Semi al vento - Forum di incontro e discussione

Napoli fonografica Incisioni d'epoca della Canzone Napoletana

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filu'
view post Posted on 12/8/2010, 22:53     +1   -1




"Napoli Fonografica, incisioni d'epoca della Canzone Napoletana" è un'opera pubblicata nel 1997, che acquistai appena uscita. Siccome, a mio modesto parere, la conoscenza delle radici della propria cultura dovrebbe essere patrimonio di tutti quelli che ne sono interessati, ho iniziato questo post per condividerlo con chi passa da queste parti, per cui non pubblico a scopo di lucro.
Tuttavia, nel momento in cui qualcuno dovesse ritenersi in qualche modo leso nei propri interessi, mi contatti con valide motivazioni e io provvederò a rimuovere il post.
Filu', amministratrice e founder del Forum.


Prefazione



A Napoli le tracce della storia e le stesse fondamenta antichissime della città, non sono separate dalla vita quotidiana che si svolge sulle cose che la storia ha prodotto e lasciato ben in vista.
La continuità osservata nelle forme familiari impedisce ai cittadini di Napoli di avere le stesse vertigini di un visitatore distante dall'ambiente, tanto coinvolgente, della città.
Per i napoletani, per i cittadini del mondo e per l'immagine di una città che è patrimonio dell'umanità, esiste invece un complesso fenomeno di produzione, che nel corso di qualche secolo ha adottato vicendevolmente, riunito, confuso e poi ancora diviso, i crismi dell'arte ed i sistemi dell'artigianato, l'idea del prodotto seriale e della geniale intuizione artistica: la Canzone Napoletana.
Questa possiede i tratti del monumento semisommerso dal tempo, di cui si conoscono alcune cime ma non le propaggini ed il cuore, e del mito riporta il carattere di tesoro celato su cui si forniscono racconti cioè interpretazioni diverse, tutte vicine ad una sostanza preziosa e misteriosa.
Oggi si conoscono e si cantano circa una cinquantina di canzoni napoletane antiche.
Una goccia nel mare della produzione risalente all'epoca d'oro di questo genere, proveniente dall'applicazione e dalla variazione di sistemi di composizione, e di interpretazione, precisi ed identificabili.
Da queste condizioni deriva il fascino, la vertigine, di un genere magari fisicamente non frequentabile, come gli altri depositi della storia presenti nel vivere quotidiano della città, ma altrettanto e forse di più presente nella memoria genetica quindi nell'immagine di Napoli.
Napoli Fonografica recupera un bene culturale di grande valore, considerata la rarefazione dei supporti fonografici che hanno reso possibile il tramandarsi di esecuzioni preziose, per l'importanza che lo stile esecutivo assume nel caso di un genere di cui è accertato lo sviluppo secondo modelli formali ripetitivi, pur salvando frequentissime vette di poesia e di poesia per musica.
Questa condizione di rarità è posta in essere all'origine: si pensi alle tipiche produzioni discografiche dei primi decenni del nostro secolo, che prevedevano poche decine di copie di una matrice, ed ancora alla facilissima deperibilità dei vinili, visto che spesso le rimanenze delle già scarse tirature venivano rotte per essere rifuse, così che interpretazioni importantissime diventavano pezzi praticamente unici ed il vinile di risulta, usato per nuove produzioni, risultava ancora più delicato, nonchè alle condizioni d'uso, le puntine molto pesanti dei vecchi grammofoni, e di conservazione.

Edited by filu' - 14/8/2010, 22:33
 
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filu'
view post Posted on 12/8/2010, 23:59     +1   -1




Breve storia della Canzone Napoletana



La canzone napoletana è una breve composizione fatta di un testo poetico in dialetto e di musica semplice da riprodurre ovvero da arrangiare, per strumento d'accompagnamento, per piccolo insieme d'accompagnamento o per orchestra. La ricchezza di questo fenomeno musicale è derivata dalla serie di influenze, scambi e fusioni stilistiche, frutto di intense dinamiche storiche e sociali, interne ed esterne al territorio campano.
Le invasioni e le dominazioni straniere, l'inurbamento cinquecentesco delle popolazioni provenienti dalla provincia, con il conseguente apporto di forme espressive derivate dalla cultura rurale, le abitudini e le forme del consumo musicale dei ceti più elevati, con i relativi sistemi di diffusione della musica attraverso la stampa ed i prodotti musicali consumati al di fuori delle antiche occasioni rituali, sono alcune delle componenti che hanno costruito il terreno di crescita di ciò che possiamo parzialmente identificare come cultura musicale napoletana.
La canzone napoletana può iscriversi in questo ambito, con specifici caratteri derivati dai sistemi di produzione, diffusione e consumo.
Limitiamoci ad un breve sguardo cronologico: a napoli nel '500 la recentissima invenzione dei sistemi di stampa viene applicata alla diffusione di un tipo di musica che intonava testi locali, con una spiccata sensibilità per la parte acuta e con un accompagnamento vocale o strumentale già quasi accordale: la "villanella".
La prima raccolta, pubblicata nel 1537, applica per la prima volta il sistema dei libri separati, uno per ogni voce dello scarno impianto polifonico.
E' tale l'importanza del musico artigiano e girovago, ormai importante anche fuori dalla corte, che alla fine del '500 si fonda presso la Chiesa di S. Nicola alla Carità la Corporazione dei Musici e dei cantanti Ambulanti.
Insieme ad altre forme simili la villanella alla napoletana influenza, attraverso l'importanza della melodia, le prime esperienze di opera in musica del '600 italiano.
Durante lo stesso secolo, nelle opere del Cortese e del Basile, già si rintraccia la nostalgia per il bel tempo passato, per le forme musicali antiche e per alcuni effetti di abbellimento vocale tipici degli stili esecutivi dei musici locali, in anticipazione dei sentimenti e delle dispute sulla canzone d'epoca moderna.
L'opera buffa napoletana del '700 è stata contemporaneamente debitrice e creditrice verso le forme musicali popolareggianti, ovvero le prime forme di canzone: in alcuni casi è difficile documentare se le ariette in dialetto presenti in molte opere siano adattamenti di un testo ad una melodia preesistente oppure rivestimenti melodici a piccoli poemi popolari.
Nello stesso secolo si rintracciano i primi documenti su i discendenti dei musicisti girovaghi dei secoli precedenti: molti musicisti di strada diffondono le ariette delle opere buffe più in voga, usando forme d'accompagnamento virtuosistico fuori d'ogni regola scolastica: sono i posteggiatori.
Nel secolo seguente varie componenti intervengono a formare la Canzone Napoletana così come la conosciamo oggi, queste sono simili a molti dei cartteri che abbiamo rintracciato nei secoli trascorsi.
Dai primi anni dell'800 vengono adottati nuovi sistemi di stampa, a Napoli si fonda la casa editrice Girard (1809), Guglielmo Cottrau pubblica dal 1825, per questo editore, i "Passatempi Musicali", una raccolta influenzata dalla musica da salotto europea.
Quest'opera, contenente melodie di stampo popolare, pone la base per lo sfruttamento commerciale della Canzone Napoletana.
La pubblicazione dei "Passatempi"conoscerà un enorme successo, con riedizioni fino al 1845, e permetterà al Cottrau di rilevare la casa Girard.
L'intuizione della possibilità di enormi guadagni, spinge Tito Ricordi a rilevare nel 1864 la casa editrice dei fratelli Clausetti.
I notevoli interessi commerciali spingono verso il rilancio della festa di Piedigrotta, nella prima settimana di settembre, con le gare delle nuove canzoni, grande partecipazione popolare, carri allegorici ma soprattutto la promozione a mezzo stampa e la pubblicazione di fascicoli periodici con le canzoni composte per l'occasione.
Le prime di queste furono probabilmente "Ntrainanà", con le musiche di Carlo Fanti e " 'O munno 'a smerza" edite entrambe nel 1887.
Tra il 1880 e il 1920 prende voce la Canzone Napoletana classica, come repertorio prodotto dall'incontro di poeti e musicisti di calibro sicuramente europeo, da Salvatore Di Giacomo e Ferdinando Russo a Vincenzo Russo, Libero Bovio ed Ernesto Murolo, da Mario Costa a Salvatore Gambardella, Nicola Valente, Evemero Nardella, Eduardo Di Capuafino a quella sintesi di poesi a musica che fu Raffaele Viviani, attore, cantante, poeta, compositore e commediografo.
I posteggiatori continuano ininterrottamente a portare avanti l'antica tradizione dei musicisti girovaghi.
E' il disco fonografico ad essere un importantissimo sistema di diffusione di un genere che è ancora, nell'ottocento e nei primi decenni del novecento, depositario di un intreccio di abitudini compositive e di stili esecutivi che si corromperanno lentamentefino a perdersi negli anni dell'ultimo conflitto mondiale.
A Napoli nel 1901 è la Società Napoletana di Fonotipia, poi Phonotype, a pubblicare i primi dischi di canzoni napoletane, applicando le moderne di riversaggio e pressaggio da matrici mecaniche.
Prima, nel 1899/1900, erano stati i "Berliner's Grammophone", stampati ad Hannover, a diffondere le grandi interpretazioni di Diego Giannini e Berardo Cantalamessa.
Le opere del repertorio classico sono ancora in parte rintracciabili nelle ristampe di spartiti curati dalle case editrici, ma il patrimonio prezioso degli stili di esecuzione più vicini al periodo d'oro della Canzone Napoletana, si trova consegnato al vinile dei vecchi dischi a 78 giri dei primi anni del nostro secolo (secolo scorso, n.d.filu').
Le antiche voci della Canzone Napoletana documentano, dai vecchi supporti fonografici, sia i tratti fondamentali della contaminazione dello stile etnico, legato alla ritualità, con lo stile urbano (pensiamo alla presenza, nei vecchi repertori, di brani costruiti su le grida dei venditori ambulanti e sull'emissioni "a fronna 'e limone" oppure a certa scansione sillabica) che la sopravvivenza di abitudini esecutive raccontate nella letteratura seicentesca, come la "vienola", effetto di ripetizione smorzata ad eco, già citata da Filippo Sgruttendio nella "Tiorba a Taccone" e rilevabile ancora in alcune esecuzioni registrate negli anni trenta del nostro secolo (secolo scorso, n.d.filu').
La condizione di rarità di questi vecchi supporti fonografici si pone in essere dall'origine: si pensi alle tipiche produzioni discografiche dei primi decenni del novecento, che prevedevano poche decine di copie di una matrice, ed ancora alla facile deperibilità del vinile, oltre alle condizioni d'uso dei vecchi fonografi.
Spesso le rimanenze delle scarse tirature venivano rotte per essere rifuse, così che per ottenere un vinile di risulta estremamente scadente, molte interpretazioni importanti diventavano uniche già poco dopo la loro diffusione.

(continua...)
 
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filu'
view post Posted on 13/8/2010, 14:10     +1   -1




I cantanti di voce

Introduzione



I brani contenuti in questo disco, sono tutti legati dal fatto di essere cantati da voci maschili che utilizzano un sistema d'emissione vocale forte, adatto alla nuova condizione determinata dall'ingresso della canzone, e quindi dei cantanti, nello spazio definito da un palcoscenico e da un'ampia capacità di pubblico: il teatro.
Questo passaggio si individuò a partire dall'impegno di energie creative assolutamente diverse da quelle impiegate dalla classe di musicisti artigiani che, dal Cinquecento alla seconda metà dell'Ottocento, in modi diversi, si dedicarono alla forma vocale e strumentale breve.
Di pari passo all'affermarsi di una canzone napoletana intesa come genere d'arte, cioè con un'identificazione precisa per l'autore del testo e della musica, negli ultimi venti anni dell'Ottocento si assistette al coinvolgimento di artisti di oggettiva importanza poetica, come Salvatore Di Giacomo, ed all'impegno economico di un'imprenditoria disposta ad investire sul filone della canzone napoletana, dal punto di vista dell'editoria musicale e dell'immagine esportabile della città; questi dati contribuirono a indebolire e, parzialmente, a disperdere il retaggio dei musicisti e dei poeti di vecchia tradizione, discendenti da quelli "di strada", che per un lungo periodo si trovarono a far da tramite nel collegamento fra campagna e città, fra cultura rurale e urbana.
Con tutto ciò, in buona parte delle esecuzioni risalenti ai primi decenni del nostro secolo (secolo scorso, n.d.filu'), ascoltabili dai vecchi supporti discografici, sono talvolta presenti i resti delle abitudini esecutive ancora legate all'ambito della tradizione campana, per dire di un insieme di codici comunicativi tramandati oralmente, come gli stilemi del canto "a vvoce 'e Napule", tipico dei venditori ambulanti, o del canto "a ffronna 'e limone", pieno di termini gergali e funzionale nelle comunicazioni a distanza di notizie che dovevano rivelarsi al solo destinatario: come nei canti dei carcerati.
Altri resti possono essere rilevati nell'impiego di strumenti e di funzioni strumentali tipiche, ma senza dubbio il dato più rilevante in questo senso è l'impiego della variazione ed una relativa libertà per quanto riguarda l'arrangisamento e la strumentazione, che si muovono ancora nell'ambito della codifica della cultura musicale di provenienza orale: come nei testi di origine mitica, nella canzone napoletana tutte le interpretazioni aggiungono qualcosa di attendibile ad un nucleo originario fatto di un testo poetico e di una melodia, dato musicale dapprima "sottinteso" dal testo, poi l'unico ad essere tramandato per mezzo della scrittura: questo si evince da molte delle stampe più antiche, con l'eccezione dell'abbozzo di un arrangiamento che iniziò a leggersi nelle raccolte ottocentesche influenzate dalla salon - musik alla moda, come negli album editati da Girard e poi da Cottrau.
Tutte le voci registrate in questo disco appartengono ad interpreti definiti "tenori"; è il caso di notare come il termine alluda ad una serie di condizioni: anzitutto al registro vocale maschile, e non già ad una eventuale impostazione lirica più o meno corretta, presente nel curriculum di taluni, che si formarono nelle scuole di canto lirico per rimanere sedotti dalla canzone, più vicina alle loro corde più profonde, ancora poi al ruolo solistico del cantante, e ad una pretesa, e meritatat anche se mai del tutto riconosciuta, aura di classicità.

(continua...)
 
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filu'
view post Posted on 13/8/2010, 18:52     +1   -1






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Nanasse
di Gasdia - Montagna
voci di Franco Capaldo e Arturo Gigliati



L'interprete di questo brano è Franco Capaldo, detto " 'o lione", il leone, originario del quartiere di San Lorenzo a Napoli, poco lontano dalla chiesa di S. Antonio Abate, dove nacque il 19 aprile 1901.
Ebbe il suo debutto come cantante interpretando il Rigoletto, nel 1924, sul palcoscenico del Teatro Bellini di Napoli.
Avendo una vena popolare, risultata dalla sua estrazione, non perse tempo quando E. A. Mario gli consigliò di dedicarsi alla canzone.
In "Nanasse", esempio di cannzone "a dispetto" di Gasdia e Alberto Montagna, vengono introdotti, con funzione di ritornello, degli inserti "a vvoce 'e Napule", cioè che riportano il richiamo di un venditore ambulante, tipicamente lanciato sul registro acuto - <<nanasse, tengh' 'e frutt' belle pe' chi fa ammore... vulisseve 'e cunfiette>> - con la classica cadenza melodica finale.
Queste "voci" con funzione di ritornello, vere e proprie prove di forza e virtuosismo vocale già nell'originale ambito popolare, sono intonate qui da Arturo Gigliati, al secolo Arturo De Cicco, nato a Napoli il 22 ottobre 1898.
Anche De Cicco ebbe la sua formazione colta, in una scuola di canto lirico, ma l'incontro con Ernesto Tagliaferri, al ritorno dalla guerra del '15-'18, gli fruttò lo pseudonimo di Gigliati ed il debutto al fianco della grande Elvira Donnarumma.
Dopo aver fatto parte della compagnia Cafiero e Fumo, conobbe il suo vero maestro nella persona di Raffaele Viviani, con il quale lavorò per diversi anni, giungendo a perfezionare la ricerca sulle proprie radici espressive e sulle notevoli potenzialità di autore.



Il testo di questa canzone non l'ho trovato da nessuna parte, neanche nei miei vecchi libretti di testi e spartiti, per cui sono andata ad orecchio, ma molte espressioni non riesco proprio a comprenderle.
Metterò dei puntini di sospensione dove non ho capito.
Ovviamente, se qualcuno la conoscesse e volesse scrivere il testo giusto, ben venga!


Nanasse!
Ammore quant’è ‘ntussecosa
Fa notte e ghiurno sempe ‘na pazzia
Jie facci’’ammore all’angul’’e sta via
Cu ‘na guagliona……… ?
‘a ggente già m’ha ditto
“statte accorte, ca ‘o nnammurato antico vo’ assucià’”
E je sto dann’’a voce co’ ffele ‘mpont’’ o musso,
chissà e chi è ‘o russo stasera miez’ ccà’.(?)

“Nanasse!
Teng’’e frutte pe’ chi fa amore
Ve bbenghe!

Nanasse!
Mo’ ‘na vucchella ‘e malanova
S’â fatt’’a casa miez’’a stu quartiere
Me sta tarlann’ ll’anema e ‘o pensiero
Ca chistu bbruttu segno ven’’a me
Jie cerco do’ caccià’ ma è ustinato
Chella me ven’’a dì’ “Canta pe tte”
E je sto dann’’a voce co’ ffele ‘mpont’’ o musso,
chissà chi è ca’ ‘o russo stasera miez’ ccà’.

“Nanasse!
Facci’’ammore c’’a figlia
E c’’a mamma mi spasso
Vulisseve ‘e cunfiette?”

Nanasse!
‘o …..(?) for’’a loggia
‘e….. (?) parla (?) a stu puntone
si vene ‘nfacci’’a mme pure….(?)
e parla ‘e Cuncettella, c’aggia fa?
……………………….(?????)
………………. (???)

e mo’ sto dann’’a voce co’ ffele ‘mpont’’ o musso,
chissà chi è ca’ ‘o russo stasera miez’ ccà’.


“Nanasse!
Tengh’’e frutte bbelle pe’ chi fa amore
Vulisseve stasera!”



Edited by filu' - 21/10/2010, 20:00
 
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filu'
view post Posted on 4/9/2010, 22:56     +1   -1




" 'A lavannara 'e 'Ntignano" di Del Gaizo - Montagna Voce: Mario Pinto

Mario Pinto, alias Raffaele Porcaro, nacque a Napoli il 10 agosto 1910.
Nel timbro chiaro della sua voce traspare una delle matrici cui è riferibile il mestiere, anzi la professione, 'a prufessione, del posteggiatore: la declamazione del narratore girovago, che nei tempi antichi girava, alzava il banco, spesso a Napoli giù alla Lanterna del Molo, per recitare versioni dialettali dei classici o per commentare le cronache.
Alle tecniche del "cunto" si unirono quelle del "cantar storie", tipiche dei musicisti ambulanti, molto simili per le caratteristiche formali e per la riconoscibilità da parte dello stesso tipo di pubblico: testi poetici derivati da elaborazioni tramandate oralmente, uso di moduli melodici e ritmici anche essi di tradizione orale, quindi non colta, ed uso del dialetto.
Questo brano, composto da due autori, Diodato Del Gaizo e Alberto Montagna, collocabili a metà tra cultura urbana e tradizione di provenienza rurale, contiene uno dei luoghi comuni della cultura popolare, rintracciabile anche fuori della canzone: il doppio senso.
<<si tu nun vuo' lava', mussillo doce, accucchiate cu' me e può sta' sicura, ca te faccio lassa' 'o cufanaturo>>.
Tra gli anni '50 e '60, Mario Pinto fece parte di alcuni importanti complessi di posteggiatori che si esibivano nei ristoranti di S. Lucia e del Borgo Marinari.

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nel tondo Mario Pinto

 
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filu'
view post Posted on 5/9/2010, 09:35     +1   -1






(Dove metto i puntini è perchè qualche parola mi è scappata, non l'ho capita).

Lavannarella mia, lavannarella
me pierze ‘o core quanno lave e spanne
Te chiamman’’ Antignano ‘a rigginella
…… sti bellizze lav’’e panne
lavanna’ stu scerià’ te fa troppo cunzumà’
Si cchiu’ nun vuo’ lavà’, vucchella rosa,
accucchiate cu’ mme e può sta sicura
ca te faccio lassà’ ‘o cufanaturo.

Comme ‘ncopp’’a sta preta tuorce ‘e panne
me tuorce ‘o core mio dint’’a stu pietto
Te vengo appriesso, so’ quase dduje anne
e tu nun vuo’ capì’, ma che t’aspiette?
Lavannara, lavannà’, nun si’ nata pe lavà’
Spusammece…… ah lavannara, ammore ‘ncio’ berimme tra ddi nuije
Lavammo e ‘nsapunamme tutt’’e dduije

Me sto’ squaglianno comm’’a stu ssapone,
pecchè te voglio troppo troppo bbene
pecchè so’ asciuto pazzo, nun raggiono
mo’ faccio chelle ca ne vene vene!
Lavannara, lavannà’, accunsiente che bbuo’ fa’!
Ca si no succere ca ‘nu juorno ‘e chisto
t’afferro e te ‘ncatasto sott’’o muro
te rompo ‘a capa e ‘o cufanaturo



Edited by filu' - 5/9/2010, 11:35
 
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filu'
view post Posted on 26/9/2010, 16:00     +1   -1




'O marenariello
di Ottaviano - Gambardella
Voce: Francesco Daddi



Questo brano del 1893 ebbe un enorme successo di pubblico.
Il testo venne adattato da Gennaro Ottaviano alla melodia già composta da Salvatore Gambardella. La linea melodica accompagnava il testo di " 'O mare e ba!" (Mmiez''o mare), una canzone di Diodato Del Gaizo.
Praticamente " 'O marenariello" è l'esempio di confezione di un successo, dovuto al fiuto ed alla spregiudicatezza di Ferdinando Bideri.
Il nuovo brano venne immediatamente inserito nel repertorio di una stella come Emilia Persico, che nell'estate del 1893 eseguì per la prima volta la canzone alla Villa del Popolo.
L'esecuzione di Francesco Daddi, tenore napoletano che svolse gran parte della sua carriera in America, è una delle primissime, se non la prima, su disco: essa è tratta da un Cort Record degli inizi del secolo (scorso n.d. filu'), probabilmente a sua volta riportante un'incisione meccanica della Berliner.




'O marenariello

Oje né', fa' priesto viene!
nun mme fá spantecá...
ca pure 'a rezza vène
ch'a mare stó' a mená...

Méh, stienne sti bbraccelle,
ajutame a tirá...
ca stu marenariello
te vò' sempe abbracciá.

Vicin'ô mare,
facimmo 'ammore,
a core a core,
pe' nce spassá...

Só' marenaro
e tiro 'a rezza:
ma, p''allerezza,
stóngo a murí...

Vide ca sbatte ll'onna
comm'a stu core ccá;
de lacreme te 'nfonne
ca 'o faje annammurá...

Viene, 'nterr'a 'sta rena
nce avimm''a recrijá;
che scenne la serena...
io po' stóngo a cantá.

Vicin'ô mare,
......................

Oje né', io tiro 'a rezza
e tu statte a guardá...
li pisce, p''a prijezza,
comme stanno a zumpá!...

E vide, pure 'e stelle
tu faje annammurá...
ca stu marenariello,
tu faje suspirá...

Vicin'ô mare,
......................



Edited by filu' - 21/10/2010, 19:58
 
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filu'
view post Posted on 21/10/2010, 18:57     +1   -1




Campagnola
di S. Di Giacomo e S. Gambardella
voce di Giuseppe Godono


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Salvatore Gambardella

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Salvatore Di Giacomo

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Giuseppe Godono



Giuseppe Godono, nato a Napoli il 1 settembre 1876, esordì come tenore nel 1902.
Dopo il notevole successo ottenuto dalla consuetudine d'interpretare canzoni napoletane alla fine delle recite in teatro, gli venne proposto un contratto dalla Poliphon di Weber e Gennarelli per la registrazione di dischi del genere. Le principali interpretazioni di Godono incise su disco fonografico sono quasi tutte del tipo di serenata, secondo quella classificazione popolare dei tipi di canzone nota sin dalla fine dell'Ottocento, cioè adatta al cantante "di voce" padrone della dinamica, esperto nel dosaggio degli acuti.
Le tipiche caratteristiche di Godono, che trovano una perfetta espressione in questo brano di Salvatore Di Giacomo musicato prima da Antonio Siragusa nel 1895 e poi, nel 1896, da Salvatore Gambardella, nella versione che ascoltiamo, musicalmente più vicina all'intenzione intima del sonetto digiacomiano.



Campagnola

Scennenno p’ Antignano a primma sera,
ievo cantanno n’aria p’’a via:
mme sospirava attuorno ‘a primmavera,
e mme faceva ‘a luna cumpagnia…

St’aria nuvella
diceva ogni mumento:
<<quanto si’ bella!
Ma quanto sto scuntento
Tieneme mente:
nun te n’adduone, oi ne’?...
Io mme cunzumo, io moro,
io spanteco pe tte!>>


E cantanno accussì sta campagnola
tècchete e te ncuntraie mmiez’ a tant’ate:
e tu ‘e lassaste e rummaniste sola,
e mme diciste: - Oi ni’, pe chi cantate
st’aria novella
ca dice ogni mumento:
<<quanto si’ bella!
E quanto sto scontento>>? –
E io rispunnette:
Nun te n’adduone, oi ne’,
ca me cunzumo e moro
e spanteco… pe tte?… -


Murmuliaste: - Overo?… - E, chiano chiano,
tu t’accustaste… e io pure m’accustaie…
Tu mme guardave: io te strignette ‘a mano
e dint’’o chiaro ‘e luna te vasaie…

P’’a notte doce
cu ccore e passione
nziemme, a doie voce,
cantàimo sta canzone:
<<tieneme mente,
tu ‘o ssaie, tu ‘o puo’ vedé
ca io me cunzumo, io moro,
io spanteco… pe tte…>>


continua...
 
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view post Posted on 22/10/2010, 10:19     +1   -1
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filu'
view post Posted on 22/10/2010, 13:39     +1   -1




E' un lavoro lungo e ci vuole tanta pazienza, ma mi da soddisfazione pensare che perle del genere non vadano perse e vengano apprezzate.
Ad esempio, quest'ultima canzone che ho postato non la conoscevo e anche il testo, su Internet, non si trova, ma avendo il libro delle poesie di Salvatore Di Giacomo, ho potuto ricopiarla.
E la prossima che sto preparando è "Serenatella nera", di F. Russo, del 1903!
 
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filu'
view post Posted on 26/10/2010, 09:00     +1   -1




Serenatella nera
di F. Russo - Di Capua - Gambardella
voce di Mario Massa


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Ferdinando Russo

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Mario Massa



Per questo brano vale, in parte, il discorso fatto per la precedente serenata.
In questo caso si aggiunge una strumentazione tipica del complesso da musica notturna: mandolino, mandola e chitarra.
La voce è di Aniello Massa, nato a Napoli il 12 maggio 1876, cantante di formazione classica, studente al Conservatorio di S. Pietro a Majella, perfezionatosi al Conservatorio di Zurigo.
Debuttante in importanti produzioni liriche al Teatro San Carlo di Napoli, cambiò il suo nome di battesimo dopo aver interpretato la parte di Mario Cavaradossi nella Tosca pucciniana.
Su "Serenatella nera", uscita nel 1903, esiste un'ipotesi che attribuisce a Vincenzo Russo la paternità del testo poetico e versi come quelli della prima strofa - <<sulagna è 'a strata, sulagno è 'o core, e 'st'uocchie chiagnere nun ponno cchiù>> - oppure del ritornello - <<ah, si putisse 'ntennere, core ca nun me siente, 'sti strazie e 'sti turmiente>> - non possono che far pensare al grande Vincenzino, autore di tanti poemi per musica dedicati all'amore infelice.
L'interpretazione di Massa, tenore in carriera che coltivò parallelamente la canzone napoletana, concedendosi a questa in esclusiva solo nell'ultima parte della sua vita, conferma il peso della seduzione esercitata su i professionisti del teatro lirico: in questo brano, complice il tipo di accompagnamento, Mario Massa da suono alle sue corde più popolari. Si tratta probabilmente di una delle prime registrazioni del brano, uscita qualche anno dopo la sua composizione, per la Società Italiana di Fonotipia.




Sulagna è 'a strata, sulagno è 'o core...
e st'uocchie chiágnere, nun pònno cchiù...
'O cielo è niro...tutt'è dulore:
A 'sta fenesta nce manche tu!

Ah, si putisse 'ntènnere,
core ca nun mme siente,
'o strazio 'e sti lamiente
ca ll'anema te dá...

te sentarrisse smovere
tutt''a cumpassione,
pe' chesta passione
ca disperá mme fa!...

Da 'o core amaro, p''o cielo niro,
vanno 'e suspire, penzanno a te...
P''a via sulagna, tristo e sperduto,
resto speruto de te vedé!...

Ah! Si putesse, st'ánema,
ca nun vede cchiù bene,
cunziderá li ppene
ca 'o core tujo mme dá...

se sentarría cummòvere
tutt''a cumpassione,
pe' chesta passione
ca disperá mme fa...

Tu nun mme siente...'mmiez'a 'sta via
mme rieste a sbattere, sulo, accussí...
Ma tutt''e nnotte, st'ánema mia,
cu nu suspiro, t''o vvène a dí:

Te voglio bene! E st'ánema
ca nun t'ha fatto niente,
'o strazio 'e sti lamiente,
cu 'o sango sujo te dá,

speranno 'e te cummòvere
tutt''a cumpassione,
pe' chesta passione
ca disperá mme fa...

 
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filu'
view post Posted on 31/10/2010, 09:23     +1   -1




Piscatore 'e Pusilleco
di Murolo - Tagliaferri
voce: Vittorio Parisi


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Ernesto Murolo

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Ernesto Tagliaferri

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Vittorio Parisi



Brano perfettamente iscrivibile in quella tipologia di brani marinareschi, compresa nella descrizione ottocentesca dei tipi di canzone napoletana, che li classificava come "canzoni 'e marina", e che null'altro erano che barcarole.
"Piscatore 'e Pusilleco" è del 1925, e questa esecuzione affidata a Vittorio Parisi, senza dubbio una delle prime, può essere considerata come un esempio magistrale di confezione di un successo commerciale.
Il poeta Ernesto Murolo, oltre ad aver avuto già notevoli conferme del suo valore di poeta, si avviava a vestire i panni del rappresentante di un'attività produttiva che cercava nuovi spazi per la canzone napoletana, giungendo appunto a fare il direttore artistico di due importanti festival a San Remo, nel 1932, e a Lugano, nel 1933.
L'interprete, Vittorio Parisi, nato a Napoli il 28 febbraio 1892, era appena arrivato ad essere uno dei più acclamati e pagati cantanti di canzoni in dialetto, dopo aver debuttato a Firenze con "Il barbiere di Siviglia" ed aver girato con i più grandi artisti del teatro lirico.
Nel 1922, questo fu l'occasione di lancio nel mondo della canzone, venne pregato, e convinto con una profumatissima ricompensa, di sostituire Salvatore Papaccio nell'audizione di una Piedigrotta de "La Canzonetta".
Da allora, pur essendo in privato legati da grande amicizia, i due divennero rivali per il pubblico, che si divise in due partiti contrapposti, parisiani e papacciani, rimarcando in senso modernamente commerciale le differenze stilistiche che esistevano fra i due.
Parisi era un interprete musicalmente sofisticato, adatto ad essere impiegato nel repertorio più riconoscibile da parte di quella parte di pubblico che voleva elevarsi, anche nella canzone, verso un'idea di classicità.



Piscatore 'e stu mare 'e Pusilleco
ch'ogne notte mme siente 'e cantà.
Piscató', sti pparole só' lacreme
pe' Maria ca luntana mme sta.

Dorme 'o mare, voca, voca.
Tutt'è pace attuorno a me.

Ma pecché,
ma pecché mm'hê lassato,
mentr'io moro, stanotte, pe'tté?

Casarella d' 'o Capo 'e Pusilleco,
spónta 'a luna e te vène a vasà.
Quanta notte aggio perzo guardànnote,
quanta juorne aggio visto schiarà.

Dorme 'o mare, voca, voca.
......................................

Zitto oje core, ca 'nterra Pusilleco,
veco n'ombra ca segno mme fa.
Na manélla e na voce mme chiàmmano.
Fra sti bbracce Maria vò' turnà.

Dorme 'o mare, oje bella viene.
'Ncielo 'a luna saglie e va.

Vita mia,
vita mia mme vuó' bene?
Ca si è suonno nun farme scetà.

Dorme 'o mare, voca, vo'.



continua...
 
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filu'
view post Posted on 7/11/2010, 20:18     +1   -1




Nun t'affaccià'
di Armando Fragna - Eduardo Di Capua
Voce di: Mario Massa

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Armando Fragna

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Eduardo Di Capua



L'orchestrazione di questo brano del 1908, il cui ascolto si deve ad un disco Favorite uscito poco dopo la sua pubblicazione editoriale, unisce alla classica strumentazione da posteggia, con i plettri, la chitarra ed il violino, anche un pianoforte che serve maggiormente a punteggiare il ritmo.
Ed è proprio la struttura ritmica a delineare il tipo di brano, secondo l'antica divisione popolare del repertorio: qui si tratta di una canzone "gavottistica", costruita cioè con un andamento ritmico di danza.
L'effetto, al di sotto della voce di Mario Massa, è contemporaneamente sensuale e minaccioso, come richiede lo stesso testo: <<nun t'affaccià' si sient''a vocia mia, nun t'affaccià' si sient''a serenata>>.



E' mezzanotte
cu' sta bella luna
io canto ‘sta canzona pe’ sta via
nisciuno sape la 'ntenzione mia
‘a sape sulo chi s'â ddà affaccià’

Nun t’ affaccià' si sient'’a voce mia
nun t'affaccià' si sient' ‘a serenata
io nun canto pe' te, canto pe’ n’ato
ca nun s'affaccia si t'affacce tu.

Nun t’affaccià’, fa comme ll’ati ssere,
mentr’ije cantave tu faciv’’ammore,
ma si st’ammore è stato ‘ngannatore
e t’â lassato e nun torna cchiù

Nun torna cchiù ………….
Te si’ vestita pe’ parlà’ cu mmico
chi mme vo’ bbene sta dint’’a stu vico
ca nun s’affaccia si t’affacce tu

Parole doci
e fronne de suspiro
e na catena ‘e vase longa assaje
chist' è l'ammore ca m'encatenaje,
chist' è l'ammore ca suspira e chiagne.

Nun t affaccià' si sient'’a voce mia
nun t'affaccià' si sient'’a serenata
io mo’ nun canto pe' te, canto pe’ n’ato
ca nun s'affaccia si t'affacce tu.



continua...
 
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filu'
view post Posted on 15/11/2010, 18:18     +1   -1




'A retirata
di Salvatore Di Giacomo - P. M. Costa
voce di Mario Pinto


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P. M. Costa



Molte melodie, dopo essere diventate celebri, sono entrate nel repertorio di bande musicali, militari e civili.
" 'A retirata" venne eseguita la prima volta, nel 1887, a Piazza del Plebiscito a Napoli, dalla Banda dei Bersaglieri, entrando subito nelle raccolte di "successi della canzone" che costituivano i programmi di queste formazioni. Il brano fu da subito un grosso successo, e nel corso degli anni entrò nei cataloghi di molte case editrici. uscì per la Società Musicale Napoletana, quasi specializzata nei prodotti del binomio Di Giacomo - Costa, antica casa editrice fondata da Beniamino Carelli, che aveva sede in Piazza Ferdinando; venne acquistato da Ricordi, nel 1905, dopo il fallimento della vecchia casa editrice, e poi da Bideri.
Questo brano serve ad intendere quanto fosse importante, nello stile di Mario Pinto, il cantare le sillabe dando una particolare accentazione alle vocali, qualche volta aprendole in dittonghi, come in alcuni dialetti del nostro entroterra, ulteriore resto dell'antica comunicazione esistita, in musica, tra città e campagna.



Gioia bella,
pe te vedé
c'aggio fatto
nun può sapé!

Si putesse parlà stu core,
quanta cose vulesse di’,
ma, chiagnenno pe lu dulore
io m’ ‘o scippo, pe’ n’ ‘o sentì!

Napule e nenne belle,
addio v’ avimma di’...
Sentite ‘a retirata,
ce n ‘ avimmo da trasì!

Dice ‘a gente
parlanno ‘e me,
ca si parto
mme scordo ‘e te!

A sta gente stu core mio,
pe risposta tu fa’ vedè;
e dincello ca si part’io
tiene mmano nu pigno ‘e me.

Napule e nenne belle,
addio v’ avimm’ ‘a di’...
Sentite ‘a retirata,
ce n ‘ avimmo da trasì!

Gioia bella,
te l’aggia di’
ca dimane
s’ha dda partì!

Statte bona, puo’ sta sicura,
c’ ‘a medaglia voglio turnà!
A stu core tienece cura,
si nun torno nun ‘o jettà!

Napule e nenne belle,
addio v’avimm’ ‘a di’...
Sentite 'a retirata,
ce n’ avimmo da trasì!



continua...
 
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view post Posted on 16/11/2010, 10:42     +1   -1
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:bravo:

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Bellissimi Filome'!

Nun t'affaccia' è un vero capolavoro!

Non so a quale delle due ti riferissi, ieri...
A' retirata in alcuni punti mi ricorda vagamente una scena - triste - di un film di Totò... possibile?

Brava eh?! Continua così! :clapping:

 
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62 replies since 12/8/2010, 22:53   15586 views
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