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Diego Armando Maradona: la favola

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kai mimiki
view post Posted on 22/7/2016, 10:18 by: kai mimiki     +2   +1   -1
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La favola di Maradona



La sua storia a puntate - 31
di Mimmo Carratelli


maradona24



Che cosa ti succede dentro, pibe, dopo l’annuncio di Cristiana Sinagra? E chi è Cristiana Sinagra? I giornali si scatenano. Qualcuno dice che si accompagnava anche a uno dei tuoi tre cognati, Gabriel, quello che ti angoscia la vita con continue richieste di danaro. Era amica anche di Hugo, tuo fratello? Maldicenze e sospetti. L’opinione generale è che Diego Armando Sinagra sia tuo figlio.

Cecilia Pagni, la tua fedele segretaria dei tempi napoletani, racconterà un giorno che Cristiana Sinagra venne a casa tua per mostrare a Claudia “cravatte e camicie di seta” che avrebbe potuto comprare per te. Strana visita. Claudia disse che Cristiana era un’amica di Delia Occhionero, la moglie di Hugo. Insomma, la ragazza si aggirava nei tuoi pressi.

Ma che cosa è successo veramente? Giravano tante voci. Si disse che mamma Tota avesse telefonato alla Sinagra offrendole soldi per abortire. Pare che, su questo argomento, avesti un litigio con tua madre. Cristiana, sono sempre le voci di quel tempo, avrebbe abortito a patto che l’accompagnassi tu dal medico. Furono giorni difficili.

Giovedì 16 ottobre 1986 rompi il silenzio. Davanti alle telecamere di “Italia 1”, parli ai giornalisti Marco Francioso e Gigi Moncalvo. Annoto alcune tue frasi. “In questo periodo ho subito un danno enorme”. Non nomini mai il bambino e definisci la Sinagra “quella ragazza”. Prendi duramente le distanze. Dici: “Io aspetto un figlio da Claudia, io merito un figlio da Claudia e Claudia se lo merita”. Ma è tuo il figlio della ragioniera? Ribatti: “Conosco tanta gente, a Napoli, ma da qui ad avere un figlio diversa è la canzone”.

Pensi a Claudia che sta per avere un bambino da te. “Si chiamerà Diego Sebastian se sarà maschio, Dalma Janina o Dalma Linora se sarà una femmina. Diego e Dalma sono i nomi dei miei genitori”. Ma c’è Diego junior, accidenti. “Questa storia per me è già finita. Non leggo più i giornali, non guardo più il telegiornale”. Sarà una vicenda che segnerà la tua vita. Questo lo scopriremo dopo.

Intanto, il campionato 1986-87 è partito il 14 settembre. Sono arrivati De Napoli e Carnevale. E Ciruzzo Ferrara fa coppia fissa con Bruscolotti. Debutto a Brescia. L’allenatore dei lombardi Giorgi dice che, in Italia, contro le difese italiane, quei gol in Messico contro inglesi e belgi, travolgendo mezze squadre, te li sogni. Imprudente. A Brescia, in soli dieci metri, rinnovi il prodigio. Sul lancio di Bagni accarezzi la palla col petto e, col petto, te la porti avanti: la difesa bresciana si disorienta. Fingi di puntare al centro e vai a sinistra: i difensori sbarellano e Bonometti, che ti monta una guardia feroce, è giocato. Da sinistra infila Aliboni con un diagonale. I bresciani non vogliono starci. Dicono che ti sei aiutato con un braccio. Rimangono inchiodati alla tua prodezza, 1-0 e via.

Due pareggi, con l’Udinese e ad Avellino, raffreddano gli entusiasmi. Ma ispiri il Napoli che strapazza il Torino (3-1). La domenica successiva, a Marassi, contro la Samp delle “stelle”, la partita è tua. Batti la prima punizione, Bistazzoni sfiora la palla, la traversa la ribatte e “Caffarellino” è pronto a spingerla in rete. Pareggiano i doriani su rigore, ma c’è un penalty anche per il Napoli: Vierchowod ti atterra in area. E non succede come a Tolosa. Vai sul dischetto, batti, Bistazzoni va da un lato e la palla dalla parte opposta: 2-1. Il Napoli è in testa con la Juve di Rino Marchesi. Comincia il sogno.

Un inghippo con l’Atalanta al “San Paolo”. Su rigore devi rimediare un pareggio (2-2) e la Juve va avanti di un punto. Luci e ombre. Qualche tensione negli spogliatoi. In campo, zoppichi. Garella e De Napoli commettono errori imperdonabili. Vietato sognare?

Sopraggiunge Ciccio Romano di Saviano a mettere ordine e a fare il regista. Allodi l’ha pescato nella Triestina, in serie B. Acquisto magico. All’Olimpico ci sono 20mila napoletani. Giordano inventa un assist delizioso e batti Tancredi. Oh, pibe! 1-0 come a Genova, secondo marchio personale decisivo. Dice l’allenatore della Roma Eriksson: “Questo Napoli è proiettato verso lo scudetto”. Siamo di nuovo in testa con la Juve.

Senza gol la partita con l’Inter di Trapattoni, ma il trionfo arriva a Torino il 9 novembre. Segna fulmineamente Laudrup e gli juventini, sugli spalti, non si scaldano molto. Pareggia Ferrario e pare di stare al “San Paolo”. Lo stadio torinese è tutto azzurro. Segna Giordano, segna Volpecina. La Juve è schiantata (3-1). Giochi una partita memorabile a tutto campo, rischi le caviglie, strappi il pallone ai bianconeri. Bruscolotti blocca Platini. In testa con due punti di vantaggio su Juve, Inter e Roma. Premio straordinario di 7 milioni a testa per il trionfo torinese.

Vuoi vincere lo scudetto, dopo il mondiale. Proponi un ritiro anticipato al giovedì e, domenica, è poker all’Empoli (4-0). Segni il primo gol con una punizione irresistibile, doppietta di Carnevale, firma finale di Bagni. Partita trasmessa in diretta in Argentina. La Juve si allontana a 3 punti anche col pareggio azzurro contro il Verona. Altro pari senza gol a San Siro contro il Milan dello “squalo” Hateley. Terreno infame sotto la pioggia, ti manca Giordano infortunato, Liedhom monta un catenaccio gigante e Filippo Galli non ti fa respirare.

Il 21 dicembre, ultima partita dell’anno col Como al “San Paolo”. Ti strapazzi un po’ andando per premi, a Buenos Aires e a Montecarlo. I comaschi corrono. Decide una “doppietta” di Caffarelli (2-1). Il botto giunge da Genova dove la Samp di Vialli e Mancini ha disintegrato la Juve (4-1). C’è solo l’Inter, a due punti, dietro al Napoli. La Juve si allontana a quattro lunghezze.

Buone vacanze, Diego. Torna presto che sarà l’anno buono.

27/8/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 32
di Mimmo Carratelli


allodi
Italo Allodi




Anno nuovo, prima sconfitta dopo 17 risultati utili di fila. La sosta porta male, caro Diego. Va quasi sempre così. Tonfo a Firenze (1-3) davanti a 20mila napoletani col broncio. Giochi bene, Dieguito, fai anche il gol, Landucci fa miracoli sulle tue punizioni. Raggiunti in testa dall’Inter. Negli spogliatoi di Firenze l’Orso Bianchi fa la faccia feroce, processo a porte chiuse. Sette giorni dopo, tre sberle all’Ascoli e campioni d’inverno. Mezzo scudetto in tasca. L’Inter si allontana a due punti. Ma c’è una brutta notizia. Italo Allodi, che ha costruito questo Napoli da scudetto, sta male, colpito da un ictus nella sua stanza d’albergo, il Royal.

La prima partita del “ritorno” col Brescia (2-1) vieni picchiato ripetutamente da Sacchetti e Chiodini. A mezz’ora dalla fine non ne puoi più. Esci malconcio, ti hanno combinato proprio bene. Torni grande a Udine (3-0) con una “doppietta”: rigore impeccabile e zampata mancina saltando due difensori mentre il portiere ti rovina addosso. Galparoli ti massacra una caviglia.

Dopo la partita di Firenze avevi detto: “Abbiamo regalato la partita alla Fiorentina e c’era uno che giocava per loro”. Il riferimento all’arbitro Lanese ti costa il deferimento, becchi una squalifica e salti l’unica partita, il derby con l’Avellino (3-0). Il piccolo Muro gioca al tuo posto, tu sei in tribuna con Claudia.

A metà febbraio, Claudia incinta parte per Buenos Aires.

Fai lo scapolone. Coppola non è proprio il tuo angelo custode. Ormai vive stabilmente a Napoli, spesso con la seconda moglie, Amalia Gonzales, una soubrette. Senza la moglie, fate bisboccia insieme. Cominciano le notti bianche, ma sul campo non se ne accorge nessuno. Vittoria a Torino sui granata (1-0). Con un guizzo pianti Zaccarelli ed evitando Ferri dai a Giordano la palla-partita. L’Inter perde a Roma e si allontana a quattro punti.

Contro la Sampdoria (1-1) segni il pareggio, è il tuo gol numero 200. Su una incursione di Renica a sinistra e cross basso, sorprendi tutti con un tuffo a pelo d’erba, un colpo di testa da circo. Hai un occhio pesto dopo uno scontro con Pellegrini. E con la vittoria a Bergamo (1-0, gol di Giordano), il vantaggio sugli inseguitori (Juve, Milan e Roma) sale a cinque punti. Dagli spogliatoi di Bergamo esci con un cappello da cow-boy in testa e urli: “Io questa parola non la pronuncio”. La parola è scudetto. Ci crediamo fortemente.

Nel derby con la Roma è 0-0, ma, accidenti, vi mangiate almeno cinque palle-gol. Ogni tanto si perde: a San Siro con l’Inter (0-1).

Il riscatto è immediato. 29 marzo 1987: Napoli-Juventus 2-1. Battuta all’andata e al ritorno la Vecchia. Zoppichi perché Favero dopo dieci minuti ti ha “sistemato”. Segnano Renica e Romano. Tacconi ti nega il gol: stavi per sorprenderlo con un colpo di testa. Ferlaino sorprende tutti: “Lascerò il Napoli il giorno stesso dello scudetto”. L’adorabile bugiardo.

Squilla il telefono. E’ tuo padre da Buenos Aires, giovedì 2 aprile. Alle 9,10 italiane (le 4,10 in Argentina) è nata Dalmita, anzi Dalma Nerea, nella clinica Villa del Sol. Peso: 4,200 chili. Claudia sta bene. Un giorno andrete a Lourdes per ringraziare la Madonna. Sei un angelo e un demonio. Dopo i mondiali messicani, eravate andati in vacanza a Bora Bora. E’ successo là. Parti per Buenos Aires e torni. Ventiduemila chilometri in tre giorni, caro papà. Domenica, sei in campo a Empoli (0-0). Il portiere Drago fa il drago e ti nega il gol due volte.

Nel ritiro di Pescia, Hotel Villa delle Rose, da una macchina scende Allodi. Ha il braccio sinistro paralizzato dopo l’ictus. Due fisioterapiste lo stanno curando nella sua villa di Firenze, ma è voluto venire a salutare “i suoi ragazzi”. Gli dai un bacio e gli sussurri: “Ti voglio bene”. Dal Napoli è ormai lontano, ma promette: “Verrò per la festa dello scudetto”.

Con la batosta di Verona (0-3), l’Inter si avvicina a due punti. E’ il momento cruciale del campionato.

31/8/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 33
di Mimmo Carratelli


1scudetto
Scudetto 86/87


Ma la ricordi, pibe, quella domenica dell’anticipo della felicità totale, il 26 aprile 1987 al “San Paolo”, quando cantavamo “Vinceremo, vinceremo il tricolore”, un ritmo inesorabile e una gioia incontenibile? Il Milan, appena passato dal barone Liedholm a Capello, con Maldini, Wilkins, il povero Di Bartolomei e Virdis, tentava di imprigionarci con la ragnatela a zona, e Filippo Galli era la tua ombra. Ansia e sofferenza, gol di Carnevale su papera di Nuciari, felicità, si apre la porta della vittoria.

Grandissimo Giordano, re degli assist. Quanti ne ha fatti, Bruno, per portare lo scudetto a Napoli? Tanti, tantissimi. E’ il tuo scudiero fedele, il partner che ti esalta, vi guardate negli occhi e scatta l’intesa, passaggi filanti, colpi a sorpresa. E’ Bruno che ti apre la strada del gol per il raddoppio. Addomestichi il pallone, sfuggi a Filippo Galli e al suo caschetto e dribbli Nuciari in uscita. Quasi dalla linea di fondo inviti la palla ad adagiarsi in rete. Dedichi il gol a Dalmita. Non segnavi da sette domeniche. Finisce 2-1 e dai un taglio alle voci sulla dolce vita. L’Inter perde ad Ascoli e si allontana a tre punti. A casa un gruppo di tifosi ti invia l’omaggio di una grande coppa di cristallo piena di confetti azzurri per il Napoli, rosa per Dalmita.

Un passettino (1-1) nel nubifragio di Como e arriva il 10 maggio. Il “San Paolo” è gonfio di passione. Siamo in 90mila e, fuori, c’è una città in attesa. C’è la Fiorentina di Baggio, Antognoni e Diaz. Non è ancora scudetto, ma sulle due curve calano due immensi teloni azzurri col tricolore. Non è ancora scudetto, ma ci sono 132 striscioni sugli spalti che “parlano” di scudetto. E, in città, tutti gli artigiani di Napoli sono al lavoro per dipingere vie, piazze e palazzi d’azzurro, per dipingere giganteschi scudetti sull’asfalto di cento strade, mentre si preparano banchetti all’aperto e striscioni sono pronti ad essere stesi dappertutto, da balcone a balcone. Gli artigiani, improvvisati e professionisti, hanno lavorato tutta la notte per preparare bandiere, sciarpe, poster, gigantografie, torte, ciondoli, orologi e mille altri oggetti con lo scudetto. Dalle Filippine sono arrivati ventimila “Gennarì” di plastica con lo scudetto. E’ la nuova mascotte del Napoli, costo diecimila lire.

La partita è una gioia dolorosa. L’Inter è a tre punti e gioca a Bergamo. Battere la Fiorentina, a due giornate dal termine, vorrebbe dire scudetto al sicuro. L’arcobaleno di una tua punizione scompare oltre la porta toscana. Facci sognare, pibe, che siamo alla fine. Slalom, piroetta e pallonetto mentre t’accerchiano in quattro. Abbiamo il cuore in gola. L’attesa è pesante, gonfia di paura.

Due boati consecutivi scuotono lo stadio. Finalmente. Il prodigio si sta avverando. Segna Carnevale e, sette minuti dopo, sul display in cima alla curva A appare il risultato di Bergamo. L’Inter perde e si allontana.

Può essere così bella questa domenica? La felicità, a Napoli, è sempre molto complicata. Bisogna soffrire molto per essere poi felici. In amore, allo stadio, nella vita. Deve essere sofferta questa penultima partita, non saremmo a Napoli se non fosse così. In campo avete la stessa nostra angoscia e la magica punizione di Baggio nella rete di Garella (1-1) è la conferma che tocca soffrire. Molto e sino alla fine.

Il secondo tempo è una partita in trance. In campo e sugli spalti. Schiacciati sotto il peso insopportabile di una gioia troppo grande, vicina, possibile, strameritata, ma ancora incerta, che può sfuggirci. La Fiorentina sembra rispettare la nostra angoscia, governa il pareggio in letizia. Non provoca. E tu, pibe, che cosa fai, che cosa fanno gli azzurri? Paralizzati.

Il tempo non passa mai. Resiste il pareggio e resiste la sconfitta dell’Inter a Bergamo. A tre minuti dalla fine, l’addetto al display dello stadio non ne può più. Rilancia in anticipo il messaggio luminoso e definitivo della sconfitta dell’Inter e accende subito dopo il messaggio grande, lampeggiante, irresistibile preparato nell’attesa spasmodica che tutto finisse: “Napoli campione d’Italia 86-87”.

L’arbitro Pairetto fischia la fine. In campo, avete occhi pazzi e increduli. Sugli spalti è un abbraccio generale, lacrime, entusiasmo finalmente liberato. Scoppiano i petardi. Il “San Paolo” è tutto azzurro, è tutto un tricolore. Trascini la squadra sotto la tribuna dove c’è Claudia, rientrata da Buenos Aires con Dalmita, dove ci sono papà Chitoro, tua sorella Maria, i genitori di Claudia, i tuoi tre cognati.

In campo, nella folla dei duecento fotografi, dei carabinieri, dei poliziotti, degli inservienti e di alcuni fortunati invasori ci sei e non ci sei, appari, scompari, la maglie azzurre sommerse, poi la fuga negli spogliatoi, stentata, difficile nella ressa.

C’è un dono singolare che ti aspetta nello spogliatoio. E’ lo smoking che tua sorella Maria ti ha portato a Soccavo prima della partita perché tu lo indossassi a partita finita.

E, intanto, la città, se potessi vederla, è tutta uno scudetto.

4/9/2004

La favola di Maradona


La sua storia a puntate - 34
di Mimmo Carratelli



gennarm
San Gennarmando (foto tratta dal sito: www.vivadiego.com)



Sarà che la prima volta non si scorda mai, ma questa domenica di maggio, il 10 maggio 1987, resterà unica, irripetibile, indimenticabile. La domenica del primo scudetto del Napoli.

Te la racconto, pibe, questa domenica speciale dalla sera all’alba che non hai visto perché eri nello spogliatoio a festeggiare con la squadra, bagnato di lacrime e di champagne, perché, se mai fossi uscito la sera a vedere Napoli, ti avrebbero trascinato per cento strade, rapito in mille case, offerto ragazze e bambini da baciare, e vecchi da consolare, baciato e strapazzato, sommerso di doni ingenui e rimpinzato di cozze e mozzarella. Perché, campione del mondo e d’Italia, sei diventato il re scugnizzo di questa città fantastica che ha riconquistato improvvisamente la felicità.

Con una fantasia unica e originale, con una tempestività sorprendente, con un dispiegamento di colori e teloni, i napoletani d’ogni ceto e quartiere hanno trasformato il paese del sole nel paese dello scudetto. Lo stadio si è svuotato, la città s’è affollata. Scoppia di folla, percorsa da cortei. C’è gente in strada e nelle piazze, dovunque. Nei vicoli e nei fondaci. Ai balconi e alle finestre. E’ tutto un addobbo di striscioni e bandiere, le strade e le piazze sono state fulmineamente dipinte di azzurro. Nei quartieri popolari si banchetta all’aperto. Ci sono caroselli di auto dappertutto, auto azzurre con lo scudetto sul cofano. Via Caracciolo è una fiumana di auto dipinte d’azzurro. E’ festa a Mergellina e al Vomero. E’ festa grande alla Sanità, a Forcella, ai Quartieri Spagnoli dove è la festa più bella, festa di popolo.

Industriali e commercianti improvvisati hanno prodotto e vendono coccarde, sciarpe, cappellini, pupazzi, palloncini, distintivi, orologi, cravatte, portachiavi, trombe, tamburi, tappi, bottiglie di spumante, torte, poster giganteschi, bengala, botti , magliette col tuo nome, parasole, t-shirt, camicioni, lampadine e candele, barattoli di bevande. Tutto colorato di azzurro, lo scudetto sugli oggetti e sulle facce della gente, facce dipinte d’azzurro. Se ne vedono a migliaia. Il business spontaneo frutta venti miliardi di lire. Gioia e ricchezza.

Ai Quartieri Spagnoli una fabbrica improvvisata, e subito scomparsa, ha prodotto centinaia di teloni giganteschi coi quali sono avvolte molte facciate di palazzi. E’ un bagno generale nelle fontane. Pittori di strada hanno dipinto la tua gigantografia su marciapiedi e vie. Pittori acrobatici si sono issati sui muri delle case per dipingerti a grandezza smisurata. Su un palazzo di cinque piani, sei grande cinque piani e il pittore ha lasciato appena lo spazio a una finestra che sbuca sul tuo petto. Ai decumani, il dio del Nilo è ammantato di azzurro e, in testa, ha una gran tuba azzurra col tricolore. La statua di Nettuno è stata vestita con maglietta e pantaloncini della squadra del nostro cuore e, sul tridente, issa un grande scudetto. La statua di Dante ha uno scudetto al braccio e un pallone sul piede sinistro. C’è un ironico corteo di bare con i colori di tutte le squadre del campionato. E’ un entusiasmo vertiginoso. In cima all’altoforno numero 4 dell’Italsider, a Bagnoli, a 120 metri dal suolo, sventola una bandiera azzurra con lo scudetto.

Vuoi sapere altro, Dieguito? I lavoratori del San Carlo hanno appeso uno striscione sulla facciata del teatro: “Azzurri siete la decima di Beethoven”. In un vicolo hanno teso questo striscione: “Meglio uno scudetto da leoni che 22 da Agnelli”. Da balcone a balcone gli striscioni sono mille con scritte indimenticabili. “Comm’è bella ‘sta nuttata, si è ‘nu suonno nun me scetate”. “E me diciste sì ‘na sera ‘e maggio”. “Scusate il ritardo”. Aspettavamo lo scudetto da sessant’anni. Lo striscione dei tassisti dice: “Io lavoro e penso a te”. Sul muro del cimitero appare questa scritta: “E non sanno che se so’ perso”. Appaiono le immagini di San Gennarmando con questa poesiola:
“San Gennà, non ti crucciare /
tu lo sai, ti voglio bene, /
ma ‘na finta ‘e Maradona /
squaglia ‘o sanghe dint’’e vvene”.

La gente canta: “O mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazòn? Ho visto Maradona, ho visto Maradona e, mammà, innamorato son”.

Sgorgano poesie, motti, canzoni e parodie di canzoni napoletane:
“E pe’ fa chistu scudetto /
vuò sapè comme facette /
s’è accattate Maradona /
ha futtuto Berlusconi /
Bagni, Renica e Garella /
pe’ te fa ‘sta squadra bella”.

Il presidente Ferlaino fa una confessione bugiarda: “Ho deciso di lasciare la presidenza. E’ una scommessa che feci con me stesso diciott’anni fa. Al Napoli ho sacrificato la mia vita. Metterò un professionista al mio posto”. Da Firenze, dove vive la sua malinconica degenza dopo l’ictus, Italo Allodi fa pervenire i suoi auguri commossi. Ha contribuito molto a creare questo successo, ma già nessuno si ricorda di lui. Così va il mondo, pibe.

A mezzanotte i fuochi artificiali illuminano il golfo. La festa dura sino all’alba. Il giorno dopo, la città è straordinariamente pulita e ordinata. Negli uffici, l’assenteismo cala addirittura dal 15 al 10 per cento. Chi aspettava la Napoli dei pazzarielli, il caos, l’entusiasmo balordo, per criticare e condannare come sempre, resta deluso. Della festa, e per lungo tempo, restano le strade e i palazzi dipinti di azzurro, gli scudetti giganteschi dipinti ovunque, un’euforia pacata, una gioia misurata.

Ma dietro la festa, dietro la gioia, si allungano ombre.

8/9/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate - 35
di Mimmo Carratelli


bianchi
Bianchi


Non è tutta felicità quella che riluce. Succedono cose strane. Cos’è stata quella biglia d’acciaio lanciata contro la tua Mercedes, pibe? Era la notte del 2 novembre 1986. Le due di notte. Dove andavi, malandrino? Rilasci dichiarazioni misteriose: “Sono accadute certe cose, ora mi sento più cattivo, non so se resterò dopo il 1988”. Si rafforzano le voci sulle tue notti bianche. Sei irritato.

I tuoi continui viaggi aerei, premiazioni e partite amichevoli, innervosiscono Bianchi. Settembre 1986: con un jet privato la “Puma” ti porta a Monaco di Baviera, stai anche male. A novembre, sei sempre su un aereo: andata e ritorno a Parigi, hai vinto il Pallone d’oro, la festa è al “Lido”; voli a Madrid prima di Napoli-Empoli 4-0 e a Barcellona la settimana successiva prima di Napoli-Verona 0-0. Voli in Argentina per le feste di fine anno. Gennaio 1987: ambasciatore dell’Unicef, giochi a Tokyo una partita di beneficenza, un miliardo di incasso, ma torni in tempo per la vittoria di Udine (3-0 con la tua “doppietta”). 16 marzo 1987: prima di Inter-Napoli (1-0, sconfitta immeritata) partecipi a Milano agli Oscar mondiali, incontro-scontro con Pelè. 19 marzo: corri in Ferrari a Roma dove c’è la nazionale argentina, serata al night, ruzzolone che peggiora il tuo mal di schiena. Aprile 1987: voli due volte in Argentina per la nascita di Dalmita e poi per le vacanze di Pasqua. Voli a Montecarlo per ricevere la “Piuma d’oro”, festa al Circo del varietà, ti esibisci in un palleggio col principe Alberto, vorresti conoscere Carolina, ma c’è solo Stephanie alla festa, col vecchio Ranieri, tu e Coppola fate l’alba nel night dello Sporting Club. Lo scrittore Luigi Compagnone scrive: “Maradona è un idolo che fa il comodo suo, viaggia troppo”.

I compagni ti adorano, Ferlaino finge di non “sapere”, l’Orso Bianchi mugugna. Il 17 maggio 1987, si gioca l’ultima partita ad Ascoli (1-1) con lo scudetto già conquistato. A otto minuti dalla fine, Bianchi lascia il campo furibondo. Il pareggio salva l’Ascoli dalla retrocessione e condanna il Brescia, la città dove l’Orso è nato, e l’Atalanta (a Bergamo ha casa). Non si sa che cosa succeda nello spogliatoio. S’afferra un coro: “Te ne vai o no, te ne vai si o no?”. E’ diretto a Bianchi, che si è appartato con Ferlaino, ma i giocatori dicono che era diretto a Carnevale. Putiferio. Sul pullman per Pescara dove la squadra prenderà l’aereo per Napoli, mutismo generale.

Fai il duro e dici: “Il tecnico si sente perseguitato? Chi sta male se ne vada”. E’ una bella bordata. Aggiungi: “Non si possono dire certe cose per una partita pareggiata”. Coda velenosa allo scudetto, scatta persino un’inchiesta federale. Pretendi troppo quando dici: “Se il Napoli non compra mio fratello Hugo, me ne vado con lui a giocare in un’altra squadra”. Il Napoli ti accontenta: ingaggia Hugo, pagandolo 400 milioni all’Argentinos Juniors e lo dirotterà all’Ascoli.

L’aereo da Pescara giunge alle 21.10. La città è in festa. C’è un corteo di carri, provenienti da Nola, che sbuca alla Riviera di Chiaia. Con tutta la squadra sei nell’Auditorium della Rai di Napoli per il megashow in tv condotto da Gianni Minà. Al “San Paolo”, dove hanno montato un megaschermo, c’è folla come a una partita. Fuochi d’artificio a Mergellina e al molo Beverello. Un fumogeno azzurro si leva dalla collina di Posillipo. E’ la festa bis. Un altro spettacolo si svolge a Castel dell’Ovo.

Fai la “pagella” dei compagni: Garella è un omone buono buono che respinge sempre, Bruscolotti è il vero capitano, Ferrara è il più grande degli ultimi tempi, Bagni è un guerriero, Ferrario è un grandissimo che ride e piange, Renica è un bambinone, Caffarelli ha una velocità incredibile, De Napoli nel giro di due anni sarà il centrocampista più forte, Giordano è un fenomeno, Romano ci ha dato equilibrio, Bianchi ha vinto insieme a tutta la squadra che aveva bisogno di qualche consiglio. Aggiungi: “Uno scudetto del Napoli vale tre volte più di ogni altro”. La camorra chiude in passivo i conti del totonero: lo scudetto del Napoli le costa 260 miliardi di vincite pagate.

Vengono annunciati gli acquisti di Careca e Francini. E, intanto, il Napoli vola in Coppa Italia.

12/9/2004

La favola di Maradona

La sua storia a puntate – 36
di Mimmo Carratelli








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Foto tratta dal sito ufficiale (www.diegomaradona.com)


Scudetto e Coppa Italia, è l’ambata del 1987. In Coppa, un girone di qualificazione alla grande. Cinque vittorie su cinque partite, dieci gol scaraventati nelle porte avversarie. Voliamo, pibe.

Il torneo comincia nell’agosto 1986. Tutte in trasferta le prime tre partite. Due a zero a Ferrara e fai un gol alla Spal. Due a zero a Roma e fai un gol alla Lazio. Ti diverti, pibe. Sei tornato campione del mondo dal Messico. Svolazzi.

Salti le successive due partite: Fiorentina-Napoli 0-1 gol di De Napoli, Napoli-Vicenza 2-1 a Benevento gol di Muro e Giordano. Rientri per Napoli-Cesena (3-1) e metti a segno un’altra rete.

Si riprende a febbraio, partite al mercoledì mentre matura lo scudetto. Eliminato negli ottavi di finale il Brescia di Beccalossi battuto in casa e fuori, 3-0 il punteggio fisso. All’andata fai un gol, al ritorno salti il match.

Quarti di finale ad aprile contro il Bologna di Pecci, il simpatico piedone che ha 31anni e, l’anno prima, è andato via da Napoli perché non prendeva mai l’aereo e si era stancato di correre in auto fra il golfo e Bologna. Nel Bologna gioca Musella, il nostro ragazzo di Fuorigrotta, gioca Marocchino che non ha bisogno di giocare perché è ricco di suo e, in campo, fa il gagà. Tre a zero secco all’andata, giochi solo il secondo tempo al posto di Giordano e fai il terzo gol. Goleada in trasferta al ritorno (4-2): entri sempre nel secondo tempo, stavolta al posto di Romano, e metti a segno un rigore.

Semifinale non proibitiva contro il Cagliari allenato da Giagnoni, l’allenatore col colbacco. Decidi la partita dell’andata in Sardegna (1-0). Sei forte, Dieguito. Al ritorno è una passeggiata (4-1), Bruno Giordano fa due gol.

Finalissima con partite di andata e ritorno, ultimo avversario l’Atalanta. L’allena Sonetti. E’ squadra grintosa, ci gioca lo svedese Stroemberg. Il vero avversario è il pubblico bergamasco. Ma il Napoli mette al sicuro il risultato al “San Paolo”, 3-0 perentorio. Il ritorno, con lo scudetto già conquistato, è una bolgia. Dai tifosi atalantini cori e ingiurie. Beceri col loro antimeridionalismo viscerale, come i bresciani e i veronesi. A cinque minuti dalla fine, un gol di Giordano gli schiaccia il cuore. Putiferio sugli spalti.

Alzi il trofeo al cielo, olè. E’ il 13 giugno 1987, un sabato. Il Napoli non vinceva la Coppa Italia da undici anni quando c’erano Carmignani, La Palma, Savoldi, Totonno Juliano, Peppiniello Massa, Braglia che tutti chiamavamo “Giorgio Guitar” e sbagliava i gol facili, c’era persino Burgnich, e poi Birillo Orlandini e Ciccio Esposito, ed era il Napoli ardente di Vinicio. C’era Peppe Bruscolotti che c’è ancora, l’azzurro di più lungo corso di tutti.

Con 10 gol Giordano è il cannoniere della Coppa. Tu hai messo a segno sette centri. Hola, Diego. La palla è in rete, la vita è bella. Arriva l’estate, buone vacanze? Macché. Non riposi mai.

Tre giorni prima della partita di Bergamo sei volato a Zurigo per l’amichevole Italia-Argentina. Segni un gol a Zenga, ma l’Italia vince 3-1 con tre napoletani in squadra: Ferrara che ti marca un po’ sorridendo un po’ facendo molto sul serio, Bagni e De Napoli che segna il primo gol. La trasferta rimane memorabile per l’incontro con Pelè e le frecciate che vi scambiate. Comincia il brasiliano: “Diego è grasso, non durerà 25 anni come me. Io ho giocato mille partite e segnato mille gol. Maradona, mio erede? Vinca ancora e poi ne riparleremo”. Replichi alla grande: “Io grasso? Dico a Pelè che un uomo grasso, uno con la pancia, lo ha fatto grande. Si chiama Coutinho”.

Hai conosciuto ‘o rey che avevi 17 anni. Successe a Buenos Aires nella villa di un petroliere. Ti coccolò quella volta e suonò per te la chitarra. Ma appena sei cresciuto e sei diventato il più forte del mondo, gli è venuta l’invidia. Stai tranquillo, Diego. A Napoli abbiamo già sentenziato con una canzoncina popolare: “Maradona è meglio ‘e Pelè”. Vox populi.

Non ti riposi e sabato 8 agosto sei a Wembley per giocare nel Resto del Mondo con Platini (c’è anche Bagni). In tribuna Pelè. Perdi la partita 0-3 contro la Rappresentativa britannica. Gli inglesi ti fischiano: non hanno dimenticato come li hai travolti in Messico e hanno un rancore fisso per quel gol col pugno sinistro. Titolano i giornali londinesi: “Maradona genio e imbroglione”. Replicano i giornali argentini: “La mano? Chi ruba a un ladro ha cento anni di perdono”. Ladri delle Malvinas sono considerati gli inglesi a Buenos Aires. Ruggine fra i due Paesi. Le Malvinas, al largo della Patagonia argentina, sono una ferita aperta. Sono le isole del dissidio e della guerra del 1982, rivendicate contro gli inglesi, isole Falkland per loro. Ironizza sprezzante un tabloid londinese: “Colpevole del gol di mano in Messico non è stato Maradona, ma il portiere Shilton. Saltando contro un nano avrebbe dovuto precederlo in ogni caso sul pallone”. Ti chiamano nano i perfidi dell’ex impero che non comandano più neanche nel calcio.

Eri a Merano per curarti un po’, anche una caviglia in disordine. Ma non hai voluto mancare all’appuntamento di Wembley soprattutto perché a Londra dicevano che non avresti avuto il coraggio di mostrarti agli inglesi. Invece arrivi all’ultimo momento, giochi davanti a 60mila persone che ti fischiano ogni volta che tocchi la palla, gli sorridi perché li hai già beffati, intaschi i 250 milioni del gettone di presenza e te ne vai, sbarazzino e impudente, scugnizzo totale.


16/9/2004


La favola di Maradona

La sua storia a puntate – 37
di Mimmo Carratelli


moggi
Luciano Moggi

21 luglio 1987, ritiro precampionato del Napoli a Madonna di Campiglio. I nuovi arrivi: Francini, che farà coppia con Ferrara dopo il ritiro di Bruscolotti a 37 anni col record assoluto di presenze in azzurro (511), e Antonio Careca, il vicecannoniere brasiliano del Mondiale 1986, cinque reti, e portava i baffi. Careca, 27 anni, giunge dal San Paolo, lo aiuta a imparare l’italiano l’agente Uefa Rosellini che ha favorito il suo passaggio al Napoli.

Ti aspettiamo, pibe. Il Real Madrid sarà l’avversario nel primo turno di Coppa dei campioni, sorteggio bestiale. Italo Allodi, che sta meglio in salute, viene a salutare gli azzurri. Arrivi il 30 luglio, a notte inoltrata, reduce da una stressante Coppa America e dalle vacanze a Cuba. Il Napoli si è trasferito a Lodrone e fa una partitella col Rovereto (primo gol di Careca). Sei in tribuna con Claudia e Dalmita.

E’ arrivato Luciano Moggi, consulente di Ferlaino, e Pierpaolo Marino se ne va, non gradisce. Allodi è lontano. Hai qualcosa da dire al Napoli, mentre il Real Madrid fa sapere che ti vorrebbe: “Voglio un contratto per altri quattro anni, altrimenti vado via”. Che cosa ti succede, pibe? Il tuo contratto scade nel 1989. “Fino a quella data suderò e lavorerò per il Napoli”. Meno male, ma qualcosa scricchiola.

Scendi in campo nell’amichevole di Trento, lo scudetto sulle maglie azzurre, fai anche un gol. Poi, il 7 agosto, voli in Inghilterra con Bagni per la partita del Resto del mondo. Torni per giocare a Brescia domenica 9 agosto. Non ti fermi un momento.

Maledetta amichevole, beceri bresciani. Il coro degli insulti comincia mezz’ora prima della partita. “Terrone, paga le tasse”. “Lavatevi”. Entri in campo nel secondo tempo sotto gli insulti più volgari per tutta la ripresa. Il Napoli vince 3-1, “doppietta” di Giordano e poi la tua “firma”. Il 12 agosto il Napoli vola ad Amburgo, amichevole internazionale, segni un gol su rigore, i tedeschi vincono 3-2.

Vernissage al “San Paolo” contro il Rosario Central, 40mila spettatori. Ma che cosa succede? Gli argentini segnano un gol, il pubblico fischia. Incredibile, ti fischiano per un dribbling sbagliato, poi per il rigore che ti fai parare. Fischi a Maradona, al re dello scudetto, allo scugnizzo dei nostro sogni? Proprio così. Te la prendi molto: “A fine contratto andrò via. Dopo l’89 i tifosi del Napoli non potranno più fischiarmi”.

Per fortuna, c’è qualche notizia allegra. Entri in sala d’incisione con tutta la squadra e registri l’inno del Napoli, “La favola più bella”, sette voci soliste, tu, Bagni, Giordano, Ferrario, Sola, Romano e Carnevale, gli altri a fare il coro. L’inno l’ha scritto Emilio Campassi, l’autore della canzone “Maradona è meglio ‘e Pelè”, un successone.

Torna l’armonia? Racconti il tuo incontro a Cuba con Fidel Castro. Lui ti ha chiesto: “Quando colpisci la pelota di testa non ti fa male il capo? Qui la pelota significa solo baseball”. Tu gli hai detto: “Comandante, non ha mai pensato di tagliarsi la barba?”. “Una sola volta, ma sarebbe stato un errore, la mia barba è un simbolo per molti”, ha risposto il companero. Avete mangiato ostriche, hai promesso di giocare una partita a Cuba con Valdano, poi Fidel ti ha domandato: “Dove tieni il danaro che guadagni?”. Hai risposto: “Lo investo in Argentina e in Italia, ma ai tempi del Barcellona ho perduto molta plata, molto danaro, molto”. E Fidel: “Pensa che io, uomo di sinistra, ho giocato al calcio all’ala destra, poi mi sono dedicato al basket e al baseball. Ora faccio mezz’ora di nuoto al giorno e un amico mi prende i tempi. Ma Napoli è a sud o a nord di Roma, e ti ci trovi bene?”. “A sud, comandante. Proprio bene non mi ci trovo, non posso uscire di casa, devo cambiare continuamente il numero del telefono. I napoletani sono fatti così. Mi paragonano a san Gennaro. Non vivo, ma non ho altra scelta”.

E’ cominciata la Coppa Italia il 23 agosto. Giochi quattro partite intere. Segni un gol contro il Modena (4-0), il Napoli vince a Livorno 2-0, segni a Udine e un’altra rete la fa Careca (2-0), vittoria sul Padova (1-0), successo sulla Fiorentina (2-1) con un tuo calcio di rigore. Il Napoli vola alto e non ti risparmi. Fra amichevoli, Coppa e Wembley hai giocato nove partite in un mese.

E’ una corsa pazzesca. Comincia il campionato 1987-88. Appena il tempo di giocare e vincere a Cesena (1-0), gol di Bagni, e ci tuffiamo nella Coppa dei campioni. Ricordo le tue parole: “E’ un sogno. Da noi abbiamo la Coppa Libertadores, ma io dopo la vittoria in campionato col Boca non l’ho giocata perché andai al Barcellona”. Ma in che condizioni sei, pibe, per questo sogno?

20/9/2004
 
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