottimi giocatori”. Totonno Juliano finge di non sentire. Diventa incerto l’Ingegnere? Si preoccupa del grosso buco di bilancio? Il Barça chiede persino una fideiussione sui 500 milioni di interessi per la cifra del tuo trasferimento dilazionata nel tempo. Dai Paschi di Siena, dove ha un conto personale, Ferlaino ottiene una fideiussione sulla cifra.
Il 25 giugno pare che salti tutto. Come il Napoli aderisce alle richieste del Barcellona, i catalani ne avanzano altre. Ma c’è Juliano che non molla.

25/6/2004
view post Posted: 8/12/2015, 15:37     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 15
di Mimmo Carratelli

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Antonio Juliano


1984, un anno memorabile, cronaca e storie stampate nella memoria. Tutto nasce ad Avellino. Ce la siamo raccontata ancora una volta con Pierpaolo Marino, avellinese, uno dei dirigenti più garbati e corretti del calcio italiano.
Con la sua voce tranquilla, il tono pacato, Pierpaolo ricorda: “Tutto fu molto casuale. Per festeggiare la salvezza in serie A dell’Avellino, dov’ero direttore generale, organizzai un’amichevole col Barcellona tramite il mediatore argentino Ricardo Fujica. Era maggio. Costo dell’amichevole cento milioni. Pensai che sarebbe stato meglio giocare la partita al San Paolo che avrebbe consentito un incasso favoloso contrapponendo al Barcellona una formazione mista con giocatori dell’Avellino e del Napoli. Ne parlai con Juliano, direttore generale del Napoli. Ma l’idea non andò in porto”.
Occasione perduta? Macché. Si sta muovendo qualcosa e le stelle occhieggiano su Napoli. Dice Marino: “Fujica mi avvertì che Maradona era in lite col presidente del Barcellona Nunez e che erano praticamente alla rottura. Mi suggerì, se ne avevo le possibilità, di proporre l’ingaggio di Diego a qualche club italiano. Telefonai a Boniperti che mi rispose di no. Aveva già Boniek e Platini. Telefonai a Mantovani che mi disse di avere anche lui i suoi assi nella Samp, Vialli e Mancini. Allora ne parlai con Juliano”.
Totonno, Totonno. Gli si accende subito la lampadina. Ha appena litigato con Corsi che gli ha soffiato Socrates preso dalla Fiorentina. Le stelle sono sempre con noi. Fosse arrivato il dottore brasiliano di Belem, ti avremmo perduto, Dieguito dei nostri desideri.
“Mandai Fujica a parlare con Juliano” dice Pierpaolo Marino.
Il Napoli non ha una lira da spendere, schiacciato da un deficit di 8 miliardi e 600 milioni. Juliano insiste con Ferlaino: “Ho saputo che Maradona è in rotta col Barcellona. Perché non tentiamo?”.
Pazza idea. L’Ingegnere la respinge, ma solo per pensarci su. Ci pensa eccome. E la “spara” a Sordillo presidente della Federcalcio. E’ la sera del 22 maggio a Zurigo. Italia e Germania giocano un’amichevole per l’ottantesimo anniversario dell’Uefa. Sordillo e Ferlaino sono in tribuna d’onore.
“E allora quale straniero ti compri?” dice Sordillo all’Ingegnere.
Il presidente federale sa che il Napoli ha fallito l’acquisto di Socrates, che Ferlaino ha scartato Junior che andrà al Torino e non gli è piaciuto Brieghel che è andato a vedere in Germania. Sa che Krol, 35 anni, se ne andrà da Napoli e anche Dirceu. E continua a provocare l’Ingegnere: “Allora, quale straniero ti compri”.
Ferlaino non è tipo che faccia battute per farle. Sta pensando qualcosa, vuole sondare il terreno federale ed esclama: “Mi compro lo straniero che costa di più”.
Sordillo azzarda: “Maradona?”.
E Ferlaino, finto ingenuo: “Maratona!”.
Sordillo “allunga” la battuta ai giornalisti. Putiferio. I giornali riportano seriamente l’indiscrezione. Ferlaino torna a Napoli. Finge ancora e dichiara: “Siete pazzi. Maradona non lo compreremo mai. Il Barcellona non lo venderà”.
Ma, a Barcellona, stanno succedendo cose incredibili. Il Consiglio del club si riunisce in segreto e vota la cessione di Maradona: 18 voti favorevoli contro uno solo contrario del vicepresidente Gaspart. Ma nessuno lo dice ai 108 mila soci del Barça.
Juliano non deve insistere più con Ferlaino, ormai eccitato dall’idea di portarti a Napoli, Diego, perché sei il più grande di tutti.
L’Ingegnere si muove da vecchia volpe. Juliano vola a Barcellona e si incontra con Gaspart. Putiferio della stampa spagnola. Gaspart dichiara: “Ho solo ascoltato l’offerta del Napoli”.
Juliano, accompagnato dal consigliere Tagliamonte, ha fatto un’offerta precisa: tre milioni di dollari subito, due milioni entro il 30 giugno del 1985, due milioni alla stessa data del 1986. Totale: 13 miliardi di lire.
Totonno non si arrende. Passa da Gaspart a Cyterszpiller. Lo scova a Barcellona nella sua casa al quartiere Gauduxer. Ottiene la disponibilità della Maradona Producciones. Si può fare. Ti stai avvicinando al Napoli, Dieguito.
E l’Ingegnere lavora da vecchia volpe. Vedremo come.

21/6/2004
view post Posted: 21/11/2015, 16:56     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 14
di Mimmo Carratelli


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Lo sapemmo dopo. Il nostro Giannino Di Marzio, guaglione ‘e Mergellina e 500 panchine dalla massima serie alle serie inferiori, due promozioni in A col Catanzaro e col Catania, allenatore appassionato e scopritore di giovani talenti, era venuto a cercarti in Argentina, nel 1979. A dargli l’imbeccata era stato il grande Vinicio, suo compare d’anello e maestro di campo.
E, dunque, Giannino arriva a Buenos Aires e ti porta la maglia del Napoli e l’offerta della società azzurra di dieci giorni di vacanze nel golfo, tutto pagato. Che cosa ne sai tu di Napoli? La pizza e stop. Ti cerca lo Sheffield e il Barcellona vuole già fare sul serio. Ma sei solo un ragazzo di 19 anni. La maglia azzurra del Napoli non ti dice ancora niente. D’altra parte, in Italia le frontiere sono chiuse. E’ tutto un discorso campato in aria.
Alla Juve avviene questo dialogo simpatico tra Agnelli e Boniperti.
L’Avvocato: “Boniperti, mi hanno segnalato un giocatore argentino che ha doti eccezionali, ti prego di farlo guardare”.
Chi ha parlato di te all’Avvocato? Sivori gli ha parlato, ma anche il nipote Cristiano Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli, che vive in Argentina.
Boniperti, presidente della Juve: “Avvocato, lei ne ha sempre una nuova”.
Agnelli: “Si chiama Maradona”.
Boniperti: “Ma questo nome non le sembra una bestemmia?”
Agnelli: “Guarda che questo giocatore deve essere qualcuno”.
Boniperti: “Se fosse qualcuno, lo saprei”.
Chiuso. L’Avvocato aveva visto giusto. Boniperti no. Ma si giustifica così: “A 19 anni, un giocatore può diventare tutto o niente. Aspettiamo”.
All’Italia non ci pensi. Quando verrà il momento sarà in Spagna che vorrai andare.
Vediamo come vanno le cose l’anno dopo, nel 1980. La Juve torna alla carica. Stavolta, Boniperti non aspetta e parte da Torino col general manager Pietro Giuliano, suo uomo fidato. Partono in segreto. In Argentina trovano Sivori. Il contatto avviene all’Hotel Sheraton di Buenos Aires con Cyterszpiller. La Juve offre un miliardo di lire all’Argentinos per il prestito di un anno e 300 milioni per te.
La notizia dell’incontro trapela e appare sui giornali. Da Barcellona assicurano: “Maradona ha già firmato con noi, se viene in Europa indosserà la nostra maglia”. Ai tifosi argentini tutte queste “voci” europee danno ai nervi. Tuo padre Diego senior, papà Chitoro, viene affrontato da due persone in strada che gli gridano: “Vendidos”. Anche i vicini di casa sono in subbuglio. Ci litiga tua mamma Dalma, mamma Tota. I vicini la insultano perché tu vuoi andare in Europa. Mamma Tota accusa un malore dopo la lite.
Il fatto è che il presidente dell’Argentinos Prospero Consoli ha le casse al verde e ti cederebbe volentieri. Usa le offerte straniere per sollecitare il mercato argentino: che si faccia avanti il River, che ha tanti soldi. Sappiamo già che andrai al Boca Juniors.
In ogni caso, in Italia le frontiere sono sempre chiuse. Per respingere gli allettamenti del Barcellona, il presidente della Federcalcio argentina pone il veto alle cessioni all’estero dei giocatori impegnati con la nazionale biancoceleste sino ai Mondiali del 1982 in Spagna.
Di quello che successe dopo e dei tuoi due anni al Barça abbiamo già parlato. E col Barcellona, nel 1984, hai chiuso. Non è più aria e hai bisogno di soldi. Accidenti agli investimenti di Cyterszpiller: petrolio, case, sale di Bingo in Paraguay. Perdite secche. Sei al verde, Dieguito, e ci sono debiti da pagare. Hai sperperato anche tu? Possibile, naturale.
Per rimetterti a galla vendi la casa barcellonese di Pedralbes. E aspetti notizie. Dal Napoli.

Continua

17/6/2004
view post Posted: 21/11/2015, 16:39     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 13
di Mimmo Carratelli



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Diego Maradona in Nazionale nel 1979
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)




Fine dell’avventura col Barcellona. Anche il campionato ’83-’84 è andato in fumo. Hai giocato poco: 16 partite, 11 gol. Che cosa ti succede, Diego? Giochi l’ultima partita il 22 aprile contro l’Espanol. Ti fai buttar fuori dall’arbitro dopo mezz’ora. Ti resta la Coppa del Re. A maggio giochi la finale contro l’Atletico Bilbao a Madrid.
Coi baschi è sempre una battaglia. Goichoechea si riaffaccia all’orizzonte. Stavolta i suoi colpi sono carezze, ma tu pensi: “Vorrà finire il suo lavoro?”. Il Barça perde 0-1. La conclusione del match è una rissa indicibile col re Juan Carlos in tribuna d’onore. Una vergogna. Ma il re ti invita alla Zarzuela. Sei pur sempre Diego Armando Maradona. Un’ora e mezza di colloquio, il ricordo piacevole del tuo soggiorno spagnolo.
Hola, Diego. Il vicepresidente del Barcellona Joan Gaspart non vuole mollarti, sta dalla tua parte, punta sulle tue stelle filanti, non ha l’antipatia e il distacco del presidente Nunez. Al presidente hai detto: “Voglio che mi venda”. Gaspart ti presenta il nuovo contratto in bianco: “Metti tu la cifra che vuoi”. Ma ti senti già estraneo al Barcellona e straniero a Barcellona.
Facciamo una pausa, Diego.
Voglio ricordarmi la tua incredibile spacconata del 1979, partita Argentina-Bulgaria 2-1 risolta da un gol di Houseman e da un rigore di Passarella. Avevi 19 anni, peste di un funambolo.
A un certo punto del match ti va proprio di scherzare. Fai un dribbling a Stoikov, bruci sullo scatto Grantcharov, il portiere Hristov esce dai pali e tu lo eviti. Hai la porta spalancata davanti a te. Lo fai il gol o no?
Troppo facile, devi pensare. Perché esiti e aspetti il recupero del difensore Dimitrov. Naturalmente lo eviti, poi sull’ultima entrata di Stojanov nascondi la palla col sinistro. Che cosa vuoi fare, ora? La porta è di nuovo spalancata e invitante.
La danza è finita, tocchi il pallone di sinistro e lo mandi fuori, a fil di palo. Vuoi farci impazzire, Dieguito?
Il tuo pallone è gioia, spettacolo, tango, abilità, arte. Ma non puoi farci morire così dopo un lungo balletto.
Ne voglio ricordare altre due, pibe, del 1980.
La prima. Sei ancora nell’Argentinos e devi giocare contro il Boca. In porta il tuo avversario è Hugo Gatti, il “loco”, il pazzariello, il portiere che veste sempre maglie sgargianti, che si tiene i capelli con un legaccio sulla fronte, una bandana economica, e giocherà nella sua lunga carriera 800 partite, forse di più, e parerà una ventina di rigori, e, una volta, in un match in cui non gli arrivava neanche un tiro, si sedette sopra la traversa! Un matto. Un’altra volta i tifosi del Boca gli tirarono una scopa, lui la prese e si mise a spazzare l’area di rigore.
Un grande portiere e un adorabile burlone. Tu sei un piccolo astro, lui è già un campione affermato. Prima della partita ti stuzzica sui giornali. “Maradona è un ragazzino con la tendenza a ingrassare”. Cyterszpiller ti riferisce la frase e ti stuzzica a sua volta: “Fagli vedere chi sei. Fagli due gol e chiudi la storia”. Immagino la tua faccia sbarazzina, Dieguito, quando rispondi: “Due gol? Ma gliene faccio quattro”.
Vai in campo e quattro gliene fai al “loco” Gatti. Il primo gol è su rigore, il secondo con una punizione al bacio, il terzo lo beffi di piatto sulla sua uscita dai pali, il quarto un’altra punizione, una di quelle tue “palommelle” irresistibili.
Il “loco” ci rimane di sale. Un giorno dirà: “Una partita che non dimenticherò mai. Credo che né nel Boca, né in nazionale, né nel Napoli, Diego abbia giocato come nel 1980. E quando venne al Boca, io ero geloso pazzo di lui”.
L’altra magìa avvenne a Wembley, nel tuo esaltante 1980. Facesti la prova del gran gol mondiale agli inglesi di sei anni dopo. L’Argentina prese una batosta (3-1), ma l’applauso più forte fu per te. Era l’Inghilterra di Keegan e tu, per i giornali britannici, eri il nuovo Keegan, a vent’anni.
Insomma, a un certo punto ti metti a dribblare. Fai fuori mezza nazionale inglese e, sul tocco conclusivo, colpisci il palo!
Sono belle le tue storie, Diego. E, intanto, a Barcellona è rottura. E suona per te la sirena di Napoli.

Continua
13/06/2004
view post Posted: 14/11/2015, 15:34     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 12
di Mimmo Carratelli



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Diego Maradona al Barcellona
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Con la Coppa europea che sfuma e il campionato che inchioda il Barcellona al terzo posto, i tifosi azulgrana sono in rivolta. Si sparla molto del tuo clan: il compagno dell’Argentinos che è il tuo vero amico Osvaldo Dalla Buona, il magazziniere che chiami sempre Galindez, Nestor Barrone che ha quel soprannome di “Ladilla”, piattola, e ti sta proprio azzeccato, tuo cognato Esposito che non piace a nessuno, Cyterszpiller, Guillermo Blanco, altri ancora e le ragazze.
Hai bisogno di amici e loro hanno bisogno della tua protezione che significa ospitalità e soldi, e le serate in discoteca. Si vocifera di notti bianche. Vai in televisione a difendere il clan: “Voglio dire a tutta la gente di Barcellona che non tutti noi argentini siamo cattivi, che noi argentini non vogliamo offendere nessuno, che sappiamo vivere”.
Che cosa significa? Significa che la tua vita a Barcellona è diventata un tormento. Qualcosa è venuto fuori quando, in un locale, c’è stata una mezza rissa. Con Osvaldo Dalla Buona spingi energicamente qualcuno che vi importuna. Le ramblas sono ormai una tentazione, la domenica e il lunedì sera andate in discoteca. La rissa viene riportata dai giornali. Ti difendi. Al Barcellona hai dato tutto quello che potevi, l’epatite e gli infortuni ti hanno impedito di dare di più. Ma pesano come un macigno i 15 miliardi che è costato il tuo trasferimento. La stampa non è tua amica.
Circola già la droga? Sì che circola. Comincia per gioco, naturalmente. Sembra divertente. Un giorno dirai: “Quando uno ci si trova, vorrebbe dire di no, ma finisce col sentire se stesso che dice sì”. Ti stiamo perdendo, Dieguito? “Ti illudi di riuscire a dominarla, di venirne fuori, e poi le cose si complicano” dirai. E’ un brutto affare. Chi ti aiuta? Chi ti può aiutare?
Certo, la droga non aiuta a vincere le partite. Non c’entra con le partite. Dirai troppo tardi: “Per giocare a calcio non serve, come non serve per la vita”. Ma ci scivoli lentamente dentro. Possibile che non ti rendi conto che ti stai cacciando in una trappola infernale? Le notti di Barcellona sono tentatrici e tu sei un ragazzo solo, lontanissimo ora da Villa Fiorito, dalle “cebollitas”, dai sogni col Boca. Per quell’epiteto di “sudarca” con cui i catalani definiscono spregiativamente i sudamericani, ti senti in un paese straniero. Hai compagni gelosi e avversari che ti vorrebbero spezzare una gamba. L’hanno già fatto. Spagnoli invidiosi. Non per niente, nel Barça, il tuo unico amico è un tedesco, Schuster.
Dentro sei solo, Diego, nonostante la corte di amici e Claudia. E’ questa solitudine che hai nel cuore che ti perde e ti consegna alla illusione che ti conquista, ti esalta, ti fa volare, ti farà prigioniero e non sarai più tu, maledizione. Sono le difficoltà sul campo, perché il Barcellona non vince il campionato, che aumentano la tua solitudine. Ma è una pazzia ricorrere alla polvere micidiale. E’ un gioco pericoloso. E non è un gioco, non sarà più il gioco delle prime volte.
Si fanno pessimi i rapporti col presidente Nunez. E’ uno che vuole comandare, ma con te non ce la fa. Ti proibisce di parlare col giornalista José Maria Garcia che lo attacca. Immagino la tua risposta.
Un episodio provoca la rottura definitiva. Ti impedisce di andare a giocare un’amichevole per l’addio al calcio del difensore tedesco Breitner. Te lo proibisce con parole dure che tu lasci a metà uscendo dal suo studio e sbattendo la porta. Te lo proibisce sul serio quando ti sequestra il passaporto.
La guerra con Nunez si fa dura. Lui certamente sa della droga. Forse vuole mandarti via, ma ha speso troppo e non ha ancora vinto nulla. E tu vuoi andare via. Lo sa bene il vicepresidente Joan Gaspart che ti prepara un nuovo contratto e ti dice: “Metti tu la cifra che vuoi”.
Ma tu, Diego, vuoi la libertà dall’incubo che è diventata Barcellona. E questo tuo desiderio trapela sui giornali che, ogni giorno, ormai, riferiscono tutti i particolari della guerra con Nunez.

9/6/2004
view post Posted: 12/11/2015, 10:20     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 8
di Mimmo Carratelli



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Diego Maradona ritorna all'Argentinos Juniors
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)


Il secondo anno col Boca proprio non va, Diego. E il club deve far soldi. Ne spreme dalle amichevoli. Devi partire per una tournée pazzesca: otto partite in 21 giorni in giro per il mondo, Los Angeles, Hong Kong, Malesia, Giappone, Messico, Guatemala. Tu sempre in campo in un tour che avrebbe stroncato un gigante. Porti con te papà Chitoro, mamma Tota, i fratelli Hugo e Raul, la sorella Caly, Claudia Villafane, Jorge Cyterszpiller e il cineoperatore Juan Carlos Laburu che filma le tue allegrie, le fatiche e i trionfi.
Non solo il Boca è in cattive acque, ma l’Argentina intera. L’inflazione è galoppante. I club calcistici, tutti in rosso, chiedono aiuti che il governo non può dare. E il Boca, per riconvertire il prestito dell’Argentinos nel tuo definitivo acquisto, dovrebbe sborsare quattro miliardi di lire. L’impressione è che il presidente del Boca Noel cerchi acquirenti.
Il 2 dicembre 1981 giochi la tua ultima partita di campionato con la maglia gialloblu, alla Bombonera, contro il Velez che vince 2-1. Moralejo ti massacra di calci, come aveva già fatto Carlitos Arregui del Ferrocaril. Protesti e l’arbitro Carlos Esposito ti butta fuori. Il 6 febbraio 1982 è l’ultimissima partita col Boca, una gara della Coppa d’Oro contro il River, persa per 0-1. Al Boca è arrivato un nuovo allenatore, Vladislao Cap, “el polaco”. Che vada all’inferno.
Esci dal Boca per infilarti nei quattro mesi di raduno con la nazionale in vista del Mondiale in Spagna. Le fatiche, peggio degli esami, non finiscono mai. Siete convinti di vincere la Coppa del mondo, ma le esibizioni amichevoli deludono i tifosi che fischiano. Riesci a prenderti una vacanza a Esquina, un ritorno alle origini, al paese dove papà Chitoro andava sulle chiatte e pescava i dorados. E’ col tuo vecchio che vai a pesca sul Paranà Minì. Hai bisogno di riposo. Qualcuno dice: “La gente deve capire che Maradona non è una macchina della felicità”. Ma tutti pretendono tutto da te. Pretendono che tu sia soprattutto una macchina di soldi.
Il Boca non ha i soldi per il tuo acquisto definitivo ora che il tempo del prestito dall’Argentinos è scaduto. O ti riscatta o ti perde. Proprio così. Prendere o lasciare. Il presidente Martin Benito Noel lascia. Il tuo “cartellino” torna nelle mani dell’Argentinos Juniors e il presidente Consoli, quello delle pompe funebri, si ritrova una miniera d’oro in casa. Però, in caso ti cedesse, com’è sicuro che ti cederà perché le casse sono vuote, al Boca spetterà una parte degli introiti della tua cessione. E ora il Barcellona si fa sotto seriamente. Non desideravi la Spagna, Dieguito? E la Spagna si avvicina.
Si avvicina nella persona del vicepresidente catalano Joan Gaspart che sbarca a Buenos Aires con un favoloso contratto. Il Barcellona offre la cifra record di 15 miliardi di lire per averti sei anni in maglia azulgrana. Sette miliardi e mezzo all’Argentinos, due miliardi e mezzo al Boca, e Cyterszpiller spunta per te cinque miliardi fra ingaggio e soldi degli sponsor, esclusi stipendi e premi.
Nessun calciatore è mai costato tanto: il Cosmos pagò al Santos sei miliardi per Pelè. Ma con l’annuncio dell’arrivo di Maradona, i soci del Barcellona passano da ottantamila a centomila. E’ il più grande business della storia del calcio. Il Barça deve solo aspettare la fine dei mondiali per averti. La Federcalcio argentina blocca i trasferimenti dei nazionali fino alla conclusione della Coppa del mondo. Ma il dado è tratto, Dieguito. Sarai il re delle ramblas.
Intanto, sotto con la nazionale. Il Flaco Menotti ha scelto i 25 per la Spagna. Sei sono i giocatori del River: il portiere Fillol, Passarella, Tarantini, Luque, Ortiz e Diaz. Cinque quelli dell’Independiente tra cui Olguin. Quattro nazionali giocano nel Talleres. Gli altri provengono dal Newell’s, dal Racing, dal Velez e dall’Estudiantes. Dall’Argentinos Juniors, il massimo: Diego Armando Maradona, col difensore Carabelli.
Prima sistemazione spagnola a Villajoyosa, borgo peschereccio e stazione balneare sulla Costa de la Luz, quaranta chilometri da Alicante. L’Argentina affronterà nel primo turno il Belgio a Barcellona, l’Ungheria e il Salvador ad Alicante. Con Maradona sarà una passeggiata. Menotti ti coccola con gli occhi. Dividi la stanza con Beto Barbas, centrocampista del Racing. Vamos, Diego.
Ma il professore Ricardo Pizzarotti commette un errore. Insiste troppo sulla preparazione fisica. Gli argentini vanno in superallenamento. In ogni modo, scocca l’ora del mondiale.

24/5/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 9
di Mimmo Carratelli


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Diego Maradona con Claudio Gentile al mondiale dell'82
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Dov’è l’Argentina che deve spaccare il mondo, pibe? Deconcentrata e imballata a Villajoyosa, in un caldo giugno spagnolo. Non va, non va. Sei l’attesa “stella” del mondiale 1982, a ventidue anni. Sei la futura “stella” del Barcellona. Da te pretendono ghirigori e gol. Ma i muscoli sono stanchi.
Vai in campo contro il Belgio con una infiltrazione e il debutto è proprio a Barcellona dove t’aspettano nel club azulgrana.
I belgi sono tosti e tonici. Siete una formazione coi fiocchi, ma i fiocchi sono ammainati: Fillol; Olguin, Tarantini; Gallego, Luis Galvan, Passarella; Bertoni, Ardiles, Diaz, Maradona, Kempes. Il vecchio Kempes, trent’anni, è alla frutta, non farà neanche un gol e, dopo il mondiale, si metterà a fare l’attore di film a luci rosse. I belgi vi cucinano a fuoco lento e dopo un’ora di gioco cavano il golletto decisivo. Il poeta Valdano sostituisce Diaz, ma rimane lo 0-1. Rabbia e delusione. L’arbitro cecoslovacco Christov non ti concede un rigore.
Quattro giorni dopo, ad Alicante, l’Ungheria è più morbida, l’Argentina dilaga. Nel 4-1 piazzi una doppietta: una “palombella” e un tiro da fuori. La qualificazione al secondo turno è in tasca perché alla terza partita c’è il Salvador che dall’Ungheria ha preso dieci gol. Gliene date solo due. I salvadoregni ti riempiono di botte. Segnano Passarella su rigore e Bertoni.
Il secondo turno, con Brasile e Italia, può essere il paradiso o l’inferno. Si gioca nel piccolo stadio “Sarrià”, non è il “Nou Camp” del tuo destino spagnolo. Ti tocca l’Italia a prima botta. Il gioco si fa subito duro. Gentile, che si è fatto crescere i baffi per spaventarti, ti lavora alle caviglie. Ti innervosisci. Non hai la cattiveria di Sivori per replicare e l’arbitro romeno Rainea lascia fare.
Comincia male e finisce peggio. Stampi sul palo uno dei tuoi mirabili calci di punizione: Zoff si inchina alla buona sorte. Due sventole di Tardelli e Cabrini lasciano Fillol di stucco e portano l’Italia sul 2-0. Il gol all’83’ di Passarella su una veloce punizione ti fa sperare, ma dovete giocare gli ultimi sei minuti in dieci: Gallego si fa espellere. La partita sfiora la rissa. E’ 2-1 per l’Italia.
I giochi non sono ancora fatti, però bisogna battere il Brasile delle “stelle” per andare avanti. Bisogna battere Falcao, Cerezo, Zico e il dottor Socrates. Carica! Ma quelli vanno in vantaggio subito con Zico ed è una partita in salita. Danzano i brasiliani e ti viene il nervoso. Dilagano e vedi rosso. Stai uscendo fuori dal mondiale, pibe. Il Brasile va sul 3-1, il gol di Diaz a un minuto dalla fine non serve a niente.
Soffri, maledici, hai il cuore in tumulto. Scarichi la tua rabbia nel finale, preso in mezzo dal tic-tac-toc arrogante dei brasiliani. Vuoi dare un calcione a Falcao, che fa il reuccio in mezzo al campo, e invece colpisci il povero Batista che è appena entrato al posto di Zico.
E’ finita. Il mondiale è andato, il tuo primo mondiale. Paghi più di tutti perché tu eri la “stella” attesa.
Il ritorno a Buenos Aires è triste e maledettamente complicato. Perché ora sei un “traditore”. Non hai conquistato il mondiale per l’Argentina e l’abbandoni per andare in Europa, al Barcellona.
Ti sottrai agli occhi del mondo rifugiandoti sulla spiaggia di Atlantida, in Uruguay, dove hai comprato una villa, dove ci vai con gli affetti più cari, papà Chitoro e mamma Tota, i fratelli, Claudia Villafane. La “botta” spagnola è dura e fai fatica ad assorbirla. Intanto, giornali e televisioni si accaniscono sul tuo passaggio al Barcellona, “il trasferimento del secolo”.
Si perdono nel tempo le belle frasi. “Maradona si muove sul campo con l’eleganza di Fred Astaire” aveva scritto il “Sunday Mirror”. “La forza di Diego è nella sua capacità di dominare la partita, di non subirla mai” aveva detto Menotti. “Maradona es el futbol mismo” ha titolato “El Grafico”. Hai solo ventidue anni e sei in un tornado, aggredito dai giornalisti, dai tifosi, dai dirigenti, non solo dagli avversari sul campo.
Non c’è più il “Pelusa” delle “cebollitas” dell’Argentinos che palleggiava per tre quarti d’ora e andava nella chiesa della Vergine Bambina a Villa del Parque a ringraziare Dio “per tutto quello che mi ha dato”. Il mondo ti è addosso ed è una pressione insopportabile. Nessuno può dire che cosa ti succede dentro e che cosa ti squarcia l’anima consegnandoti più tardi a un destino crudele. Ancora ragazzo, devi crescere troppo in fretta, mangiato dalla vita.
Fai le valigie per la Spagna. “Stessa lingua, non avrò problemi”, dici. Sei carico di sogni e progetti: “Il Barcellona è la società che fa per me. E’ il più grande club del mondo, migliore anche della Juventus”. Ma non conosci l’alterigia dei catalani che danno del “sudarco”, unto, sudato, sporco, ai sudamericani, un appellativo di disprezzo. Il settimanale “Don Balon” scrive: “Boom Maradona, sei milioni di dollari che parlano, corrono e segnano gol”. I soldi, sempre i soldi. E quand’è che il calcio tornerà il gioco che hai sognato?

28/5/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 10
di Mimmo Carratelli


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Diego Maradona con la maglia del Barcellona
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Ma che razza di calcio si gioca in Spagna, Dieguito? E’ un football furioso che distrugge la tecnica. E’ il calcio europeo, pibe. Prendi botte persino in allenamento! E il presidente del Barça, José Luis Nunez, non ti è neanche simpatico.
Nel club azulgrana, leghi bene con due giocatori, il tedesco Bernd Schuster e Carrasco, detto il lupo. L’allenatore è un tedesco, Lattek, uno che allena la squadra con le palle mediche da otto chili da spingere per tutto il campo e che ti sveglia alle 8,30 del mattino.
Hai una bellissima casa, a Pedralbes, il quartiere residenziale di Barcellona: tre piani, dieci camere, il campo da tennis, il campo per il calcetto e un’enorme piscina. E’ una casa così grande e così lontana dall’Argentina che la vuoi sempre piena di amici. E’ il clan del sentimento e degli asado.
C’è Claudia con te. Ha 22 anni, siete coetanei. Ci sono i tuoi amici dell’Argentinos, il magazziniere che somiglia al pugile Galindez e Osvaldo Dalla Buona che sistemi nella seconda squadra del Barça.
Il magazziniere si chiama, in realtà, Miguel Di Lorenzo, ma tu lo chiami Victor, il nome del pugile argentino che è stato il re dei mediomassimi negli anni Settanta. Ti piace la leggenda di Victor Galindez che, quando doveva scendere di peso, faceva pazze corse in moto, notti di baldoria e saune infinite. E’ morto, Galindez, nei primi mesi del 1981 in un incidente d’auto. E’ rimasto il suo mito, in Argentina.
Si fermano per lungo tempo, a Pedralbes, mamma Tota e papà Chitoro, i tuoi grandi affetti, e tua sorella Maria col marito Gabriel Esposito, che non ti piacerà mai, e il figlioletto.
La villa è grande. Ha due custodi, un cuoco, il giardiniere e due cameriere. Jorge Cyterszpiller alloggia da qualche parte, con una ragazza spagnola, Angie. Si sistema anche il tuo cameraman Laburu.
Cyterszpiller piazza la “Maradona Producciones” al sesto piano di un sontuoso palazzo sulla Gran Via Carlos III: vi lavorano una segretaria di origini friulane, Wilma Pagnucco, due ragazze spagnole e Guillermo Blanco (con moglie e due figli) che regge l’ufficio stampa.
Tanta gente, troppa. Ma tu hai paura della solitudine. Sei ancora un ragazzo e gli affetti, l’amicizia, la compagnia sono essenziali nella nuova città. E’ come se trascinassi un po’ di Buenos Aires con te, un po’ dei tempi delle “cebollitas” dell’Argentinos.
In Spagna picchiano, abbiamo detto. Vediamo subito com’è difficile la tua vita sui campi. E’ il settembre del 1982. A Siviglia rimedi due punti di sutura alla lingua. Contro il Saragozza giochi solo un quarto d’ora ed esci per la distorsione della rotula del ginocchio sinistro. Dicembre è il mese più nero. Contro il Real Sociedad, a un minuto dalla fine, lasci il campo in barella: rottura parziale dei legamenti del ginocchio sinistro. Non ti protegge più la Vergine Bambina?
Ci mancava l’epatite che ti tiene lontano dai campi di gioco per cento giorni. Ma arriva anche una buona notizia: il Barcellona esonera Lattek e assume Menotti.
Il campionato del Barça è una delusione, ma, accidenti, quante poche partite riesci a giocare. Il tuo genio della lampada viene fuori in una indimenticabile sera di Belgrado, il 20 ottobre 1982. La tua classe purissima strappa due lunghi minuti di applausi ai 90mila che stipano lo stadio della Stella Rossa. Un’ovazione senza precedenti.
E’ una partita di Coppa delle coppe. Fai due gol, ma uno resta memorabile. A metà campo rubi la palla al tuo amico Schuster. Ti involi in uno slalom tra Rajkovic e Djordjic. Sei al limite dell’area. Davanti a te, stregati, Djurovcki e Sugar vorrebbero stringerti, ma li precedi, e, mentre il portiere Stojanovic sta per uscire, dipingi un lungo pallonetto che va ad adagiarsi in rete, delicato come uno strascico di seta.
E’ il più bel gol che si sia mai visto nelle coppe europee. La competizione ti esalta. Tre gol (di testa, su punizione magica e il terzo dopo un dribbling generale) li hai già segnati ai ciprioti dell’Apollon (8-0). A Belgrado, il Barça trionfa per 4-2. Sembra un percorso in discesa perché, nei quarti di finale, l’avversario è l’Austria Vienna. Per l’epatite salti il match di andata in Austria (0-0), giochi il “ritorno” quando ti sei appena rimesso in piedi. E’ un maledetto 1-1 al Nou Camp e la Coppa finisce qui. Passano gli austriaci.
Dal Mondiale alle delusioni catalane (il Barcellona finisce quarto in campionato), il 1982 se ne va così.

1/6/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 11
di Mimmo Carratelli




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Diego Maradona durante l'infortunio
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



C’è Menotti, Diego. Può andare meglio e la Spagna aspetta le tue prodezze. Il 1983 comincia bene. Il 4 giugno, a Saragozza, trascini il Barcellona alla conquista della Coppa del Re, antagonista finale il Real Madrid allenato da Alfredo Di Stefano, con l’asso tedesco Stielike. Vittoria azulgrana per 2-1. Non segni, ma fai girare la squadra che è una meraviglia. Pare che tu voglia dire agli impazienti tifosi del Barça: “Ecco di che cosa siamo capaci”.
In settembre, alla prima partita di Coppa delle coppe, in Germania, contro il Magdeburgo, arbitro l’italiano Agnolin, sei incontenibile e il Barça dilaga: 5-1. Metti a segno una tripletta. Nel primo gol, fai l’ultimo dribbling al portiere. Il secondo è quasi una copia della meraviglia di Belgrado: ti “bevi” mezza squadra tedesca per andare a segnare e ci manca poco che esclami “olè”. Il terzo è un impeccabile rigore.
S’accende finalmente la tua stella nel cielo spagnolo. Ma il tuo campionato, Diego, si interrompe alla quarta giornata. Dopo un’ora di gioco, al Camp Nou, il basco Andoni Goicechea ti arriva alle spalle e ti solleva da terra. Una mazzata alla gamba sinistra. Stavate vincendo 3-0 sull’Atletico Bilbao. Si sente il tuo urlo di dolore nello stadio. Esci in barella e l’arbitro neanche ammonisce l’assassino.
Alla clinica Asepeyo di Barcellona il responso è terribile: frattura del malleolo e rottura dei legamenti della caviglia sinistra. Il giornale “Marca” titola: “Proibito essere artista”. Vai sotto i ferri del professore Gonzalez Adrio e l’operazione dura due ore. Il professore è pessimista sulla durata del tuo recupero. Pensa che starai fermo sei mesi. Ma ti ricordi del dottor Ruben Dario Oliva che vive e lavora a Milano. L’hai chiamato tante volte dopo gli infortuni perché ti rimettesse bene in piedi. Corri, dottore Oliva, che stavolta la cosa è più seria delle altre.
Corre il dottore da Milano, come sempre. Un’ora e mezza di aereo. Controlla, borbotta, ti fa fare un radiografia. Dopo una settimana ti fa togliere il gesso e ti dice: “Appoggia il piede”. L’hai chiamato sempre e affettuosamente “loco”.
E’ pazzo il dottore Oliva? “Poggia il piede” lui ripete. Vorresti dargli del pazzo nella clinica Asepeyo. Poggiare il piede dopo una settimana quando ti avevano detto che avresti aspettato sei mesi? Ma tu poggi il piede. Il “loco” Oliva ti fa camminare con le stampelle. Lui ha visto che l’osso del malleolo s’è saldato. Non è “loco” il dottore di Milano. Ti fa camminare anche senza stampelle.
Intanto, al basco assassino appioppano 18 giornate di squalifica. Gliele ridurranno a 10 e poi a 8. Schuster ti dice: “A me ha spappolato un ginocchio, prima di te”. E’ un killer noto sui campi di calcio Andoni Goicoechea.
Voli a Buenos Aires per completare la rieducazione della gamba sinistra, il tuo pennello fatato, il tuo cucchiaio d’oro, l’arpioncino d’incantesimo. Due mesi dopo l’incidente, il professore Oliva ti raggiunge. Ti consegna un pallone e ti dice di calciarlo nel giardino di casa. Ce la fai. Il pennello, il cucchiaio, l’arpioncino sono salvi. L’ultimo giorno dell’anno vai a piedi al santuario della Madonna di Lujar, 40 chilometri fuori Buenos Aires. Il 3 gennaio 1984 torni a Barcellona.
T’aspettano all’aeroporto, ma l’aereo atterra a Madrid. Nessun problema. Voli in aerotaxi per Barcellona, aeroporto El Prat Llobregat. Fai un rientro in grande.
Una delle tue segretarie, la deliziosa Begonia, organizza una conferenza stampa all’Hotel Principessa Sofia. Sembra di stare allo stadio. Un giornalista nota qualcosa di nuovo. Ti sei fatta crescere una barbetta malandrina. Dici: “La toglierò quando tornerò in campo”.
Rientri l’8 gennaio contro il Siviglia, dopo 106 giorni dalla mazzata di Gocoechea, un recupero prodigioso. E’ festa grande che condisci con due gol. Dopo un’ora di gioco, Menotti ti fa riposare.
Hai un grosso fastidio al nervo sciatico della gamba destra, ma giochi. Non ti vuoi fermare più. Il Barça infila sei risultati utili. Fai tre “doppiette” contro l’Osasuna, in trasferta contro l’Atletico Bilbao senza il killer, contro il Valladolid. Segni un gol a Madrid, ma vince il Real 2-1 su autogol. Il campionato va in malora.
A marzo riprende la Coppa delle coppe. Il Barcellona vince l’andata contro il Manchester United (2-0). Nel “ritorno” vai in campo con 39 di febbre. Gli inglesi sono assatanati. Recuperano (3-0) e il Barça è fuori.
Ma c’è ancora la Coppa di Lega, in giugno. Trascini il Barcellona in finale a suon di gol. Vai a segno contro il Gijon e l’Atletico Madrid eliminando le due squadre. Scontro conclusivo col Real, andata e ritorno. A Madrid è 2-2 (un gol), a Barcellona è 2-1 (un altro gol). La Coppa di Lega è del Barça. E’ il tuo secondo trofeo in Spagna, nel 1983.

5/6/2004
view post Posted: 11/11/2015, 14:11     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 5
di Mimmo Carratelli


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Diego Maradona alza la Coppa di Campione del Mondo Juniores
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Il Flaco non ti mollerà più. Sei nel giro stabile della nazionale, Diego. I campioni del mondo del 1978 si concedono una partita di gloria. Affronteranno, nello stadio del River, il Resto del mondo.
E’ il 25 giugno 1979. Stavolta ci sei. Formazione biancoceleste: Fillol; Olguin, Tarantini; Galvan, Gallego, Passarella; Houseman, Ardiles, Luque, Maradona, Valencia. La maglia numero 10 è tua. Il Resto del mondo l’allena l’italiano con la pipa, Enzo Bearzot. Ci stanno dentro Paolo Rossi, Krol, Platini, Zico. Ti marca Tardelli.
Sei il meraviglioso funambolo che porta in vantaggio l’Argentina. Un gollazo al brasiliano Leao. Dai spettacolo. Ma Galvan fa autogol e Zico regala la vittoria al Resto. Il “Clarin” esce con questo titolo: “La fiesta fue de Argentina y el resultado para el Resto del mundo”. Pazienza.
C’è il Flaco che vuole vittorie. La nazionale maggiore, dopo il mondiale vinto, dà poche soddisfazioni. Vediamo coi ragazzini. A Tokyo è in programma il Torneo mondiale juniores. Hola, Diego. In tre anni hai segnato 73 gol. Sei il miglior giocatore sudamericano. Sei la “stella” della nazionale dei minori di anni venti. Proviamo a fare bingo.
Tokyo, settembre 1979, è il tuo trionfo. La piccola Argentina vola. Sei il capitano. La dirigi e la trascini come un veterano. Fai gol e fai fare gol. Fai le suggestive veroniche dei grandi assi. José Maria Munoz, il telecronista più grosso e più pazzo di football che si sia mai visto e sentito, urla il tuo nome per l’emittente Rivadavia. Maradona, Maradona, Maradona. Le partite, in diretta, sono diffuse in Argentina alle quattro del mattino. Li svegli tutti. Svegli anche Claudia. Per lei eri il gran capitano.
Trio d’attacco stupendo: Barbas, Ramòn Diaz, che è la nuova “stella” del River, e Diego Armando Maradona, il tesoro dell’Argentinos Juniors. Con l’Indonesia è una passeggiata: 5-0 e doppietta personale. 1-0 alla Jugoslavia. 4-1 alla Polonia e firmi un gol. 5-0 all’Algeria e il Flaco ti ha fatto riposare, piangi da matto nello spogliatoio. Non vuoi riposarti mai. 2-0 all’Uruguay in semifinale, rete di Diaz e gol tuo, di testa. I guaglioni di Montevideo picchiano, la loro è una “scuola” di duri, gli fai un gol salvando le gambe.
Finalissima con l’Urss, campione in carica. Duri i russi, ma non cattivi come gli uruguayani. Le tue delizie li ammansiscono. Ma quelli vanno in vantaggio, maledizione. Pareggia Alves su rigore. La paura va via. Dai a Diaz la palla del sorpasso, un invito a nozze. Poi, dal tuo scrigno, tiri fuori la magìa del calcio di punizione. Finisce 3-1.
I giapponesi organizzano una scenografia da brividi. Spengono tutte le luci dello stadio e lasciano che un solo fascio luminoso ti segua con la squadra in un memorabile giro del campo. Il Flaco si coccola una vittoria meravigliosa. Sei il miglior giocatore del torneo e quel monumento vivente di Joao Havelange, presidente della Fifa, ti consegna la coppa. José Maria Munoz continua a gridare: Maradona, Maradona, Maradona.
Hai vinto il tuo mondiale. Ritorno trionfale a Buenos Aires. Lo Sheffield United chiede al presidente Consoli quanto costi: il padrone dell’Argentinos spara un miliardo e 200 milioni, il club inglese si ritira annichilito. Il Barcellona offre due miliardi. Ma il presidente Grondona blocca ogni espatrio in vista dei Mondiali del 1982 in Spagna.
Ti ricordi, Diego, il premio che ti concedesti? Andiamo al mare, dicesti a tutta la tua famiglia. Giorni felici sulla spiaggia di Atlàntida, in Uruguay. E a papà Chitoro dicesti: “Hai cinquant’anni, hai lavorato duro sempre, ora smettila. Ora tocca a me”. Grande campione, splendido figlio.

12/5/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 6
di Mimmo Carratelli


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Diego Maradona nel Boca Juniors
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)


Hola, nene. Il 1980 è l’ultimo anno nell’Argentinos Juniors. “Los bichos”, le bestiole, così chiamano i suoi giocatori. Segni il gol numero 100 contro il San Lorenzo. Un difensore matto del Colo Colo, in un’amichevole a Santiago del Cile, all’ultimo minuto quasi ti spacca il ginocchio destro. Devi andare all’ospedale, in ambulanza.
Il gioco si fa duro, la fanciullezza è alle spalle. Hai solo vent’anni, ma sei il bersaglio di tutti. Jorge Cyterszpiller coordina le giovanili dell’Argentinos, ti ronza attorno, avete fatto amicizia e un giorno gli dici: “Ehi, zuccone, perché non ti occupi delle mie cose?”. Detto fatto. Jorge è il tuo primo manager, è anche un amico. Spesso vai a dormire a casa sua, a La Paternal. Giocate a scarabeo, sei uno di famiglia.
All’Argentinos le cose non vanno bene. Sbagli un rigore e insultano tuo padre. Questo non lo sopporti. Papà Chitoro è il tuo vecchio, l’uomo che ha rinunciato alle barche per lavorare duro al mulino Tritumol, dodici ore al giorno, per l’immensa famiglia che ha sulle spalle, otto figli.
Vuole far soldi l’Argentinos e tu sei un vero tesoro. Il presidente del River, Aragòn Cabrera, ti vuole nel suo club. L’Argentinos chiede tre milioni di dollari, la tua quotazione sale ogni anno, e ora sei campione del mondo juniores dopo l’impresa di Tokyo. Ma il River non ti piace e papà Chitoro ti racconta d’avere sognato che giocavi nel Boca Juniors. E’ stata la vostra squadra, il Boca, quando andavate a vederla giocare alla Bombonera prendendo il tram, e tu eri solo un ragazzino.
Ti piace il Boca e pensi proprio d’andarci. Lavori di cervello e inventi una bugia per i giornalisti. “Non firmo per il River perché mi ha chiamato il Boca”. Non è vero niente, ma al Boca si eccitano. Non gli pare vero di averti. Vuoi proprio andarci? E tu gli dici di sì.
Il Boca è tra le squadre più popolari d’Argentina, fondato dal siciliano Esteban Baglietto quand’era il 1905, nel rione dei genovesi emigrati a Buenos Aires. E si chiamò Boca perché ebbe la prima sede sulla darsena allo sbocco (boca) del Riachuelo, un fiumiciattolo che andava a perdersi nel Rio de la Plata, l’estuario più largo del mondo, fino a 220 chilometri fra la riva argentina e quella uruguayana, col grande porto di Buenos Aires aperto sull’oceano.
Curiosamente, la squadra prese i colori dalla bandiera della prima nave che i fondatori videro nel Rio: era svedese e i colori furono giallo e blu. Così nacque la maglia blu con la fascia orizzontale gialla.
Era un rione di matti la Boca, artisti e prostitute, e lavoratori portuali. La Bombonera accrebbe il mito della squadra di calcio. Costruita nel 1938, quando sorse stretta fra le povere case di lamiera del quartiere, trasferita nel 1957 al centro del quartiere, ristrutturata nel 1996 per 80mila spettatori, le pareti esterne decorate dall’artista plastico Pérez Celis con la storia della società di calcio e del rione. Da ragazzo, ti mancava il fiato a vederla. Urlava la folla, definita “la doce”, il dodicesimo uomo in campo: “Ogni giorno ti voglio più bene, Boca Juniors. Sei un sentimento, non mi posso fermare”. E lo slogan era: “Il Boca è metà Argentina più uno”.
Pancho Varallo ne era stato un formidabile artillero, Piranha Sarlanga il centravanti più formidabile, Boyè l’ala atomica, Alfredo Rojas il “tanque”, carrarmato, e Antonio Ubaldo Rattin, difensore insuperabile, l’idolo della cancha, con Silvio Marzolini, terzino sinistro di grande classe, figlio di un carpentiere udinese. Una storia bella e grande fino alla rivalità tra il Boca di Angelillo, il ballerino del gol che venne all’Inter per 90 milioni di lire nel 1957, e il River di Sivori, il cabezon inimitabile, il sinistro più fantastico e maligno della storia del calcio, che si trasferì nello stesso anno alla Juventus. Tu, Dieguito, non eri ancora nato.
Il problema è che il River ha i soldi e il Boca neanche un pesos. Ma tu vuoi il Boca. Trenta ore di trattative ti portano alla squadra amata. L’Argentinos ti trasferisce in prestito, dal 20 febbraio 1981 al 30 giugno 1982, per 4 milioni di dollari (4 miliardi di lire) più una vagonata di giocatori che erano rappresentati, guarda tu le coincidenze della vita, da Guillermo Coppola. Firmi il contratto davanti alle telecamere di Canal 13 col presidente del Boca Martin Benito Noel. E’ un contratto di quattro pagine con cavilli e corollari. Il Boca si dissangua. S’impegna anche ad assumersi il debito di 400 milioni di lire che l’Argentinos ha con la Federcalcio argentina. Il tuo ingaggio è pari a 600 milioni di lire, più 720 milioni di stipendi per due anni, premi per 250 milioni e 600 milioni di premio per le amichevoli. Nasce La “Maradona Producciones” con Jorge Cyterszpiller. La Toyota propone un miliardo e 200 milioni di lire per potere accoppiare la tua foto all’ultimo modello delle sue auto.
Il Boca si dissangua. Tu gli dai il tuo cuore e il sinistro d’incantesimo. Vedremo come andrà.

16/5/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 7
di Mimmo Carratelli



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Diego Maradona nel Boca Juniors
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)


Il calcio non è il gioco che hai sognato, Diego. Il calcio è anche invidia e gelosie, è violenza e soldi. Il calcio è il Boca dove l’allenatore Silvio Marzolini, che ne era stato un idolo giocando da terzino sinistro, ti dice: “Se avevi prerogative nell’Argentinos, qui non ne avrai”.
Non ti piace Marzolini e non ti piace il preparatore fisico Gustavo Habbegger. Il calcio è arte, non palestra. I dirigenti si impicciano. Un giorno viene Pablo Abbatangelo nello spogliatoio e urla ai giocatori: “Non vi impegnate”. Gli rispondi per le rime davanti alle telecamere di “60 minutos”, la trasmissione di Monica Cahen: “Solo uno stupido può parlare così”.
Per il passaggio al Boca, la tua nuova squadra organizza un’amichevole con l’Argentinos. Giochi il primo tempo coi tuoi vecchi compagni, la ripresa col Boca, davanti a 25mila spettatori. Segni un gol per l’Argentinos, poi trascini il Boca. Ma sono i tuoi vecchi compagni a vincere 3-2. E’ il 20 febbraio 1981. Alla fine della partita, regali la tua ultima maglia dell’Argentinos al vecchio Cornejo, il tuo scopritore quand’eri un bimbo a Villa Fiorito, che è venuto a vederti. Due giorni dopo, scocca il tuo debutto ufficiale alla Bombonera, il Boca contro il Talleres di Cordoba, 4-1, un milione di dollari d’incasso.
Entri in campo facendoti il segno della croce. Comincia una nuova vita. Fai due gol, su rigore. Il dottor Luigi Pintos deve farti una infiltrazione. Che cosa ne sa la gente in quali condizioni un calciatore gioca? A volte, è proprio una sofferenza, ma lo spettacolo deve andare avanti.
Confidi agli amici: “All’Argentinos, dovunque fossi, mi passavano la palla. Al Boca, no”. Ti viene uno strappo e il Boca gioca quattro partite senza di te e le vince. Dunque, non sei indispensabile? I gelosi della squadra gongolano. Torni contro il Newell’s (2-2) e segni su rigore. Sul campo dell’Independiente segni il primo gol su azione col Boca. Il campionato è duro e il duello al vertice col Ferrocarril è tosto.
Il derby col River è sempre una dannazione, ma va alla grande alla Bombonera (3-0) sotto una pioggia battente. Segni con la manina, la prima di una serie famosa, e il gol ti viene annullato. Ma scateni Miguelito Brindisi a fare due gol e tu fai il terzo a Fillol. E’ il 10 aprile 1981, il tuo primo derby. In campo arriva di tutto, le urla dei tifosi, rotoli di carta igienica come stelle filanti, arance, qualsiasi cosa. Papà Chitoro ti guarda dal settore E. L’esuberante telecronista José Maria Munoz urla i tuoi gol nel suo microfono.
Scopri cose che non immaginavi. Il Boca si raduna a “La Candela” nel rione di San Justo, una zona poco sicura. Nei ritiri, ti rallegra la chitarra di Pancho Sa. Ma è un’altra musica quella dei sostenitori estremi che piombano a “La Candela”. Il loro capo, José Barritta, detto il Nonno, urla: “Se non vincete il campionato vi ammazziamo”. Circolano pistole. Ma tu sei già il loro idolo. “Non ti vogliono passare la palla” ti dicono. E Barrito aggiunge: “Tu, nene, devi diventare il capitano”.
Lo scontro col Ferrocarril alla Bombonera si gioca il 2 agosto 1981. Hugo Gatti, il portiere matto e capellone che gioca con un legaccio intorno alla fronte per trattenersi i capelli, rientra dopo l’infortunio, siete più sicuri. E, infatti, il “loco” salva più volte la porta del Boca finché con un guizzo dei tuoi non mandi in gol un altro dei matti, Perotti, l’attaccante con le lune. Filate in testa al campionato.
E’ festa grande alla Bombonera per la partita col Racing (1-1) che consegna il titolo al Boca. Le tribune vibrano, in campo è un pazzo giro d’onore. Nella calca, ti raggiunge tuo fratello Hugo, el turco. Ti urla qualcosa all’orecchio. Finalmente capisci. “L’Argentinos si è salvato” urla Hugo. Un’altra bella notizia. Senza di te, i “bichos” erano precipitati.
Il Boca deve far soldi e arrivano nuove voci da Barcellona. Ti vogliono laggiù. La pressione su di te è enorme. Il Boca va a giocare due amichevoli in Costa d’Avorio. L’entusiasmo degli africani per te ad Abidjan ti sorprende. Confidi: “Fuori mi trattano come un re, in Argentina no”. E’ il veleno del calcio, pibe. E’ il prezzo della gloria. Il talento si paga, così vogliono quelli che non l’hanno e sono la maggioranza.
Ora abiti in una casa più grande, a Buenos Aires, in Calle Lascano e giri in Mercedes. La Spagna ti tenta. L’avventura al Boca si esaurisce in due stagioni, e la seconda è una delusione. Tu lasci il timbro di 35 gol. Sei il capocannoniere a ripetizione.

20/5/2004
view post Posted: 10/11/2015, 10:28     +2Diego Armando Maradona: la favola -

Miti, fiabe e leggende

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 4

di Mimmo Carratelli

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Diego Maradona con la maglia dell'Argentinos Junior
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)


Vamos a ganar, Dieguito. Tutto succede molto rapidamente e il ragazzo che sei deve crescere in fretta. Juan Carlos Montes, allenatore della prima squadra dell’Argentinos Juniors, ti tiene d’occhio. Hai sedici anni e un martedì di fine ottobre lui ti dice: “Domani vai in panchina”. Stenti a crederlo. Non ci dormi la notte.
E’ il 20 ottobre 1976, un mercoledì e un pomeriggio molto caldo a Cordoba, terza città argentina, tutta all’interno, lontana dal mare, due milioni di abitanti. L’Argentinos Juniors affronta il Talleres. Sei in panchina. La partita non va bene e la cancha di Cordoba è un inferno. L’Argentinos va sotto di un gol. Dopo pochi minuti della ripresa, Montes ti dice: “Vai in campo”. Ti tremano le gambe, è normale. Sostituisci Giacobetti. Sulla tua maglia rossa c’è il numero 16. L’ultima cosa che ti dice Montes è questa. “Se ci riesci, tira una cannonata”. Come se fosse facile.
In campo scopri una solidarietà commovente. I “grandi” ti danno tutti una mano, ti incoraggiano. Fai un dribbling, pianti il tuo avversario, la palla gli è passata tra le gambe, tiri: fuori! Qualche cosa non ti riesce. Normale, pibe, è il debutto in prima squadra e il Talleres è uno squadrone. E’ l’addio al periodo fantastico delle “cebollitas”. Il calcio dei “grandi” sarà duro e spietato. Ma tutti aspettano le tue delizie.
Giochi altri spezzoni di partite e, contro il Newell’s Old Boys, stai in campo tutti e 90 i minuti. E’ un bel giorno. E arrivano i gol in prima squadra: per cominciare, due reti al San Lorenzo di Mar del Plata il 14 novembre 1976. Hasta la vista, Dieguito. Il tango è cominciato.
E arriva il Flaco. Cesar Luis Menotti non ha ancora 40 anni, ma è già un mito. Sarà per quella sua faccia lunga da pirata incorniciata dai capelli abbondanti, per lo sguardo che trapassa uomini e cose, per quel fisico longilineo, essenziale, magro, da Savonarola del pallone. Un tenebroso affascinante. E’ alla guida della nazionale dal 1974. Ti ha seguito, ti chiama.
Vola, Dieguito, vola. In allenamento, vedi i “draghi”, Kempes e Passarella. E’ il febbraio del 1977. L’Argentina gioca un’amichevole alla Bombonera contro l’Ungheria. El Flaco ti porta in panchina. Ti dice: “Se la squadra segna, è possibile che giochi”. Non c’è in campo un tifoso più tifoso di te. Vai, Argentina, vai.
E va bene. E’ cominciata la ripresa e i biancocelesti sono in vantaggio per 3-0. Tutto gira per il verso giusto. Il Flaco ti guarda. E’ il momento di andare in campo. Entri al posto di Luque, un altro “drago”, un filibustiere del gol. I “draghi” ti adottano subito. Gallego e Carrascosa, soprattutto. Ti passano la palla. Com’è bella la vita. Conquisti la nazionale quando non hai ancora 17 anni. Stai spiccando il volo, Dieguito.
L’Argentina ti guarda, l’Argentina ti ammira. Che cosa non sei capace di fare col tuo piede mancino! Ricami, inventi, stupisci. E vai in gol. Ventidue reti nel campionato nacional, quattordici in quello metropolitano. Sono i timbri della tua classe.
Capocannoniere. Prendi le prime botte, ma sai saltare le gambe assassine che tranciano l’erba e ti mancano. In un'amichevole con l’Argentinos a Barcellona, Zuviria ti massacra e lo stesso pubblico spagnolo lo fischia. Sei agile, scansi artigli e durlindane. Sei Diego Maradona.
Sei pronto per il Mondiale del 1978 che si gioca in Argentina. Ci conti. Ma quando il Flaco deve chiudere la lista dei 22, si accorge che ha a disposizione cinque numeri 10: Villa, Alonso, Valencia che gli piace più di tutti, Bochini e tu, così giovane e così estraneo a ogni cricca da restare fuori. E’ la vita. Tu puoi aspettare, ma ti viene una rabbia grande. Piangi come un bambino, e non sei forse ancora un bambino? Vai a vedere le partite mondiali con don Coco Villafane. Ci andate col suo taxi. E col suo taxi strombettante per Buenos Aires dopo la vittoria dell’Argentina, per la prima volta campione del mondo coi gol di Kempes, con Ardiles e Bertoni, con Passarella e Luque. Sei felice, ma covi una vibrante rivincita.
Dovrai attraversare mezzo mondo per farlo, ma laggiù, a Tokyo, il mondo te lo mangerai. E’ quello che vedremo la prossima volta. Hola, Diego.

8/5/2004
26 replies since 9/9/2005