Le voci femminili
Molte delle esecuzioni contenute in questo disco hanno posto dei problemi di natura tecnica, dovuti alle difficoltà di ricostruzione di un'esile banda sonora vocale, dopo aver adottato un delicato procedimento di esclusione dei disturbi, dovuti alle tracce del tempo, che in qualche modo agiva sulla stessa presenza del segnale sonoro.
La risoluzione del detto problema ha portato ad una serie di riflessioni, sul rapporto tra registazioni discografiche e stile dell'interprete, sulla funzione dell'impresa discografica nella diffusione della canzone napoletana, infine sul particolare tipo di ruolo incarnato dalla voce femminile in questo tipo di repertorio.
All'inizio della storia del disco, quello che nel 1893 staccò il supporto di riproduzione della voce e della musica dal progenitore brevettato da Thomas Edison nel 1887, cambiando la forma dal cilindro al disco piatto di zinco spalmato di cera, dovuto all'invenzione del grammofono di Emile Berliner, che s'imporrà dopo qualche anno, all'inizio di questa storia e per un gran numero di anni, almeno fino al perfezionamento della registrazione multitraccia, che si ebbe dal 1937, si trattava di riunire brani scelti, interpreti ed eventuali accompagnatori, davanti ad un cono per una registrazione dal vivo, senza possibilità di errori, di ripensamenti e di tagli.
Il tempo a disposizione era dato dalla grandezza del disco: ve ne erano da 25 e da 30 cm. di diametro, che permettevano l'ascolto di circa tre minuti di musica, l'uno, e di quattro e tre quarti l'altro.
Quindi, dall'introduzione delle matrici meccaniche, che potevano produrre direttamente i multipli delle incisioni originali, ad essere favoriti erano gli interpreti fortemente dotati di connotazioni stilistiche e quelli professionalmente già rodati, in questo senso può dare lume un esame delle prime produzioni della Società Fonografica Napoletana, fondata nel 1901 da Raffaele Esposito e trasformata nel 1905 in Phonotype, che mette sotto contratto per primo Nicola Maldacea, già famosissimo, dividendolo con la milanese Società Italiana di Fonotipia, poi il grande Pietro Mazzone, posteggiatore di notevole esposizione non solo cittadina, ed in seguito Gennaro Pasquariello, che il 29 marzo 1909 firma un contratto per l'incisione di ventiquattro canzoni in cambio di 1600 lire dell'epoca.
Tutti personaggi con uno stile già definito: Pasquariello aveva esordito sulle scene vent'anni prima e Pietro Mazzone, primo posteggiatore ad essere registrato per un disco, era il portatore di abitudini esecutive tipiche della cultura rurale.
Per imporsi e diffondersi capillarmente, come oggetto di consumo, il grammofono e il disco hanno bisogno del supporto dei migliori artisti; il prodotto di massa, all'epoca, è ancora la musica a stampa: nel 1908 un grammofono a tromba con meccanismo a due molle, con carica continua, duecento puntine d'iridio e braccetto acustico, costava 150 lire; un disco della marca Odeon, che aveva brevettato la doppia faccia, una novità rispetto ai Berliner's Grammophone di Hannover monofaccia che già dalla fine dell'Ottocento avevano in repertorio alcune canzoni napoletane, costava lire 3,50, per i repertori leggeri, ed un disco simile, della Società Italiana di Fonotipia ne costava 8,50.
Si pensi che dieci lire dell'epoca erano equivalenti, più o meno, a 40.000 lire di oggi e si completa un quadro relativo ad un prodotto che si manterrà d'elite per alcuni decenni.
La forma breve della canzone sembra essere il più adatto al nuovo supporto; non si dimentichi che nel campo della musica colta e specificamente nel genere lirico-operistico, si doveva suddividere una singola esecuzione per più rulli o dischi ovvero sottoporre a tagli vergognosi il numero da riprodurre per ricavare un singolo supporto.
In questo periodo, la canzone napoletana è un genere già legato all'immagine esportabiledella città, anzi ne è una delle caratteristiche principali, e quindi l disco deve contenere il meglio della produzione: a questo obbiettivo mira l'ingerenza delle case editrici, che attraverso il braccio delle scuole di canto e di esecuzione formano gli interpreti e poi controllano qualità e quantità delle registrazionidiscografiche.
Sul piano della rappresentatività, appare logica la scelta di privilegiare, s'intende discograficamente, un genere già dotato di caratteristiche riconoscibili da parte di un pubblico che frequentava un certo "mercato" dello spettacolo e del divertimento e nel quale la voce femminile era uno dei segni principali: il "cafè-chantant".
Non tutte le interpretazioni qui contenute si devono alle "chanteuses" o sciantose, anche se tutte, come si è potuto evincere dalla lettura delle etichette discografiche, erano definite "soprano"; il discorso è più o meno simile a quello fatto per i "tenori", solo che questa volta si intuisce una ancor minore presenza di formazioni e d'impostazioni classico-liriche, ed una maggiore presenza di quello che neanche il nero supporto discografico può nascondere: pura arte scenica trasferita nella parola in musica.