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Il giallo dell'aviaria: migratori non untori

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filu'
TOPIC_ICON4  view post Posted on 1/5/2006, 23:10 by: filu'     +1   -1





Dopo mesi in cui giornali italiani non hanno fatto altro che parlare di influenza aviaria, come sempre accade è calato il silenzio.
La sovraesposizione mediatica crea assuefazione, la notizia "bomba" che non esplode mei alla fine annoia e si passa così ad altre ed eventuali vicende che "facciano titolo".
Non ho mai creduto che gli uccelli migratori fossero i portatori dell'aviaria nel mondo
ed un articolo che a me pare serio di Daniele Colombo, letto la settimana scorsa, mi trova d'accordo.
Questa sera ho trovato il tempo di ricopiare l'articolo e ve lo propongo. E' molto lungo, ma vale la pena perdere un poco di tempo per leggerlo.

Il giallo dell’aviaria di Daniele Colombo

Con la primavera le rondini e tutti gli altri uccelli migratori tornano a nidificare nel nostro Paese, ma quest’anno quello che è sempre stato il simbolo della vita che riprende dopo l’inverno rischia di trasformarsi in un minaccioso spauracchio.
Questi animali possono essere portatori dell’influenza aviaria? Sono pericolosi per l’uomo?
Il ritrovamento in diversi Paesi, tra cui l’Italia, di uccelli selvatici contagiati dal virus
H5N1 contribuisce a diffondere la paura.
Ma questi animali non sono un pericolo: sono piuttosto vittime di un’epidemia che trova origine negli allevamenti industriali di polli dell’Oriente e si diffonde attraverso il traffico internazionale di merci infette. (n.d.filu’:traffico intern. di merci infette???)
La prima volta che si è puntato il dito contro gli uccelli migratori è stata quando l’influenza aviaria ha preso a diffondersi in Estremo Oriente senza che le autorità locali riuscissero a tenere la situazione sotto controllo. “Ogni volta che si scopre un focolaio di influenza, i Governi accusano i migratori: “Sono stati loro, non possiamo farci niente, non possiamo controllarli”, ha dichiarato Yi Guan, virologo dell’Università di Hong Kong al National Geografic.
La paura si diffonde e porta a reazioni isteriche: alcune autorità locali in Vietnam ordinano l’abbattimento di qualsiasi uccello come misura preventiva e ci vuole un intervento del Governo centrale per fermare questa inutile strage.
Quando, dall’estate scorsa, il virus inizia a spostarsi verso ovest, i migratori tornano sul banco degli imputati in base a una teoria semplice e convincente: gli uccelli selvatici prendono il virus dai piccoli allevamenti all’aperto dei contadini e, migrando, lo portano sempre più lontano a contagiare gli animali di altri piccoli allevamenti “ruspanti”.
Con una progressione inarrestabile, in qualche mese il virus dalla Cina raggiunge il cuore dell’Europa.
Per gli scienziati, però, i conti non tornano. “Non esiste specie di uccelli che dalla Cina migrano verso l’Europa”, chiarisce BirdLife, l’associazione mondiale per la tutela degli uccelli. “Quando si segnano su una carta i focolai di influenza, si scopre che seguono strade e ferrovie, non rotte migratorie”.
Non sono quindi gli uccelli a portare in giro per il mondo il virus H5N1, ma traffici illeciti di prodotti infetti che sfuggono ai controlli sanitari.
“Fino ad oggi in Asia, Nord America ed Europa sono stati testati decine di migliaia di uccelli selvatici: in nessun caso è stato rilevato il virus H5N1”, dichiara il professor Giuseppe Bogliani del Dipartimento di Biologia Animale dell’Università di Pavia.
“Allo stato attuale non esiste alcuna prova sul fatto che gli uccelli selvatici possano veicolare il virus agli animali domestici e, tanto meno, all’uomo”.
Nei Paesi più colpiti dall’aviaria l’allevamento industriale di polli ha conosciuto uno sviluppo impressionante negli ultimi decenni per soddisfare una crescente domanda di carne a buon mercato e quella di pollo è la più economica che esista.
Thailandia, Indonesia, Vietnam, Cina: tutti hanno aumentato vertiginosamente la propria produzione attraverso allevamenti intensivi, dove decine di migliaia di animali geneticamente identici vengono detenuti in condizioni aberranti e rappresentano una bomba sanitaria tenuta precariamente sotto controllo dall’abuso di antibiotici.
Qui il virus dell’aviaria può crescere, mutare, moltiplicarsi, da qui escono polli, pulcini, uova fecondate e altri prodotti infetti distribuiti in tutto il mondo attraverso un’infinità di canali più o meno legali.
Non sono i migratori a portare il virus dalla Cina nelle repubbliche ex-sovietiche o in Turchia, ma l’esportazione di prodotti a basso costo che sfuggono facilmente a controlli sanitari quasi inesistenti in questi Paesi.
Lo stesso vale per la diffusione del virus in Nigeria.
“Importiamo ogni giorno uccelli dalla Cina e dalla Turchia”, ha denunciato il ministro dell’Agricoltura. “L’importazione illegale di questi animali è probabile che sia la causa dell’esplosione del virus”.
Gli interessi economici in gioco sono enormi. Il mercato del pollame vale 30 miliardi di dollari solo negli Stati Uniti e la previsioni per il 2006 danno una produzione di oltre 60 milioni di tonnellate, il 20 per cento il più rispetto a cinque anni fa.
Quale possa essere l’effetto devastante del diffondersi della paura dell’aviaria lo hanno sperimentato per primi i produttori italiani, che hanno assistito impotenti a un crollo verticale della domanda. Uno shock che su larga scala l’industria non potrebbe sopportare ed ecco che viene buona la teoria degli uccelli migratori portatori del virus.
La colpa di tutto viene fatta ricadere sui piccoli contadini che in Oriente lasciano raqzzolare nei campi i propri animali senza “proteggerli” dai pericolosi uccelli selvatici e gli allevamenti industriali, ermetici, blindati, vengono presentati come l’unica garanzia di sicurezza.
Quando uno di questi allevamenti viene colpito dal virus, scatta la ricerca del selvatico colpevole.
In Francia il maggior sospettato di un’epidemia in un allevamento intensivo di tacchini è un’anatra che vive in stagni dalle acque profonde. Come abbia potuto intrufolarsi nell’allevamento, contagiare i tacchini e dileguarsi con una capacità degna di un film di James Bond, non è chiaro a nessuno ma l’ordine delle autorità è perentorio: mettete sotto chiave tutti gli animali!
Con un paradosso clamoroso, l’origine del problema aviaria-ovvero la cescita esponenziale negli ultimi anni dell’allevamento industriale di pollame in Oriente-viene spacciata come la sua soluzione.
Cancellare in questi Paesi l’allevamento tradizionale per sostituirlo con quello industriale su larga scala è certamente un grande affare per poche multinazionali, ma è una strategia inefficace per combattere l’aviaria, ha un impatto socio economico devastante ai danni delle fasce più povere della popolazione ed è un suicidio biologico perché spazza via varietà genetica per sostituirla con standardizzazione industriale.
E c’è chi si spinge oltre, progettando un pollo biotecnologico resistente all’H5N1 che in qualche anno potrebbe sostituire tutte le altre specie allevate nel Mondo.
Un delirio di onnipotenza scientifica che ci porterebbe dritti verso il baratro dell’omologazione mondiale.

Un altro importante vettore di diffusione del virus è probabilmente il letame di pollo all’interno del quale, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il virus può sopravvivere per oltre un mese.
Questo letame viene in parte venduto come mangime per i polli stessi e in parte utilizzato come concime sui campi o negli allevamenti di pesci dove può facilmente entrare in contatto con gli uccelli selavatici, contagiandoli.
L’utilizzo di letame di pollo fresco come fertilizzante è una pratica che la stessa Fao ha definito “ad alto rischio” ma è estremamente diffusa in parecchi Paesi, anche europei.
Non a caso molte delle morie di uccelli selvatici in Cina, Croazia e Romania sono avvenute in corrispondenza di allevamenti di pesci dove questo concime è molto utilizzato.
Un caso emblematico è quello della Germania dove si è verificata un’insolita concentrazione di casi di aviaria in uccelli selvatici sull’isola di Ruegen ai margini del
Mecklenburg-Vorpommern, una regione con un’enorme produzione di polli, il cui letame viene ampiamente impiegato come concime.
“In nessuna altra zona di svernamento di migratori in Germania si sono avuti tanti casi di influenza”, spiega Franz Bairlein, Direttore dell’Institut für Vogelforschung (Istituto per la ricerca degli uccelli), “né abbiamo indicazioni di una mortalità eccezionale riconducibile al virus del quale non possiamo neanche escludere la presenza in passato: nessuno lo ha mai cercato negli ucceli che morivano! In ogni caso possiamo escludere qualsiasi connessione tra migrazioni e diffusione del virus”.
Oltre ai danni economici al settore avicolo da tutti pubblicizzati, questo attacco mediatico contro i migratori e allevamenti tradizionali sta colpendo duramente altri settori.
I piccoli produttori asiatici che, già ai limiti della sussistenza, si vedono privare dei loro animali, spesso senza alcun indennizzo.
A farne le spese è anche il settore europeo dell’allevamento biologico, quando si vede costretto dalle autorità a pratiche dell’allevamento incompatibile coi propri standard.

Infine il settore del turismo ambientale.
“La paura infondata verso i migratori allontana la gente da parchi e oasi”, conclude il professor Bogliani. “Migliaia di guide, animatori, guardia oasi stanno subendo un danno enorme proprio nella stagione più importante, quella primaverile. Il turismo scolastico nelle zone protette, che rappresenta una delle voci più importanti, sta soffrendo come non mai”.
Un’ulteriore ombra che si estende sul già incerto destino del lungo volo dei migratori.
L’Europa ha ora blindato le proprie frontiere e il pericolo di introdurre merci infette dovrebbe essere scongiurato, ma questo non deve farci dimenticare la domanda di fondo che questo allarme sanitario, così come quello della “mucca pazza”, pone.
E’ sana e sostenibile un’agricoltura industrializzata, dove esseri viventi sono trattati come oggetti? L’aumento della produzione e l’abbassamento dei costi sino a che punto possono essere portati senza giungere a vere e proprie aberrazioni che ci si rivoltano contro?
Più che di allarmismi è tempo di riflessioni.

Il Virologo: i conti dell'epidemia non tornano

Domande su questi temi fondamentali rivolte ad uno dei più qualificati esperti italiani di virus influenzali, il Professor Fabrizio Pregliasco del Dipartimento di Sanità pubblica, Microbiologia e Virologia dell'Università degli Studi di Milano.

Professore, allo stato attuale delle conoscenze scientifiche quale pensa possa essere realmente il ruolo degli uccelli migratori come causa del diffondersi dei casi di influenza aviaria?
"A tutt'oggi non c'è certezza riguardo al ruolo dei migratori. Di sicuro questi animali, se affetti dalla forma altamente patogena del virus H5N1, non possono percorrere lunghe distanze.
Inoltre se così fosse il numero di animali riscontrati positivi alle nostre latitudini dovrebbe essere molto più elevato visto il gran numero di capi coinvolti nelle migrazioni. Occorre guardare altrove: alcuni studiosi ipotizzano un ruolo del commercio di mangimi e anche il commercio illegale di animali può aver contribuito al diffondersi dell'epidemia".


Ritiene che gli allevamenti intensivi di polli siano un ambiente ideale per lo sviluppo del virus dell'influenza?
"In effetti sono un luogo a rischio. Le epidemie del 1999-2000 in Italia e nel 2003 in Olanda di varianti di virus aviario hanno determinato epidemie massive tra i capi di allevamento. Oggi in Europa grazie a una politica di riduzione della densità degli animali negli allevamenti e i controlli ambientali il rischio è contenuto e questa epidemia si è sviluppata in zone dove non è possibile attuare controlli sistematici".

In base a queste considerazioni, quali ritiene siano le misure cautelative più importanti contro il virus H5N1?
"Innanzi tutto un incremento dei sistemi di sorveglianza veterinaria in tutto il mondo e l'aumento della consapevolezza del rischio da parte della popolazione, soprattutto nelle zone del Sud-est asiatico. Tutto ciò anche per permettere di continuare a sfruttare il pollame come risorsa di proteine a basso costo".

In conclusione, ci si deve preoccupare per l'eventuale vicinanza di uccelli o di loro nidi?
"In Europa non c'è alcun pericolo. I focolai di infezione sono assolutamente limitati e contenibili grazie agli interventi di sanità pubblica veterinaria attuati e il virus non ha una grande capacità di infettare l'uomo se non con esposizioni prolungate e massicce che non sono usuali nel nostro stile di vita.
Anche nel Sud-est asiatico a fronte di milioni di casi tra gli animali meno di duecento persone si sono ammalate".
 
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