I cantanti ricamatori
Introduzione
I brani contenuti nel disco, possono essere considerati come gli esempi di uno stile di canto evoluto nel senso dell'uso di preziosismi vocali.
La fioritura di una linea, come l'abbellimento del tratto di qualsiasi disegno, anche non musicale, è l'attributo tipico dei fenomeni che intendono distaccarsi dalla natura attraverso l'introduzione di elementi artificiali.
Questa evoluzione si può già individuare nel momento del passaggio dal canto ancora venato di stile etnico alle forme di canto urbano, proprio dei musici artigiani del '500 e del '600, e ancor prima nelle forme di commistione tra i vecchi stilemi della musica di corte e la musica prodotta per il consumo cittadino.
La prima fonte che documenta l'importanza degli abbellimenti e la necessità delle prove di bravura da parte degli interpreti, è La Tiorba a taccone, poema di Filippo Sgruttendio, anno 1646, nel quale l'autore, secondo alcuni identificabile con Giulio Cesare Cortese, esamina il curriculum professionale dei migliori cantanti e strumentisti del genere popolareggiante, descrivendo per ognuno lo stile e la particolare virtù esecutiva.
Insieme all'affascinante nomenclatura di queste e di quelli, con termini tecnici perfettamente adeguati alle parti anatomiche coinvolte, quindi con un preciso distinguere tra garganta, passaggio di suoni vocali vibrati, e gargarisemo, passaggio di suoni vocali tremolati ed ingolati, e la viénola, cioè l'effetto dato dalla ripetizione, ad eco smorzata, di un frammento o di un'intera frase melodica, insieme a tutta questa esatta topografia anatomica e stilistica, traspare già allora un senso nostalgico per una trascorsa epoca di purezza esecutiva, oltre che per il valore documentale di una testimonianza unica circa un repertorio espressivo che, negli anni seguenti alla rivolta di Masaniello, venne ancor di più temuto dal potere costituito come residuo di forme ingovernabili di ritualità pagana e per questo non tramandato dalle cronache ufficiali.
Dell'opera di Sgruttendio c'interessa ora il tono del critico, che rintraccia le forme di un'operazione di perfezionamento che un certo genere di esecutore ha condotto sul repertorio, applicandovi una serie di numeri espressivi mai adottati in precedenza.
Praticamente, Cortese-Sgruttendio assiste alla trasformazione di uno stile extra-cittadino in uno stile urbano, dove iniziano ad essere distinguibili ed attribuibili al singolo esecutore anche le diverse virtuosità tecniche, venendo meno quel tipo di creatività collettiva, senza volto, propria della cultura orale.
Un resto di questa cultura si rintraccia nel fatto che nulla dell'interpretazione può essere tramandato se non oralmente, e niente degli abbellimenti e delle fioriture può essere annotato.
Il trasferimento nel senso della cultura cittadina venne, poi, definitivamente segnato da uno spostamento di certi moduli espressivi enfatici verso toni più pacati.
I detti toni e numeri espressivi, insieme agli accorgimenti di virtuosismo, crearono uno stile che risentiva delle bravure e della ricerca di fioriture e melismi tipici di certa musica vocale colta secentesca, ed un repertorio molto influenzato dal genere d'esecuzione, del tipo della villanella, che non ammetteva puntate verso toni gridati.
Allora, tra le radici del "ricamo" vocale, che molti vecchi estimatori della canzone napoletana attribuiscono ai migliori interpreti, c'è la capacità tecnica di fiorire la linea melodica, ma anche la dote di gestire la propria potenza vocale, nel senso del volume d'emissione, e di comprimerla verso un registro mediano, oppure l'ingegno di valorizzare la scarsezza di volume per mezzo dell'accentuazione di ogni dinamica espressiva possibile, nel rapporto tra musica e parola.
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