Semi al vento - Forum di incontro e discussione

Nino D'Angelo: "Mi hanno cacciato dal mio teatro perchè davo fastidio"

« Older   Newer »
  Share  
filu'
view post Posted on 18/9/2010, 16:08     +1   -1




La regione Campania ha licenziato il cantante, che fino a pochi giorni fa era direttore artistico del Trianon di Forcella, a Napoli. E lui: “Trattato come un precario qualsiasi”

L’hanno messo fuori dalla porta, tra le ombre assolate e i motorini scarburati di Forcella, dove in cinque anni di direzione artistica del Teatro Trianon, aveva imitato i tanti Re taumaturghi che a Napoli, da sempre, ottengono meritata, effimera attenzione.

Nino D’Angelo, 57 anni a giugno: “Sono nato nello stesso giorno di Platini, meglio di una medaglia”, ex tante cose, “Diamoci del tu, pecche quann’ parlo in terza persona nun saccio argomentà”, è stato licenziato. “Comme ‘nu precario qualsiasi, con una lettera burocratica perché il mio esperimento era davvero popolare, sollevava lo spirito della gente che non conta un cazzo e stava diventando pericoloso. Il Trianòn (D’Angelo accenta l’ultima o senza mai perdere un colpo ndr) rappresentava un miracolo e loro, l’hanno sporcato senza rispetto”. Loro sono i politici di centrodestra che da mesi combattevano D’Angelo con ogni mezzo. Le migliaia di abbonamenti sottoscritti a prezzo simbolico che lasciavano deserte le platee private del resto della città, hanno avuto il loro peso. Il guitto disturbava. È stato eliminato.

Arrabbiato non rende: “Sono incazzato, incazzatissimo, ma più che altro triste. Io che vengo dalla sottocultura più disperata, avevo capito che per chi non ha niente, la cultura è come l’acqua per le piante. Papà faceva il ciabattino a San Pietro a Patierno, un quartiere di Napoli in cui non c’era nessuno che non facesse il calzolaio. Di sei figli, ero il maggiore. Definirci poveri era già un artificio letterario. La povertà abitava proprio a casa mia. Non potevamo andare al cinema, dal giocattolaio, da nessuna parte. Mia madre stava a casa. Avrà visto Napoli due volte nella sua vita, per la politica non nutriva alcun interesse, ma stavolta, per difendere un princìpio, sarebbe scesa in piazza con i tamburi anche lei”.

D’Angelo, è finita.
E pensare che quando iniziò nel 2005, i presupposti erano completamente diversi.

Come andò?
La Regione Campania e la Provincia avevano rilevato il Trianon e volevano che io mi inventassi qualcosa per portarlo avanti. Per un teatro incastonato nel cuore di Forcella avevo il profilo giusto, dicevano.

Lei cosa rispose?
Accetto ma a una sola condizione: che la mia direzione si trasformi in evento sociale. Un teatro per la gente in un quartiere a rischio. Con l’aiuto dei fondi statali e un abbonamento a dieci euro, rivolto a chi non si poteva permettere il lusso della rappresentazione.

Risultati?
C’erano 67 abbonati. Sono diventati 4.000. Un trionfo esagerato.


Da una vita, Nino D’Angelo combatte i pregiudizi.
È la mia storia. Goffredo Fofi scriveva di me cose atroci. Poi si ricredette e mi fece conoscere Roberta Torre, la regista di Tano da morire. Feci una colonna sonora che vinse il David di Donatello e la considerazione degli altri mutò in un amen.

Tenace.
Sul campo ho avuto sempre la forza di sovvertire i preconcetti. Quando gli intellettuali si accorsero che non avevo solo una maglietta in testa e un paio di jeans sdruciti, ma anche un cervello, porte fino ad allora sbarrate si aprirono all’improvviso. Ma io credo che il talento, se davvero lo possiedi, non te lo toglie nessuno e se mi danno una possibilità, senza modestie, rispondo alla grande.


Al Trianon è andata così?
Io non faccio il direttore artistico, ma lì potevo essere altro. Un assistente sociale con l’obbligo di spendere poco.

L’hanno cacciata sostenendo il contrario.
Ed è uno schifo. Se vuole facciamo un giro per gli stabili cittadini e le faccio vedere la solita pletora di gente che butta via i soldi senza che nessuno gliene chieda conto. Restituire, dopo aver toccato il successo, è stato sempre un mio punto d’onore. E per il Trianòn, mi creda, ho dato i miei ultimi cinque anni di vita senza risparmio.

Cosa programmava?
Un cartellone per tutti, un po’ come faceva Gassman a metà degli anni ’70 in giro per l’Italia con il teatro popolare italiano. De Filippo, Totò, Nino Taranto. Cose semplici e profonde. Ma il mio vero maestro è stato Pasolini. Ragazzi di vita fu uno choc. Quando lo lessi per la prima volta, capii che era un secolo avanti agli altri. Un genio. In fondo, al Trianòn, non è che mi fossi inventato un cazzo.

Quindi perché l’hanno allontanata?
Vogliono una massa di persone ignoranti che dica solo e sempre sì. Sono funzionali al progetto generale. Incolti, inconsapevoli, pronti a vendersi. (Da questo punto della conversazione in poi, D’Angelo si scalda. Sale su un palco immaginario e urla, arrota il dialetto, si accende. Placarne il flusso di coscienza è impresa quasi impossibile).

Per scongiurare una fine che sembrava nota, lei ha scritto lettere alle istituzioni.

Ormai mi esprimo solo attraverso le lettere. Ma quanno mai l’ho fatto prima in vita mia? Io non sono il Petrarca, ma solo un venditore di canzoni. E il politico che va a scuola per strumentalizzare le parole, è molto più bravo di me. Si appoggia sulle frasi e ti contrasta sul tuo stesso terreno. Sono talmente abili i politici, che alla fine ti convincono che hai agito malamente.

L’hanno persuasa?

Acca nisciuno è fesso. Quattromila abbonamenti, sono un fatto non un’opinione. Mi hanno detto a brutto muso: ‘Non vogliamo continuare sul tuo terreno, ma fare un museo della canzone napoletana’.

Modernissimo.
Ne esistono già due due e non hanno un euro per sopravvivere. Non servono a niente, la gente non li vuole. Sa qual è la verità?


Dica.
Dobbiamo iniziare un’altra volta a strillare, nun amma a sta zitti. La politica, destra e sinistra, sta facendo fessi a tutti quanti.

Sono d’accordo tra loro?

Sarebbero troppo intelligenti. Invece di persone sveglie nel Palazzo ne esistono tre o quattro al massimo e gli altri ripetono senza fantasia quel che gli è capitato di sentire per caso in giro.

Viene da ridere.
E invece mi scappa da piangere. Mi viene la pelle d’oca. Vogliono ridurre il teatro a un giocattolino borghese per pochi intimi, devastando una delle più belle realtà italiane degli ultimi vent’anni. Una lezione di educazione civica era il Trianon. Si dice così? Ho fatto recitare le mogli dei carcerati, creato dal nulla un’orchestra multietnica, dato spazio a chi non aveva voce. Solo che non facevamo notizia. Si vede che so’ cieche pure dint’ai giornali.

In fondo, a Sanremo le preferiscono Emanuele Filiberto. Lui sul palco, lei fuori.
È la stessa linea di pensiero. È tutt’accussi, c’è una maleducazione civica senza confini, un’abitudine al brutto, irreversibile. Mi perdoni, ma cerco concetti forti per farmi ascoltare. Mi hanno licenziato come a ‘nu poveru dio. Lo sa che esiste una legge per cui la Regione Campania può allontanare unilateralmente tutti i contratti a termine di una una società la cui maggioranza sia nelle sue mani?

Chi l’ha contrastata? Nomi e cognomi.
Il centrodestra locale. Due campioni della democrazia rappresentativa come Taglialatela, l’assessore regionale all’urbanistica e il suo collega Rispoli, presidente del consiglio provinciale. Le racconto una cosa divertente.

Prego.
Sono stati i primi a mettere in discussione la mia permanenza e magari hanno pensato, sbagliando obiettivo, che politicamente potessi accentrare simpatie. Io non ho mai parlato con un assessore allo spettacolo, ma solo con quello all’urbanistica regionale, lo stesso Taglialatela. Le riunioni per il teatro le facevo con lui. (qui il dialetto è senza argini, ndr). Napoli sta chiena e fuoss, sta chiena e’ strade scassate e lui ha truvato o’ tiempo per venire a parlare del Trianòn. È come se per la medicina, invece e parlà cu nu miedico te miett a parlà cu ll’idraulico. È ‘a stessa cosa.

Cosa lascia a Forcella?
Un senso di incompiutezza. Quando sono arrivato, ho trovato un abbandono che stringeva il cuore. In un luogo ad alta densità camorristica, in cui i bambini non hanno un metro di spazio per ottenere un sorriso, perché a casa non ridono mai. Io ho perso e hanno vinto tutti i maestri di strada che non hanno mai vissuto la strada, gli inventori di progetti senza capo né coda, sovvenzionati ancora prima di essere approvati.

Che lezione è?
Ho capito che la pazienza è santa, e che noi non siamo mai veramente noi, ma interpretiamo un ruolo che gli altri ci impongono.

E poi?
Che l’ignoranza è la fonte preferita dai potenti, perché possono dire tutto senza mai essere contraddetti, che l’uguaglianza è un’utopia e l’invidia un sentimento che non farà mai decollare Napoli.

Non tirerà fuori Gigi D’Alessio. Di lui un giorno disse: “È un napoletano che canta, non un cantante napoletano”.
Per adesso, l’unico tirato fuori sono io. Diciamo che tutti possono fare tutto, tanto per chi comanda, non fa alcuna differenza e che la vera ragione della mia cacciata è negli interessi economici che non fluivano più.

Una metafora dell’Italia, nella città in cui Berlusconi si traveste da netturbino.
L’Italia è tutta ‘na grande fictiòn (anche qui, l’accento rulla che è un piacere, ndr) dove chi ha intuito quanto valesse la tv, ha dominato incontrastato. Non c’è nulla di più importante della televisione, soprattutto se la utilizzi per i cazzi tuoi, per vantaggi, prebende e ricatti. Prenda il Tg1, fa venire il voltastomaco. Se lo osservi con attenzione, vai al manicomio. Meno male che c’è la La7. Me fa discute, me ‘fa pensà.


Minzolini è amatissimo.
(Ride ndr) Ma è tutto il sistema che non funziona più. Il sesso, ad esempio, è diventato un bazar a cielo aperto. Io non ce la faccio più a vedere le belle ragazze in copertina e non perché sia diventato ’frocio’. Ho solo perso il desiderio e come me, i miei figli.

Cupo.
Abbiamo fallito. Ai nostri eredi abbiamo fatto un torto enorme. Gli abbiamo sottratto curiosità, voglia di scoperta, mistero. Il desiderio è ‘na cosa troppa grande, noi gliel’abbiamo rubato e loro non aspirano più a un cazzo. È finita. Bisogna esserne consapevoli e recuperare il poco. In quella parola c’è il fondamento di ogni godimento. Poco. Senta come suona bene.

Da il Fatto Quotidiano del 15 settembre 2010



 
Top
filu'
view post Posted on 18/9/2010, 16:29     +1   -1




La protesta dell'artista
Paladino: «Un drappo nero sulla mia opera perché a Napoli la cultura muore»
Lettera aperta al «Corriere della Sera» del pittore
e scultore le cui opere sono note in tutto il mondo


di MIMMO PALADINO
Caro direttore, che cosa può fare un pittore per far sentire la propria voce? Se anche un artista, almeno una volta, vuole protestare pubblicamente, indignarsi, criticare le autorità ed avere un peso, aprendo un dibattito, chiedendo un confronto, come deve comportarsi, quale atteggiamento deve assumere? Come posso reagire io se la cultura e le sue migliori istituzioni a Napoli sono sotto attacco di un potere cieco? Una decina di giorni fa ho provato a scrivere una lettera aperta alle istituzioni della Campania. Il giornale della mia città l’ha anche pubblicata con evidenza. Chiedevo di valutare con maggiore impegno il senso e il valore del museo Madre per l’arte contemporanea e del teatro Trianon Viviani. Ero infatti molto preoccupato del destino di queste due importanti istituzioni culturali. Certo, il momento è difficile, non solo a Napoli e in Campania, però se si ha a cuore la vita delle istituzioni culturali, organismi fragili e molto sensibili, si predispongono e si condividono piani ragionevoli di tagli e di risparmi. Niente di tutto questo è accaduto a Napoli.

Solo minacce e offese a coloro i quali in questi anni hanno tenuto in piedi, se non addirittura creato dal nulla, musei, teatri e festival. Dunque, in questa lettera, cercavo di dire che la cultura vera è ricerca di idee, di emozioni, di incontri, ed è costruzione di valori. Per dire che lo scopo di chi vuole modernizzare e sviluppare modi e linguaggi della contemporaneità non è produrre profitti, non è fare mercato, non è produrre consenso per chi ieri, oggi o domani ha governato, governa e governerà la Campania. Ma piuttosto creare nuove idee, nuova socialità. È vero che sono personalmente legato, d’altronde come tanti artisti italiani e non, al Madre e che mi lega a Nino D’Angelo un’antica amicizia. Ma sia chiaro: se ho donato opere al Museo napoletano e se ho sviluppato lì alcuni progetti artistici importanti fin dai tempi della Montagna del Sale, se ho disegnato la nuova insegna del teatro Trianon Viviani, è stato perché questa è la mia terra e perché non si può non essere vicini a chi lavora a Napoli per promuovere iniziative e istituzioni moderne finalmente non provinciali e folcloristiche, essendo il Madre come il Trianon Viviani nel cuore più antico e popolare della città. In questi luoghi è sembrato realizzarsi il sogno delle avanguardie novecentesche: la contaminazione viva e reale tra codici alti e bassi, tra pubblico specializzato e pubblico popolare. Il Madre, come sanno e dicono tutti gli addetti ai lavori del sistema internazionale dell’arte, è uno dei musei più belli e funzionali d’Europa. E soprattutto tra i più seri per qualità e rigore delle sue programmazioni, benché sia stato anche capace di dialogare con il territorio coinvolgendo in importanti progetti di didattica sociale centinaia di famiglie, migliaia di bambini e ragazzi di Forcella e della Sanità. Magari meno conosciuto, ma altrettanto importante per significati culturali e sociali è il teatro Trianon Viviani.

Oltre 4.000 abbonati, gente dei quartieri più degradati di Napoli che hanno riscoperto la pratica e l’idea del teatro. Un numero record a Napoli e credo anche in Italia per un’istituzione pubblica. E di che cosa viene accusato il suo direttore? Di aver tenuto i prezzi troppo bassi. Ma vi rendete conto: a Forcella oltre 4.000 persone hanno deciso di frequentare una sala teatrale, e la Regione Campania licenzia il direttore perché non ha fatto grandi incassi? E chi è il direttore? Nino D’Angelo, un artista napoletano, una figura di per sé simbolica del riscatto culturale, un cantante e un attore che ha saputo rinnovare la tradizione e che con questa opera di rinnovamento stava segnando il Trianon Viviani di Forcella e conquistando un pubblico nuovo. Ecco, per tornare alla domanda iniziale, come può un artista non protestare quando vede calpestate le ragioni dell’arte e della cultura nei luoghi dove è nato e cresciuto, dove insieme a tanti altri si è dato da fare per contribuire alla crescita civile e culturale, questioni che non possono mai essere separate in una città difficile ed affascinante come Napoli. Ho capito che le mie parole non trafiggono il silenzio, ma poiché sono e resto un pittore ho capito che devo e posso parlare solo con le immagini. Ed è quanto mi riprometto di fare ancora una volta per la mia città. Il prossimo 2 ottobre dovrà essere inaugurata una mia grande opera a copertura della nuova sala prova nel cortile del San Carlo (anche questa donata). Poiché la mia protesta e la mia indignazione per il palese tentativo di chiudere o perlomeno indebolire gravemente il Madre e la chiusura del Trianon Viviani sono fatti che ormai stanno realmente accadendo, compirò il mio gesto da pittore oscurando con un drappo nero la mia opera al San Carlo. Se il Presidente Napolitano, atteso all’inaugurazione, vedrà e si chiederà il perché, gli si dica con grande sobrietà: questa è l’opera di un pittore che è in lutto per la sua città.


17 settembre 2010

 
Top
1 replies since 18/9/2010, 16:08   328 views
  Share