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Diego Armando Maradona: la favola

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kai mimiki
view post Posted on 12/11/2015, 10:20 by: kai mimiki     +2   +1   -1
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La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 8
di Mimmo Carratelli



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Diego Maradona ritorna all'Argentinos Juniors
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)


Il secondo anno col Boca proprio non va, Diego. E il club deve far soldi. Ne spreme dalle amichevoli. Devi partire per una tournée pazzesca: otto partite in 21 giorni in giro per il mondo, Los Angeles, Hong Kong, Malesia, Giappone, Messico, Guatemala. Tu sempre in campo in un tour che avrebbe stroncato un gigante. Porti con te papà Chitoro, mamma Tota, i fratelli Hugo e Raul, la sorella Caly, Claudia Villafane, Jorge Cyterszpiller e il cineoperatore Juan Carlos Laburu che filma le tue allegrie, le fatiche e i trionfi.
Non solo il Boca è in cattive acque, ma l’Argentina intera. L’inflazione è galoppante. I club calcistici, tutti in rosso, chiedono aiuti che il governo non può dare. E il Boca, per riconvertire il prestito dell’Argentinos nel tuo definitivo acquisto, dovrebbe sborsare quattro miliardi di lire. L’impressione è che il presidente del Boca Noel cerchi acquirenti.
Il 2 dicembre 1981 giochi la tua ultima partita di campionato con la maglia gialloblu, alla Bombonera, contro il Velez che vince 2-1. Moralejo ti massacra di calci, come aveva già fatto Carlitos Arregui del Ferrocaril. Protesti e l’arbitro Carlos Esposito ti butta fuori. Il 6 febbraio 1982 è l’ultimissima partita col Boca, una gara della Coppa d’Oro contro il River, persa per 0-1. Al Boca è arrivato un nuovo allenatore, Vladislao Cap, “el polaco”. Che vada all’inferno.
Esci dal Boca per infilarti nei quattro mesi di raduno con la nazionale in vista del Mondiale in Spagna. Le fatiche, peggio degli esami, non finiscono mai. Siete convinti di vincere la Coppa del mondo, ma le esibizioni amichevoli deludono i tifosi che fischiano. Riesci a prenderti una vacanza a Esquina, un ritorno alle origini, al paese dove papà Chitoro andava sulle chiatte e pescava i dorados. E’ col tuo vecchio che vai a pesca sul Paranà Minì. Hai bisogno di riposo. Qualcuno dice: “La gente deve capire che Maradona non è una macchina della felicità”. Ma tutti pretendono tutto da te. Pretendono che tu sia soprattutto una macchina di soldi.
Il Boca non ha i soldi per il tuo acquisto definitivo ora che il tempo del prestito dall’Argentinos è scaduto. O ti riscatta o ti perde. Proprio così. Prendere o lasciare. Il presidente Martin Benito Noel lascia. Il tuo “cartellino” torna nelle mani dell’Argentinos Juniors e il presidente Consoli, quello delle pompe funebri, si ritrova una miniera d’oro in casa. Però, in caso ti cedesse, com’è sicuro che ti cederà perché le casse sono vuote, al Boca spetterà una parte degli introiti della tua cessione. E ora il Barcellona si fa sotto seriamente. Non desideravi la Spagna, Dieguito? E la Spagna si avvicina.
Si avvicina nella persona del vicepresidente catalano Joan Gaspart che sbarca a Buenos Aires con un favoloso contratto. Il Barcellona offre la cifra record di 15 miliardi di lire per averti sei anni in maglia azulgrana. Sette miliardi e mezzo all’Argentinos, due miliardi e mezzo al Boca, e Cyterszpiller spunta per te cinque miliardi fra ingaggio e soldi degli sponsor, esclusi stipendi e premi.
Nessun calciatore è mai costato tanto: il Cosmos pagò al Santos sei miliardi per Pelè. Ma con l’annuncio dell’arrivo di Maradona, i soci del Barcellona passano da ottantamila a centomila. E’ il più grande business della storia del calcio. Il Barça deve solo aspettare la fine dei mondiali per averti. La Federcalcio argentina blocca i trasferimenti dei nazionali fino alla conclusione della Coppa del mondo. Ma il dado è tratto, Dieguito. Sarai il re delle ramblas.
Intanto, sotto con la nazionale. Il Flaco Menotti ha scelto i 25 per la Spagna. Sei sono i giocatori del River: il portiere Fillol, Passarella, Tarantini, Luque, Ortiz e Diaz. Cinque quelli dell’Independiente tra cui Olguin. Quattro nazionali giocano nel Talleres. Gli altri provengono dal Newell’s, dal Racing, dal Velez e dall’Estudiantes. Dall’Argentinos Juniors, il massimo: Diego Armando Maradona, col difensore Carabelli.
Prima sistemazione spagnola a Villajoyosa, borgo peschereccio e stazione balneare sulla Costa de la Luz, quaranta chilometri da Alicante. L’Argentina affronterà nel primo turno il Belgio a Barcellona, l’Ungheria e il Salvador ad Alicante. Con Maradona sarà una passeggiata. Menotti ti coccola con gli occhi. Dividi la stanza con Beto Barbas, centrocampista del Racing. Vamos, Diego.
Ma il professore Ricardo Pizzarotti commette un errore. Insiste troppo sulla preparazione fisica. Gli argentini vanno in superallenamento. In ogni modo, scocca l’ora del mondiale.

24/5/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 9
di Mimmo Carratelli


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Diego Maradona con Claudio Gentile al mondiale dell'82
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Dov’è l’Argentina che deve spaccare il mondo, pibe? Deconcentrata e imballata a Villajoyosa, in un caldo giugno spagnolo. Non va, non va. Sei l’attesa “stella” del mondiale 1982, a ventidue anni. Sei la futura “stella” del Barcellona. Da te pretendono ghirigori e gol. Ma i muscoli sono stanchi.
Vai in campo contro il Belgio con una infiltrazione e il debutto è proprio a Barcellona dove t’aspettano nel club azulgrana.
I belgi sono tosti e tonici. Siete una formazione coi fiocchi, ma i fiocchi sono ammainati: Fillol; Olguin, Tarantini; Gallego, Luis Galvan, Passarella; Bertoni, Ardiles, Diaz, Maradona, Kempes. Il vecchio Kempes, trent’anni, è alla frutta, non farà neanche un gol e, dopo il mondiale, si metterà a fare l’attore di film a luci rosse. I belgi vi cucinano a fuoco lento e dopo un’ora di gioco cavano il golletto decisivo. Il poeta Valdano sostituisce Diaz, ma rimane lo 0-1. Rabbia e delusione. L’arbitro cecoslovacco Christov non ti concede un rigore.
Quattro giorni dopo, ad Alicante, l’Ungheria è più morbida, l’Argentina dilaga. Nel 4-1 piazzi una doppietta: una “palombella” e un tiro da fuori. La qualificazione al secondo turno è in tasca perché alla terza partita c’è il Salvador che dall’Ungheria ha preso dieci gol. Gliene date solo due. I salvadoregni ti riempiono di botte. Segnano Passarella su rigore e Bertoni.
Il secondo turno, con Brasile e Italia, può essere il paradiso o l’inferno. Si gioca nel piccolo stadio “Sarrià”, non è il “Nou Camp” del tuo destino spagnolo. Ti tocca l’Italia a prima botta. Il gioco si fa subito duro. Gentile, che si è fatto crescere i baffi per spaventarti, ti lavora alle caviglie. Ti innervosisci. Non hai la cattiveria di Sivori per replicare e l’arbitro romeno Rainea lascia fare.
Comincia male e finisce peggio. Stampi sul palo uno dei tuoi mirabili calci di punizione: Zoff si inchina alla buona sorte. Due sventole di Tardelli e Cabrini lasciano Fillol di stucco e portano l’Italia sul 2-0. Il gol all’83’ di Passarella su una veloce punizione ti fa sperare, ma dovete giocare gli ultimi sei minuti in dieci: Gallego si fa espellere. La partita sfiora la rissa. E’ 2-1 per l’Italia.
I giochi non sono ancora fatti, però bisogna battere il Brasile delle “stelle” per andare avanti. Bisogna battere Falcao, Cerezo, Zico e il dottor Socrates. Carica! Ma quelli vanno in vantaggio subito con Zico ed è una partita in salita. Danzano i brasiliani e ti viene il nervoso. Dilagano e vedi rosso. Stai uscendo fuori dal mondiale, pibe. Il Brasile va sul 3-1, il gol di Diaz a un minuto dalla fine non serve a niente.
Soffri, maledici, hai il cuore in tumulto. Scarichi la tua rabbia nel finale, preso in mezzo dal tic-tac-toc arrogante dei brasiliani. Vuoi dare un calcione a Falcao, che fa il reuccio in mezzo al campo, e invece colpisci il povero Batista che è appena entrato al posto di Zico.
E’ finita. Il mondiale è andato, il tuo primo mondiale. Paghi più di tutti perché tu eri la “stella” attesa.
Il ritorno a Buenos Aires è triste e maledettamente complicato. Perché ora sei un “traditore”. Non hai conquistato il mondiale per l’Argentina e l’abbandoni per andare in Europa, al Barcellona.
Ti sottrai agli occhi del mondo rifugiandoti sulla spiaggia di Atlantida, in Uruguay, dove hai comprato una villa, dove ci vai con gli affetti più cari, papà Chitoro e mamma Tota, i fratelli, Claudia Villafane. La “botta” spagnola è dura e fai fatica ad assorbirla. Intanto, giornali e televisioni si accaniscono sul tuo passaggio al Barcellona, “il trasferimento del secolo”.
Si perdono nel tempo le belle frasi. “Maradona si muove sul campo con l’eleganza di Fred Astaire” aveva scritto il “Sunday Mirror”. “La forza di Diego è nella sua capacità di dominare la partita, di non subirla mai” aveva detto Menotti. “Maradona es el futbol mismo” ha titolato “El Grafico”. Hai solo ventidue anni e sei in un tornado, aggredito dai giornalisti, dai tifosi, dai dirigenti, non solo dagli avversari sul campo.
Non c’è più il “Pelusa” delle “cebollitas” dell’Argentinos che palleggiava per tre quarti d’ora e andava nella chiesa della Vergine Bambina a Villa del Parque a ringraziare Dio “per tutto quello che mi ha dato”. Il mondo ti è addosso ed è una pressione insopportabile. Nessuno può dire che cosa ti succede dentro e che cosa ti squarcia l’anima consegnandoti più tardi a un destino crudele. Ancora ragazzo, devi crescere troppo in fretta, mangiato dalla vita.
Fai le valigie per la Spagna. “Stessa lingua, non avrò problemi”, dici. Sei carico di sogni e progetti: “Il Barcellona è la società che fa per me. E’ il più grande club del mondo, migliore anche della Juventus”. Ma non conosci l’alterigia dei catalani che danno del “sudarco”, unto, sudato, sporco, ai sudamericani, un appellativo di disprezzo. Il settimanale “Don Balon” scrive: “Boom Maradona, sei milioni di dollari che parlano, corrono e segnano gol”. I soldi, sempre i soldi. E quand’è che il calcio tornerà il gioco che hai sognato?

28/5/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 10
di Mimmo Carratelli


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Diego Maradona con la maglia del Barcellona
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Ma che razza di calcio si gioca in Spagna, Dieguito? E’ un football furioso che distrugge la tecnica. E’ il calcio europeo, pibe. Prendi botte persino in allenamento! E il presidente del Barça, José Luis Nunez, non ti è neanche simpatico.
Nel club azulgrana, leghi bene con due giocatori, il tedesco Bernd Schuster e Carrasco, detto il lupo. L’allenatore è un tedesco, Lattek, uno che allena la squadra con le palle mediche da otto chili da spingere per tutto il campo e che ti sveglia alle 8,30 del mattino.
Hai una bellissima casa, a Pedralbes, il quartiere residenziale di Barcellona: tre piani, dieci camere, il campo da tennis, il campo per il calcetto e un’enorme piscina. E’ una casa così grande e così lontana dall’Argentina che la vuoi sempre piena di amici. E’ il clan del sentimento e degli asado.
C’è Claudia con te. Ha 22 anni, siete coetanei. Ci sono i tuoi amici dell’Argentinos, il magazziniere che somiglia al pugile Galindez e Osvaldo Dalla Buona che sistemi nella seconda squadra del Barça.
Il magazziniere si chiama, in realtà, Miguel Di Lorenzo, ma tu lo chiami Victor, il nome del pugile argentino che è stato il re dei mediomassimi negli anni Settanta. Ti piace la leggenda di Victor Galindez che, quando doveva scendere di peso, faceva pazze corse in moto, notti di baldoria e saune infinite. E’ morto, Galindez, nei primi mesi del 1981 in un incidente d’auto. E’ rimasto il suo mito, in Argentina.
Si fermano per lungo tempo, a Pedralbes, mamma Tota e papà Chitoro, i tuoi grandi affetti, e tua sorella Maria col marito Gabriel Esposito, che non ti piacerà mai, e il figlioletto.
La villa è grande. Ha due custodi, un cuoco, il giardiniere e due cameriere. Jorge Cyterszpiller alloggia da qualche parte, con una ragazza spagnola, Angie. Si sistema anche il tuo cameraman Laburu.
Cyterszpiller piazza la “Maradona Producciones” al sesto piano di un sontuoso palazzo sulla Gran Via Carlos III: vi lavorano una segretaria di origini friulane, Wilma Pagnucco, due ragazze spagnole e Guillermo Blanco (con moglie e due figli) che regge l’ufficio stampa.
Tanta gente, troppa. Ma tu hai paura della solitudine. Sei ancora un ragazzo e gli affetti, l’amicizia, la compagnia sono essenziali nella nuova città. E’ come se trascinassi un po’ di Buenos Aires con te, un po’ dei tempi delle “cebollitas” dell’Argentinos.
In Spagna picchiano, abbiamo detto. Vediamo subito com’è difficile la tua vita sui campi. E’ il settembre del 1982. A Siviglia rimedi due punti di sutura alla lingua. Contro il Saragozza giochi solo un quarto d’ora ed esci per la distorsione della rotula del ginocchio sinistro. Dicembre è il mese più nero. Contro il Real Sociedad, a un minuto dalla fine, lasci il campo in barella: rottura parziale dei legamenti del ginocchio sinistro. Non ti protegge più la Vergine Bambina?
Ci mancava l’epatite che ti tiene lontano dai campi di gioco per cento giorni. Ma arriva anche una buona notizia: il Barcellona esonera Lattek e assume Menotti.
Il campionato del Barça è una delusione, ma, accidenti, quante poche partite riesci a giocare. Il tuo genio della lampada viene fuori in una indimenticabile sera di Belgrado, il 20 ottobre 1982. La tua classe purissima strappa due lunghi minuti di applausi ai 90mila che stipano lo stadio della Stella Rossa. Un’ovazione senza precedenti.
E’ una partita di Coppa delle coppe. Fai due gol, ma uno resta memorabile. A metà campo rubi la palla al tuo amico Schuster. Ti involi in uno slalom tra Rajkovic e Djordjic. Sei al limite dell’area. Davanti a te, stregati, Djurovcki e Sugar vorrebbero stringerti, ma li precedi, e, mentre il portiere Stojanovic sta per uscire, dipingi un lungo pallonetto che va ad adagiarsi in rete, delicato come uno strascico di seta.
E’ il più bel gol che si sia mai visto nelle coppe europee. La competizione ti esalta. Tre gol (di testa, su punizione magica e il terzo dopo un dribbling generale) li hai già segnati ai ciprioti dell’Apollon (8-0). A Belgrado, il Barça trionfa per 4-2. Sembra un percorso in discesa perché, nei quarti di finale, l’avversario è l’Austria Vienna. Per l’epatite salti il match di andata in Austria (0-0), giochi il “ritorno” quando ti sei appena rimesso in piedi. E’ un maledetto 1-1 al Nou Camp e la Coppa finisce qui. Passano gli austriaci.
Dal Mondiale alle delusioni catalane (il Barcellona finisce quarto in campionato), il 1982 se ne va così.

1/6/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 11
di Mimmo Carratelli




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Diego Maradona durante l'infortunio
(Foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



C’è Menotti, Diego. Può andare meglio e la Spagna aspetta le tue prodezze. Il 1983 comincia bene. Il 4 giugno, a Saragozza, trascini il Barcellona alla conquista della Coppa del Re, antagonista finale il Real Madrid allenato da Alfredo Di Stefano, con l’asso tedesco Stielike. Vittoria azulgrana per 2-1. Non segni, ma fai girare la squadra che è una meraviglia. Pare che tu voglia dire agli impazienti tifosi del Barça: “Ecco di che cosa siamo capaci”.
In settembre, alla prima partita di Coppa delle coppe, in Germania, contro il Magdeburgo, arbitro l’italiano Agnolin, sei incontenibile e il Barça dilaga: 5-1. Metti a segno una tripletta. Nel primo gol, fai l’ultimo dribbling al portiere. Il secondo è quasi una copia della meraviglia di Belgrado: ti “bevi” mezza squadra tedesca per andare a segnare e ci manca poco che esclami “olè”. Il terzo è un impeccabile rigore.
S’accende finalmente la tua stella nel cielo spagnolo. Ma il tuo campionato, Diego, si interrompe alla quarta giornata. Dopo un’ora di gioco, al Camp Nou, il basco Andoni Goicechea ti arriva alle spalle e ti solleva da terra. Una mazzata alla gamba sinistra. Stavate vincendo 3-0 sull’Atletico Bilbao. Si sente il tuo urlo di dolore nello stadio. Esci in barella e l’arbitro neanche ammonisce l’assassino.
Alla clinica Asepeyo di Barcellona il responso è terribile: frattura del malleolo e rottura dei legamenti della caviglia sinistra. Il giornale “Marca” titola: “Proibito essere artista”. Vai sotto i ferri del professore Gonzalez Adrio e l’operazione dura due ore. Il professore è pessimista sulla durata del tuo recupero. Pensa che starai fermo sei mesi. Ma ti ricordi del dottor Ruben Dario Oliva che vive e lavora a Milano. L’hai chiamato tante volte dopo gli infortuni perché ti rimettesse bene in piedi. Corri, dottore Oliva, che stavolta la cosa è più seria delle altre.
Corre il dottore da Milano, come sempre. Un’ora e mezza di aereo. Controlla, borbotta, ti fa fare un radiografia. Dopo una settimana ti fa togliere il gesso e ti dice: “Appoggia il piede”. L’hai chiamato sempre e affettuosamente “loco”.
E’ pazzo il dottore Oliva? “Poggia il piede” lui ripete. Vorresti dargli del pazzo nella clinica Asepeyo. Poggiare il piede dopo una settimana quando ti avevano detto che avresti aspettato sei mesi? Ma tu poggi il piede. Il “loco” Oliva ti fa camminare con le stampelle. Lui ha visto che l’osso del malleolo s’è saldato. Non è “loco” il dottore di Milano. Ti fa camminare anche senza stampelle.
Intanto, al basco assassino appioppano 18 giornate di squalifica. Gliele ridurranno a 10 e poi a 8. Schuster ti dice: “A me ha spappolato un ginocchio, prima di te”. E’ un killer noto sui campi di calcio Andoni Goicoechea.
Voli a Buenos Aires per completare la rieducazione della gamba sinistra, il tuo pennello fatato, il tuo cucchiaio d’oro, l’arpioncino d’incantesimo. Due mesi dopo l’incidente, il professore Oliva ti raggiunge. Ti consegna un pallone e ti dice di calciarlo nel giardino di casa. Ce la fai. Il pennello, il cucchiaio, l’arpioncino sono salvi. L’ultimo giorno dell’anno vai a piedi al santuario della Madonna di Lujar, 40 chilometri fuori Buenos Aires. Il 3 gennaio 1984 torni a Barcellona.
T’aspettano all’aeroporto, ma l’aereo atterra a Madrid. Nessun problema. Voli in aerotaxi per Barcellona, aeroporto El Prat Llobregat. Fai un rientro in grande.
Una delle tue segretarie, la deliziosa Begonia, organizza una conferenza stampa all’Hotel Principessa Sofia. Sembra di stare allo stadio. Un giornalista nota qualcosa di nuovo. Ti sei fatta crescere una barbetta malandrina. Dici: “La toglierò quando tornerò in campo”.
Rientri l’8 gennaio contro il Siviglia, dopo 106 giorni dalla mazzata di Gocoechea, un recupero prodigioso. E’ festa grande che condisci con due gol. Dopo un’ora di gioco, Menotti ti fa riposare.
Hai un grosso fastidio al nervo sciatico della gamba destra, ma giochi. Non ti vuoi fermare più. Il Barça infila sei risultati utili. Fai tre “doppiette” contro l’Osasuna, in trasferta contro l’Atletico Bilbao senza il killer, contro il Valladolid. Segni un gol a Madrid, ma vince il Real 2-1 su autogol. Il campionato va in malora.
A marzo riprende la Coppa delle coppe. Il Barcellona vince l’andata contro il Manchester United (2-0). Nel “ritorno” vai in campo con 39 di febbre. Gli inglesi sono assatanati. Recuperano (3-0) e il Barça è fuori.
Ma c’è ancora la Coppa di Lega, in giugno. Trascini il Barcellona in finale a suon di gol. Vai a segno contro il Gijon e l’Atletico Madrid eliminando le due squadre. Scontro conclusivo col Real, andata e ritorno. A Madrid è 2-2 (un gol), a Barcellona è 2-1 (un altro gol). La Coppa di Lega è del Barça. E’ il tuo secondo trofeo in Spagna, nel 1983.

5/6/2004
 
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