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Diego Armando Maradona: la favola

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kai mimiki
view post Posted on 3/4/2016, 16:43 by: kai mimiki     +2   +1   -1
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La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 23
di Mimmo Carratelli

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Tutto si fa per te, Diego. Ma dove vogliamo arrivare? Il Napoli assume persino uno psicologo, il professore Di Maio (l’aveva già fatto Lauro). Noleggia un mini-jet per tutti gli spostamenti della squadra. Ma l’aereo balla troppo e perde quota per un vuoto d’aria mentre si va in ritiro a Madonna di Campiglio. Dopo l’atterraggio “miracoloso” a Verona viene tolto di mezzo. Tu arriverai più tardi e gli azzurri ti raccontano la brutta avventura.

Partitelle per cominciare. E, a Macerata, il gran gesto di Bruscolotti, capitano storico. Ti cede la “fascia”. Un omaggio dovuto, ma fatto col cuore. Non c’è solo rispetto per la tua classe, ma anche affetto perché sei un ragazzo generoso, trasmetti allegria, non metti mai distanza fra te e i compagni. Sei un campione di grandi sentimenti e solidarietà. E per il Napoli stringi i denti: hai una infiammazione al ginocchio destro che ti tormenta. Viene il tuo vecchio amico Ruben Oliva, da Milano, il “mago” della rapida guarigione spagnola dopo il calcio del killer Goichoechea. Hai bisogno di un po’ di riposo.

Va male la Coppa Italia, eliminati. Sei pronto per il campionato. Il ginocchio ti tradisce a Pisa e fallisci il gol della vittoria. Pazienza. Metti a segno su rigore il pareggio con la Roma al “San Paolo” (1-1 e record d’incasso: un miliardo e mezzo). Maledetti pareggi. Tre di fila, prima dell’esplosione contro il Verona: 5-0. E’ festa grande. Da trenta metri beffi Giuliani con una stella filante che è il gioiello della partita, una delle prime tue straordinarie prodezze. C’è mamma Djalma in tribuna.

Vogliamo divertirci. Ci divertiamo. Arriva la Juve. Pomeriggio indimenticabile, 85mila spettatori. A metà del secondo tempo, punizione poco fuori dal limite dell’area. Tocco di Pecci e pallonetto diabolico del tuo piede mancino: Tacconi fermo come una statua, soggiogato. Questa è vita. La domenica dopo, partitone a San Siro contro l’Inter. Giordano, a inizio ripresa, ti allunga un buon pallone e tu che cosa fai? Stop di petto e sinistro al volo nella porta di Zenga. Sembra di volare. Ma l’arbitro Longhi regala all’Inter il rigore del pareggio.

Voli a Los Angeles per giocare con l’Argentina (campionato fermo, gioca l’Italia). Al ritorno, contro l’Udinese, sfoderi una meraviglia immediata: punizione diabolica nella rete di Brini. Ma i friulani pareggeranno. Picchia duro Criscimanni che tu fai ballare troppo. Reagisci all’ennesimo fallo del giocatore udinese e vieni espulso.

Ma la squadra si fa onore: senza di te va a vincere a Bari, doppietta di Giordano. C’è un guerriero che trascina il Napoli: Salvatore Bagni. E in classifica inseguiamo la Juve! Dieguito dei nostri sogni, sei in una squadra che sta diventando un gruppo compatto.

Il più furioso Bagni che io ricordi trascina il Napoli alla vittoria contro il Milan al “San Paolo”: prima dà a Giordano il pallone dell’1-0, poi si beve tre avversari e batte Terraneo per il raddoppio. Tu gioisci come un bambino (il ginocchio destro ti fa sempre male).

Fai le vacanze di fine anno in Argentina. Torni un po’ ingrassato. Ci batte il Pisa al “San Paolo”. Perdiamo colpi. Perdiamo anche Giordano: frattura della clavicola in un incidente d’auto. Lo sostituisce il malinconico Penzo. Perdiamo anche il secondo posto. Ora tutto gira al rovescio. Il tuo orgoglio esplode a Verona.

Domenica 23 febbraio 1986. Da ricordare. Veronesi col dente avvelenato per lo 0-5 al “San Paolo”. Si scatenano, conducono 2-0. Gli striscioni del tifo becero veneto dicono: “Benvenuti in Italia”. Il pubblico urla: “Lavatevi, lavatevi”. Non lo sopporti. Sei il leone che esce dalla tana e tutta la squadra ti segue. Questa partita non vuoi proprio perderla. Accorci le distanze su rigore e, a 10 minuti dalla fine, acciuffi il pareggio con un colpo di testa, tu il più grande della banda bassotti.

Il 2-2 di Verona ci sembra un’impresa da Coppa dei campioni. Sono le felicità dei primi tempi che anticipano gli scudetti.

26/07/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 24
di Mimmo Carratelli


coppola maradona


Un primo traguardo è raggiunto. Col terzo posto della stagione ‘85-‘86 il Napoli di Maradona tornerà a giocare in Europa, iscritto alla Coppa Uefa.

Il finale di campionato regala qualche soddisfazione e un paio di rovesci. Regala, pibe, una tua magia contro il Torino. Sei fuori area, pallone sul destro. Che cosa stai combinando per liberarti di Zaccarelli? Danzi? Fai un passo di minuetto? Fai il mago. Incroci il piede sinistro dietro al destro e, col piede mancino, scocchi un cross a sorpresa, un pallonetto pennellato dalla tua improvvisa invenzione acrobatica, funambolica e indimenticabile. E’ l’assist unico e straordinario per il gol di Caffarelli. Formidabile.

Castighi ancora la Juve col pareggio a Torino (1-1). Un tuo colpo di testa strega Favero che devia in rete. Vai, pibe. Alla Juve di Platini campione d’Italia soffiamo 3 punti: la vittoria dell’andata, il pari del ritorno.

Cominciamo ad assestarci tra le “grandi”. Diego, sei tutti noi. Implacabile dal dischetto, abbatti l’Inter di Zenga e Altobelli (1-0). Segni il raddoppio a San Siro contro il Milan, 2-1, dopo il gol di Giordano. Suoniamo una gran musica alla Scala del calcio. Ciro Ferrara è la nuova realtà del calcio napoletano. Il campionato termina il 27 aprile perché è l’anno dei Mondiali in Messico.

Ti sei sistemato, Diego, in via Scipione Capece a Posillipo. Non è la villa di Barcellona. Non ha la piscina. E’ un appartamento da 200 milioni l’anno pagati dal Napoli. E’ in un luogo appartato e panoramico, questo è tutto.

Per sei mesi hai vissuto al Royal, i primi sei mesi a Napoli, con tutta la banda di Barcellona. Il clan più pittoresco che abbia mai visto. Con le rispettive famiglie c’erano il cameraman Laburu che doveva filmare la tua vita e le tue prodezze, il fedele Fernando Signorini che conosceva ogni fibra del tuo corpo, l’addetto stampa Guillermo Blanco che mi sembrò una perla di ragazzo. C’erano Jorge Cyterszpiller il tuo primo manager con l’ultima sua ragazza Angie, un segretario che si faceva chiamare Nando, Ladigia un faccendiere di passaggio, il ristoratore di Barcellona Cino e Osvaldo Dalla Buona il giocatore-amico dei tempi dell’Argentinos Juniors che ti eri portato in Spagna sistemandolo in una squadra di serie B, tuo compagno inseparabile nelle notti catalane e che avevi voluto vicino anche a Napoli. E c’era l’uomo che tutti chiamavano Galindez, perché così tu lo chiamavi, e forse era quel Miguel Di Lorenzo, magazziniere dell’Argentinos Juniors, che somigliava proprio al pugile argentino Victor Galindez. Perciò gli avevi dato quel nome. Era il tuo factotum. Per qualunque cosa, dicevi: “Chiamate Galindez”. E poi c’erano, ma non sempre, i tuoi fratelli. C’era Claudia. E c’era Gabriel Esposito, il marito di tua sorella Maria, un personaggio apatico, un niente di buono, che era stato un capotifoso in Argentina e viveva alle tue spalle. Lo sopportavi a malapena ed eri affezionato ai suoi due figlioletti, Jonatan e Jorge, i tuoi primi nipoti. Lo sopportavi per via dei bambini e di tua sorella.

La banda fu dissolta quando arrivò a Napoli Guillermo Coppola, il tuo nuovo manager che, in Argentina, era il procuratore di duecento giocatori. Questo avvenne il 19 settembre 1985. Coppola l’avevi conosciuto al tempo del tuo trasferimento dall’Argentinos al Boca quando il club gialloblu, per averti in prestito, aveva dato all’Argentinos quattro milioni di dollari e sei giocatori, tutti rappresentati da Coppola. E fu al pranzo esotico con rane importate dal Giappone al quale ti invitò il Boca per festeggiare il tuo passaggio che incontrasti Coppola per la prima volta.

Il nuovo manager cambiò tutto. Gli affari in cui Cyterszpiller aveva investito i tuoi guadagni, quando eravate in Spagna, erano stati un fallimento. Si può dire, pibe, che eri di nuovo povero, o quasi. La “Maradona Producciones” fece fiasco a Napoli. Coppola aprì un ufficio in via Petrarca smantellando il faraonico alloggiamento di Cyterszpiller in via Manzoni: otto stanze, cinque linee telefoniche, 40 milioni di spese al mese. Gli sponsor che Jorge aveva procurato non pagavano o pagavano male. Il Napoli ti ridette ossigeno.

Nel caos della tua vita, ricordo una sola persona in gamba, onesta, leale, attenta: Cecilia Pagni, di origini argentine, che fu la tua segretaria personale per tutto il periodo napoletano.


30/7/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 25
di Mimmo Carratelli




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Diego Maradona in nazionale nel 1986
(foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Ricordo bene quello che dicevi, pibe. “Vorrei il mondiale, lo scudetto col Napoli e un figlio”. Hai 26 anni. Il mondiale ti è sfuggito in Spagna nell’82, ingabbiato da Gentile ed eliminato dagli azzurri di Bearzot. Lo scudetto non è ancora apparso nel golfo. E il figlio, questo tuo desiderio prepotente, il figlio chissà se verrà.

Vamos a ganar in Messico? La nazionale biancoceleste, ecco la passione tua grande. Andavi e venivi sull’oceano per la maglia biancoceleste. Ricordo l’incredibile giostra del primo anno che eri a Napoli, verso la fine del campionato ’84-’85.

Domenica 5 maggio, giochi contro la Juve (0-0) al “San Paolo”. La sera, parti a razzo in auto per Fiumicino. Lunedì mattina, prendi l’aereo per Buenos Aires. Giovedì giochi contro il Paraguay (1-1). Venerdì ti imbarchi su un aereo della Varig, volo Buenos Aires-Rio-Roma. Sabato voli da Roma a Trieste. Da Trieste corri in macchina (70 chilometri) a Udine e arrivi all’ora di cena. Il giorno dopo, domenica, giochi contro l’Udinese (2-2, metti a segno una doppietta, gol finale e spudorato con la “manina” che fa incavolare Zico). Non è finita. Domenica sera, riprendi l’auto per Trieste, da qui in aerotaxi per Fiumicino. Voli ancora a Buenos Aires. Martedì giochi contro il Cile (2-0, segni un gol). E rientri in Italia per giocare, domenica 19 maggio, contro la Fiorentina al “San Paolo”, lancio smarcante per Caffarelli che sigla l’1-0. In due settimane non ti sei mai fermato.

Mondiale 1986. Insegui il sogno. C’è Bilardo sulla panchina della nazionale al posto di Menotti. Ti ha già detto: “Sei il giocatore più rappresentativo, sei l’unico titolare certo”. Ci mancherebbe. Daniel Passarella si sente detronizzato, fa le bizze. Lui era l’”intoccabile” della Selecciòn, il “capitano” che Menotti coccolava, il leader. Spara: “O gioco titolare o non gioco”. Si farà da parte dopo le qualificazioni. Sei tu il leader, pibe.

Le qualificazioni per il Mondiale messicano sono un tormento. Ti seguiamo dovunque. E’ come se Napoli giocasse con te. Attorno alla nazionale argentina fioccano le polemiche e si monta una polemica fra te e Passarella. Su tutti i campi sudamericani, l’Argentina è la squadra a battere a ogni costo. Una questione d’orgoglio. Un clima infuocato.

Sbarchi a San Cristobal, in Venezuela, e all’aeroporto un pazzo ti sputa addosso. In campo, un venezuelano ti colpisce al ginocchio destro, quello che ti fa soffrire. Sei nelle mani del dottore Eduardo Madera. Borsa di ghiaccio e via. L’Argentina batte il Venezuela 3-2. A Bogotà, 3-1 alla Colombia.

Ma i tifosi non sono contenti. Fischiano al “Monumental” di Buenos Aires quando battete il Venezuela (3-0). Fate fuori la Colombia (1-0) anche al “ritorno”. Sono decisive le partite col Perù. A Lima, ti prende in consegna Reyna e non ti molla un attimo. “Mi avrebbe seguito anche in bagno”. Sconfitta per 0-1. Il “ritorno” a Buenos Aires è una partita alla morte. Classifica: Argentina 8 punti, Perù 7 punti. I peruviani devono vincere per qualificarsi. E ci danno sotto da matti.

Per molto tempo, il ricordo di quella partita è stato un incubo per te, pibe. Beccate due gol in contropiede. Un disastro. I fischi raddoppiano. Ci vuole un miracolo. Lo fa Pasculli accorciando le distanze all’inizio della ripresa. Ti lascio raccontare l’incredibile pareggio a dieci minuti dalla fine. C’è ancora Passarella in nazionale. “A dieci minuti dalla fine pareggiammo. Neanche vidi chi segnò. Corsi ad abbracciare Pedrito Pasculli. C’era stato un tiro di Passarella e, non so come, Gareca l’aveva deviato in rete. Il pareggio ci qualificava”.

Questo fu solo l’inizio di una bellissima avventura. Un giorno avevi detto: “Oggi come oggi, tra il Napoli e la Selecciòn, scelgo la Selecciòn”. Ti avevamo perdonato perché non poteva che essere così e, poi, perché avevi castigato la Juve al “San Paolo” con un calcio di punizione indimenticabile. Al Mondiale messicano avremmo tifato per te.


3/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 26
di Mimmo Carratelli




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Diego Maradona al Mondiale del 1986
(foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)




Hola Diego, si va al Mondiale dell’86: in giugno e in Messico. Sono tre anni che ci pensi. Da tre mesi ci pensi fortemente. Passarella si è tirato fuori, sei tu il leader. Che squadra farà Bilardo? E’ marzo: Bilardo viene a Napoli. Gli raccomandi di convocare il “Tolo” Gallego e il “Guaso” Domenech. Non li convocherà. Gli dici di non lasciar fuori Fillol e Barbas. Li lascerà fuori. Gli consigli di considerare Ramon Diaz. Niente.

Sarà dura, pensi. Vieni fuori con una novità: ti sei fatta crescere la barba. Dici che te lo ha chiesto tua sorella Lili: vuole vederti con una barba da macho. Sei un po’ giù. Ti riassesti al Centro di medicina del Coni a Roma. Un incontro fortunato col professore Antonio Dal Monte e i suoi portentosi macchinari.

Le amichevoli di preparazione al Mondiale non sono un gran che. Fioccano le critiche, lo scetticismo e il disamore. Scende in campo persino il presidente argentino. Dice Raul Alfonsin che la nazionale non gli piace e Bilardo deve essere sostituito. Fai il leader e rispondi: “Se va via Bilardo, vado via anch’io”. Credevi a una bella avventura e, invece, ti senti sul “Titanic”. Ma non vuoi affondare. E’ già successo in Spagna e la storia non si ripeterà.

Nel ritiro messicano, pretendi un faccia a faccia con tutti. Meglio dirsi le cose come stanno, sputare i rospi e giurare fedeltà e solidarietà. E’ una bella scossa. Fuori, il clima è sempre contrario.

Ora va meglio nella nazionale. Luis Cuciuffo, il difensore magro come un chiodo, baffetti neri, nipote di un barbiere siciliano, ha portato in ritiro una statua della Madonna che è alta mezzo metro. Il portiere di riserva Luis Islas suona la chitarra. Comincia qualche rito scaramantico. Dividi la camera con Pedrito Pasculli. Per il Napoli c’è in Messico Pier Paolo Marino. Carmando, il massaggiatore napoletano che ti bacia in testa prima d’ogni partita, è con te e ti sorregge con l’esafosfin, un ricostituente, la polvere bianca che sciogli in un bicchiere d’acqua.

Non bastasse l’altitudine messicana, si gioca a mezzogiorno e devi alzarti alle otto del mattino. Deplorevole per le tue abitudini, disumano per i calciatori. Ma Joao Havelange, l’arrogante presidente brasiliano della Fifa, tuona: “Dovete rispettare chi sta in alto”. Lo inchioderesti al palo di una porta.

Il debutto è contro la Corea del sud allo Stadio olimpico di Città di Messico, 2300 metri sul livello del mare. Ti massacrano di botte, l’arbitro spagnolo Sanchez Arminio lascia fare e meno male che la Fifa ha dichiarato guerra al gioco violento! Due volte va a segno Valdano, il poeta, e una volta Ruggeri. 3-1, pratica sbrigata.

Trasferimento a Puebla tre giorni dopo. Hai di fronte l’Italia che schiera alcuni reduci di Spagna 82 e poche novità di scarso rilievo. Bearzot è legato ai suoi campioni del mondo. Rinnova poco. Ma dove potrà arrivare un’ Italia col piccolo Galderisi e il taciturno Di Gennaro? C’è Bruno Conti all’ala destra, ci sono Bergomi, Cabrini, Altobelli, Scirea. Ci sono De Napoli, che gioca ancora nell’Avellino, e Bagni, il guerriero del Napoli. Fa capolino Vialli. Vanno in vantaggio gli azzurri con un rigore di Altobelli. Mezz’ora dopo confezioni il tuo terzo gol mondiale (due li hai fatti in Spagna). E’ un gioiello che infinocchia il portiere Galli.

Il lancio di Valdano è un pallone spiovente, non gli fai toccare terra, anticipi Scirea e, al volo, piazzi di sinistro un pallonetto lungo e beffardo che lascia Galli impalato a mezza via mentre sta per venirti incontro.

Tifiamo decisamente Argentina quando l’Italia va fuori negli ottavi di finale, eliminata dalla Francia di Platini. Intanto, l’Argentina vola.

Di nuovo all’Olimpico di Città di Messico, 2-0 alla Bulgaria. Segna Valdano, raddoppia Burruchaga su un tuo cross magico. Negli ottavi di finale, a Puebla, Pedrito Pasculli fa fuori l’Uruguay (1-0). L’arbitro è Agnolin. “Non mi assillate perché vi meno tutti”. Dice sul serio. Dà una spinta all’uruguayano Francescoli e una gomitata al tuo compagno Giusti. A te annulla un gol perché ti sei liberato troppo disinvoltamente da Bossio.

E andiamo a goderci il rush finale.

7/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 27
di Mimmo Carratelli





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Mondiale 1986. Dove stai andando, Dieguito? Al settimo cielo. E’ il quarto di finale contro l’Inghilterra a Città di Messico. E’ il secondo tempo. Ricevi e dai la palla a Valdano e il poeta ti fa un lesto passaggio-cross. Stai volando in area, pibe. La tua testa ricciuta è lassù. Il pugno sinistro attaccato alla testa. Ispirazione improvvisa? Gesto involontario o furbata meditata in un attimo? E’ un match che pochi vedono nei dettagli: il tuo pugno sinistro ben nascosto dietro la testa, il pugno destro protesto di Shilton che ha abbandonato la porta attratto dal fatale duello aereo. Vince il tuo pugno mancino. La palla è in rete, l’Argentina è in vantaggio.

Attimi indimenticabili. Dai un’occhiata al guardalinee e vedi che corre verso il centro del campo. Il sole negli occhi non gli ha fatto veder nulla. L’arbitro tunisino Ben Naucer, dalla parte opposta, ha visto solo un colpo di testa. Nessuno ha visto il pugno malandrino.

Commetti un errore e Valdano ti sta sgridando. Stai festeggiando alzando proprio il pugno proibito. Ma è tutto regolare. Neanche Shilton s’è accorto di nulla. Se n’è accorto Fenwich che ti rincorreva alle spalle e ha visto e sta protestando inutilmente. La “mano de Dios” diventerà leggenda. Ci sei riuscito a Udine a dispetto di Zico, ma questo colpetto all’Inghilterra resterà memorabile.

Passano quattro minuti. Sei su di giri. E’ il raddoppio, è il tuo trionfo.

Hola-hola-hola-hola! Vai come il vento, Diego, sull’allungo del Negro Enrique. Settanta metri fra te e la porta degli inglesi. E “quelli delle Malvinas” sono tutti nella loro metà campo. E’ un terreno trincerato. Metti il pallone a terra, bene, e ora che cosa hai in testa, negli occhi, nel cuore, nei piedi? Come ti muoverai? A chi darai la palla che, in avanti, c’è appena Valdano che sta correndo sulla sinistra?

Te ne vai sulla destra, tu solo, rapido. Sgusci tra Beardsley e Reid che sentono il fruscio del tuo passaggio fatato, inchiodati dalla serpentina magica.

Oplà, superi Butcher. Birilli, ecco che cosa sono i difensori inglesi. Chi barcolla a sinistra, chi cade a destra. E tu fili lungo il corridoio delle tue sette leghe. Sei un gatto che gioca col suo gomitolo, lo spinge e non lo molla, e gli inglesi si aprono al tuo passaggio.

Che cosa fa Fenwich? E’ indeciso. E’ fra te e Valdano. So che cosa stai pensando, Diego. Se l’inglese si fa sotto, tu dai la palla a Valdano. Rapida la finta, accenni ad andare verso il centro e ti sposti sulla destra. Fenwich si decide e ti arriva addosso con una falciata. Lo sapevi e lo eviti. Da metà campo, è successo tutto in un baleno.

Sei davanti a Shilton, posizione angolatissima, vicino al palo sinistro del portiere inglese, uno spiraglio impossibile. Il portiere abbocca alla tua ultima finta e il pallone è in rete, mentre ti piomba alle spalle Butcher il biondo e ti molla un calcione tardivo. Hai già le braccia al cielo. Hai matato mezza Inghilterra. “Il Barba mi aiutò” dirai. Il Barba è Dio.

Gli inglesi accorceranno le distanze con Lineker a nove minuti dalla fine e gli girano ancora le scatole per il furto con destrezza del primo gol. 2-1 e passaggio in semifinale dell’Argentina.

Negli spogliatoi è una festa selvaggia. “Ti stavo guardando” dici a Valdano. E il poeta: “Hai fatto un gol in quel modo e stavi guardando me?”. Il Negro Enrique dice che il passaggio te l’ha fatto lui. “Se non la mettevi dentro, t’ammazzavo” aggiunge. “Tu? Ma se mi hai dato la palla solo a metà campo” gli rispondi pazzo di gioia.

E sul gol con il pugno? Silenzio rispettoso e omaggio alla diavoleria artistica. Ai microfoni della Bbc hai la suprema sfrontatezza di dire: “Un gol assolutamente legittimo perché convalidato dall’arbitro”. Prendi fiato e dai la seconda stoccata: “Io non sono nessuno per dubitare dell’onestà dell’arbitro”.

Un giorno Piola ti dirà: “Anch’io segnai un gol di mano agli inglesi e fu una gran festa”.

Sulla serpentina del secondo gol, ti torna in mente la medesima azione che facesti a Wembley mandando alla fine la palla fuori con un tiro precipitoso. Stavolta hai aspettato un attimo, il tempo per far fuori Shilton con una finta. Sbagliando s’impara.

In semifinale, ti ripeti. In un quarto d’ora, sempre nella ripresa, sistemi il Belgio. Ancora due gol (2-0). E ancora un pallone filante fra mezza difesa belga, come il secondo gol agli inglesi, il tuo marchio mondiale. Stavolta sgusci sulla sinistra, scatti tra De Mol e Vervoort e li lasci secchi, eviti Geretz e castighi Pfaff. Il portiere, sulla prodezza finale sganciata dal tuo sinistro magico, si siede soggiogato, interrompendo la sua uscita di porta.

11/8/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 28
di Mimmo Carratelli




maradona22
Diego Maradona e il portiere tedesco Schumacher
(foto tratta dal sito ufficiale www.diegomaradona.com)



Sono cadute tutte le “grandi”. L’Italia è uscita negli ottavi di finale. Il Brasile di Socrates, Alemao e Careca ha terminato la corsa nei quarti ai rigori, non c’è più l’Inghilterra del cannoniere Lineker, non c’è più l’Urss, non c’è più la Spagna di Butragueno, l’avvoltoio. La finale mondiale 1986 è Argentina-Germania, 29 giugno, domenica. Allo stadio Azteca. 115mila spettatori.

I tedeschi del ct Beckenbauer hanno giocato un girone sofferto: pari con l’Uruguay, vittoria sulla Scozia, sconfitta con la Danimarca. Negli ottavi hanno battuto il Marocco con un gol di Matthaeus. Nei quarti hanno vinto ai rigori contro il Messico e, in semifinale, hanno fatto fuori la Francia di Platini. Sono tosti.

In finale schierano: Schumacher; Berthold, Briegel; Eder, Foerster, Jacobs; Brehme, Matthaeus, Rummenigge, Magath, Allofs. Col terzino Brehme all’ala destra promettono di chiudere tutti i varchi. Devono imprigionare la tua magia.

Bilardo manda in campo questa Argentina: Pumpido; Cuciuffo, Olarticoechea; Batista, Ruggeri, Brown; Burruchaga, Giusti, Enrique, Maradona, Valdano.

Hola, Diego. Novanta minuti al titolo di campione del mondo, così vicino, così angoscioso. Una finale è una partita senza scampo. Gol e scaramanzie hanno funzionato sinora. Rispettato e ripetuto il cerimoniale dopo la prima vittoria: shopping ai Magazzini Perisur, passeggiate col Negro Galindez che canta un bolero, visita al ristorante “Mi Viejo” del grassone che giocava con Bilardo nell’Estudiantes.

Il tuo cuore batte, Diego. I tedeschi hanno una brutta maglia verde. Guardi il cielo, ti fai il segno della croce. Vamos. E’ mezzogiorno a Città di Messico, le venti in Italia, a Napoli c’è un silenzio immenso, tutti davanti ai televisori, fosforescenze blu dietro i vetri delle case.

Come annunciato, il piccolo e tenace Matthaeus, di un anno più giovane, ti monta la guardia. Così ha deciso Kaiser Franz. Briegel ti ha già marcato cinque volte ed è stata dura per te, pibe. Ma stavolta Briegel deve “fluidificare”, spingere sulla fascia sinistra, non deve sacrificarsi più e, infatti, fa il matto. Il sacrificio è tutto di Matthaeus. E su Briegel deve dannarsi Valdano a non lasciarlo andare.

Il campo è il fondo di un vulcano variopinto. La partita è lenta e accorta. I messicani fischiano. Dove sei, Dieguito? Rintanato, quasi in ombra, prigioniero di una emozione grande e di una partita a scacchi. Nessuno vuole sbagliare la prima mossa. Protesti per una punizione che l’arbitro brasiliano Arppi Filho fa battere due volte ai tedeschi. Vedi il cartellino giallo, abbassi la testa. Il match è un blocco di ghiaccio che non si scioglie. Non s’indovina quale sarà la mossa vincente se non liberi il genio dalla lampada. Tocchetti, cerchi la posizione e Matthaeus non ti molla.

Quando va così, è un errore che rompe l’attesa. Ed ecco Schumacher che, sulla punizione-cross dalla destra di Burruchaga, il grande protagonista di questa finale, fa il cacciatore di farfalle, sbaglia il tempo e manca il pallone che il vecchio Brown, 30 anni, “el Tata Brown”, il babbo Brown, il sostituto di Passerella, di testa devia in rete. Il “libero” è venuto improvvisamente avanti e i tedeschi si sono dimenticati di marcarlo. Mamita mia, stiamo ganando. L’urlo di Napoli non puoi sentirlo.

Intervallo, cuori sospesi, sguardi febbrili. In campo, però, più leggeri. E raddoppio immediato. L’inesauribile Enrique conquista e rilancia palloni. Uno l’affida a Jorge Valdano che scatta e, stavolta, Schumacher non ha colpe, è infilato senza misericordia. Mamita, mamita. Il secondo urlo di Napoli puoi immaginarlo?

Manca mezz’ora alla fine della partita. Due a zero, che cosa può cambiare? La Coppa è là che ti aspetta. E’ ai bordi del campo. Brilla come una stella. La guardi. E il destino deve ancora compiersi. E sarà tutto una sorpresa e una sofferenza.

15/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 29
di Mimmo Carratelli



maradona23

Mezz’ora alla fine e i tedeschi non sono mai morti. Metodici, testardi, sotto di due gol, ma non s’arrendono. Sullo stadio Azteca, implacabile il sole delle ore 13. Diego, dove sei? Mancano le tue veroniche, il dribbling magico, la puntata irresistibile. Se non segni tu, che finale è? Dove sei, Dieguito? Quasi non ti si vede. Si vede Brown che, dopo una brutta caduta, sta giocando col braccio lussato fasciato e attaccato al corpo, come Beckenbauer contro l’Italia nel 1970, e il Beck ora è là a bordocampo a dirigere i crucchi.

Ma eccoti sulla destra, un guizzo, uno scatto lungo, punti verso Schumacher e, finalmente, scuoti la rete col tocco dell’artista divino. Questo è il 3-0, il tuo marchio. Ora la partita è proprio finita. Il titolo mondiale è tuo.

No. Non è finita perché l’arbitro Arppi Filho dice di no, il gol non è valido, solo lui ti ha visto in fuorigioco, per il guardalinee Ulloa tutto regolare. Hijo de puta, il brasiliano. Proprio non riesci a mettere il tuo segno su questa finale. Ritorni nella tua malinconia di centrocampo. E i crucchi confezionano il pareggio inatteso, sorprendente, micidiale. Non sono mai morti, loro.

Due calci d’angolo in dieci minuti, due beffe. Due volte Brehme batte dalla bandierina. La prima volta, quell’esangue di Rummenigge, che non ha fatto nulla sinora, ci mette il piede destro in spaccata e Pumpido è battuto. La seconda volta Voeller si solleva in area e il colpo di testa vale il 2-2. Siete imbambolati. Cancellato il consistente vantaggio. Mancano solo nove minuti alla fine. Quale sarà il destino? A Napoli è tornato il silenzio. Potresti sentirlo il cuore della città che batte forte.

Sei smarrito? Deluso? Neanche per sogno. E’ in questo finale della gara che torni grande, generoso, decisivo, che torni ad essere Maradona. Palla al centro per ricominciare. Vicino a te è il “Burru”. Lo guardi e gli dici: “Dai che sono morti, non ce la fanno più a correre”. Sono morti i crucchi? Hanno prodotto il massimo, rifiatano. Briegel ha le gambe molli.

Dai la palla a Burruchaga, te la restituisce, fai un mezzo giro a metà campo e vedi che il soldatino immenso sta correndo sulla destra e Briegel non ce la fa a stargli dietro. E allora ecco il lancio magico, lo squillo della classe infinita, il passaggio fatato che lancia Burruchaga in rete. Corre il “Burru”, corre, corre e corre nella sorpresa dei tedeschi e nella loro difesa spaventata. Corre sulla destra, un corridoio invitante verso la porta dei crucchi, corre il “Burru” e, quando è là, davanti a Schumacher, infila il 3-2.

Mamita mia. Il “Burru” scompare sotto una montagna di maglie biancocelesti, di gambe, di braccia, c’è tutta la squadra sopra di lui, tutta l’Argentina, e a Napoli un boato ha scosso la città. “Basta, basta” urla Bilardo dal bordo del campo. Gli ordini sono perentori a te e a Valdano: “Andate a marcare!”. Mancano sei minuti al trionfo e alla gloria. Sei lunghi minuti, lunghi, lunghissimi. Ma i crucchi non ce la fanno più. Guardi continuamente l’arbitro, un piccoletto. Quando fischi Arrpi Filho, hijo de puta? Fischia! Fischia! E finalmente fischia.

E, allora, in campo sono corse pazze, mucchi selvaggi, abbracci lunghissimi, lacrime. E’ finita, è finita. Campioni del mondo. Guardi Bilardo. Lo chiami: “Vieni, Carlos, sfogati, sfogati”. Ecco la Coppa. Sei il primo a prenderla. La stringi fra le mani, la baci, non vuoi cederla a nessuno, sei il capitano, sei stato l’anima dell’Argentina, hai scoccato il passaggio decisivo per conquistare il titolo. La dai per un momento a Pumpido che te la chiede con le lacrime agli occhi. L’infinito giro del campo, con la bandiera.

Le rotative del più popolare quotidiano di Città di Messico, l’”Excelsior”, stanno girando vorticosamente per l’edizione straordinaria. Il titolo è: “La final es Maradona”. Allo stadio, Fernando Swartz di Televisa urla al microfono: “Maradona es la locura”. A Napoli è festa grande. Sei campione del mondo. Ora hai altri due traguardi, ricordi? Lo scudetto col Napoli e un figlio maschio.

19/8/2004

La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 30
di Mimmo Carratelli




maradonajunior
Diego Armando Maradona Jr



Euforia mondiale. Siamo campioni del mondo con te, pibe. L’Argentina è nei nostri cuori. I nostri nonni sono emigrati a Buenos Aires, abbiamo letto Borges, impazziamo per il tango. Ma torniamo nel golfo.

Autunno 1986. Il Napoli, dopo tre anni, si riaffaccia in Europa. C’è il richiamo della Coppa Uefa. E che cosa ne sai tu, Dieguito, delle nostre passate scorribande europee? Avventure che spesso morivano sul nascere. Siamo stati in paesi e città mai visti e sentiti.

Ai tempi di Fanello e Tacchi, andammo a Bangor, paesino gallese di 15mila abitanti, sul canale di San Giorgio, una passeggiata originale. Una volta andammo a Odense, città gentile della Danimarca: non ci trovammo solo il ricordo delle 164 fiabe di Hans Christian Andersen (hai mai letto “La principessa sul pisello”?), ma anche il piacentino Mario Astorri, lo sceriffo, che aveva giocato centravanti nel Napoli agli inizi degli anni Cinquanta.

E che cosa ne sai tu di Székesfehérvàr, l’impronunciabile città ungherese a sud di Budapest e ai margini di una selva? Il suo nome, in italiano, significa Alba Reale. Andammo a giocarci contro una squadra che si chiamava Videoton ai tempi di Peppiniello Massa. A metà settembre del 1976 andammo oltre il Circolo polare artico, a Bodoe, in Norvegia, 600 chilometri da Capo Nord, quando a Walter Speggiorin mettemmo il nome di Sparafucile: fece una doppietta ai norvegesi del Glimt.

Era un bell’andare, Diego. Ci divertivamo e conoscemmo temperature glaciali. A Tbilisi, per esempio, la capitale della Georgia, sotto i ghiacciai del Caucaso. E, poi, andammo a Nis, in Serbia, con Nino Musella contro il Radnicki; a Wroclaw, in Polonia, sulle rive del fiume Oder, dove erano passati disastrosamente i mongoli; e nel fango di Ostrava, in Cecoslovacchia, nel mezzo di un bacino carbonifero. Viaggi indimenticabili.

A Bruxelles, nell’aprile del ’77, una carogna di arbitro inglese, il signor Matthewson, ci fece perdere la semifinale con l’Anderlecht mentre eravamo lanciati con Peppe Savoldi alla conquista della Coppa delle coppe. Maledizione all’uomo della perfida Albione.

Ma ora, con te campione del mondo e giocatore divino, gliela faremo vedere all’Europa. Settembre 1986, debutto in Coppa Uefa contro il Tolosa. All’andata, ricordi?, raccogliemmo poco. Un gol di Carnevale e basta. Ci rifacciamo al ritorno? Macché! A Tolosa, Stopyra pareggia il conto e finiamo ai rigori. Non sbagliano Giordano, Ferrario e Renica. Siamo agli ultimi tiri. Accidenti, Bagni si fa parare il suo penalty, ma siamo ancora in corsa perché anche Stopyra ha sbagliato e ora, sul dischetto, ci vai tu, pibe di tutte le nostre rivincite. Preciso e mirabilmente angolato il tiro, il portiere è battuto. Ma il pallone pizzica il palo e va fuori. Addio Tolosa, i francesi vincono 4-3 ai rigori, e addio Coppa Uefa.

Era l’1 ottobre 1986. Dieci giorni prima è accaduto quello che non doveva accadere. E’ un sabato, il 20 settembre. Dalla stanza 509, al quinto piano della clinica “Sanatrix”, la signorina Cristiana Sinagra, 22 anni, ragioniera, davanti alle telecamere dei giornalisti di RaiTre, che ha convocato, annuncia: “Ho avuto un bambino. Mio figlio è il figlio di Maradona. E’ frutto del nostro amore. Lo chiamerò Diego Armando junior”. Il bambino è nato alle 11,15 e pesa 3.550 chili.

Martedì 23 settembre, la tua risposta è in un comunicato. Dici, tra l’altro: “La pubblicità data alla vicenda, il metodo scandalistico con cui la notizia è stata divulgata, gli attacchi che sono stati portati alla mia persona sono fatti che mi hanno turbato profondamente”. Prosegui: “Per questo sono anche deciso a rivalermi nelle sedi opportune per tutti i danni che vengono procurati a me, alla mia immagine e al Napoli come società”.

Vorremmo saperne di più. Dichiari: “Al giudice, se mi convocherà, darò la sola risposta che la mia coscienza e la verità dei fatti mi faranno dare”. A Soccavo, hai la faccia scura. Si muovono gli avvocati Siniscalchi, Mignone, Piscicelli. Dicono: “Quanto alla preannunciata azione di riconoscimento della paternità, il signor Maradona ha dato pieno mandato di resistere fermamente in tutte le sedi competenti”.

Comincia a spezzarsi qualcosa, pibe, nel tuo soggiorno a Napoli. Domenica 28 settembre, Alfredo Sinagra, padre di Cristiana, nonno del bambino e parrucchiere al Vomero, dichiara ai giornalisti: “Prima della partenza di Maradona per i Mondiali in Messico glielo dissi, guarda Diego che stai per diventare padre, noi siamo cattolici e di aborto non se ne parla”. Interviene il sindaco Carlo D’Amato: “Condanno la famiglia della ragazza che non ha pensato a tutte le conseguenze negative che potevano derivarne”.

Alfredo Sinagra con la figlia Cristiana si reca alla sezione municipale vomerese di via Morghen con i certificati della clinica “Sanatrix”. All’anagrafe viene registrata la nascita di Diego Armando Sinagra.

Intanto, Claudia Villafanes, la tua fidanzata argentina, aspetta un figlio da te.

23/8/2004
 
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